XVIII. Virgilio smise di parlare e cercò sulle pieghe del mio - TopicsExpress



          

XVIII. Virgilio smise di parlare e cercò sulle pieghe del mio volto l’espressione di chi abbia compreso un ragionamento. Frattanto io mi chiedevo se tutto quel domandare non lo infastidisse – la mia curiosità era troppo grande. Evidentemente si accorse del mio titubare, poiché m’invitò a non lasciare alcuna cosa inespressa. E così gli dissi che le sue parole m’illuminavano manco fossero torce messe allato di una strada, e che però avrei gradito mi dicesse qualcosa sulla natura dell’amore, che sembrava essere nei suoi discorsi il principio di ogni cosa. Ogni cosa, difatti, era nei suoi discorsi in relazione con l’amore. Egli mi disse di aguzzare le orecchie e di ascoltare per bene ciò che mi avrebbe detto a proposito di quelli che, ciechi, credevano di sfamare il mondo con i desideri effimeri della terra; poi che l’animo umano tende all’amore, tanto più quanto esso porti con sé il piacere. L’uomo rivolge difatti la sua volontà di sapere alle cose reali, di cui trae un’immagine – il dedicarsi a quelle immagini è il principio dell’amore sensibile che lo lega al mondo e ai propri sogni. Poi, come fa il fuoco che tende alla sua sfera, nello stesso modo l’animo dell’uomo tende con i suoi desideri a compiere la distanza tra ciò che il suo spirito ha soltanto immaginato e il luogo ove il suo desiderio intellettivo è realizzato. Non c’è riposo, per l’uomo, finché non abbia raggiunto il luogo ove il desiderio e la realtà coincidono. Tuttavia sbaglia, chi voglia pensare che l’avveramento di ogni desiderio sia il fine precipuo dell’uomo: difatti non tutte le figure scolpite nella pietra sono fatte a immagine della verità e della bellezza che ne consegue, anzi alcune pervertono il creato a forme false. Io volli dire a Virgilio che le sue parole sull’amore erano state utili nella misura in cui mi avevano fatto sorgere altri dubbi: se l’amore è nascosto nelle forme della realtà senza gerarchie d’importanza, l’uomo è dunque spinto dal caso al bene o al suo contrario? Egli mi rispose che non poteva dirmi di più – per il discernimento erano stati fatti i santi, di cui mi avrebbe parlato Beatrice. Poi aggiunse che ogni cosa della materia ha una sua peculiare virtù, e che non c’è effetto senza prova – non si dà pianta senza acqua che la nutra. Dove nasce, la causa che opera sulle cose, e rende l’uomo uno strumento posto tra lo spirito e le cose sensibili? L’uomo non sa, e nemmeno sa perché la prova dell’effetto sia l’unica dimostrazione della causa: tende all’azione e alla realizzazione del mondo sensibile come le api tendono senza parole alla trafilatura del miele. Questa naturale tendenza alla sopravvivenza tramite azioni che rinnovino il circolo della vita non ha merito né colpa, è cosa data. E tuttavia si può dire che l’uomo ha il dono della scelta, poiché tramite l’esperienza conosce quali effetti dispongono determinate cause – quant’è diverso il bene dal male, il vero dal falso. E’ lungo la faglia di questa scelta tra ciò che deve essere operato e ciò che non deve essere, che corre il merito dell’uomo – la sua virtù, la sua stessa grandezza. I filosofi greci avevano intravisto come l’uomo fosse sospeso sul limite tra una follia benevola e animale, e una ragione raffinata, che coltiva il male come un presupposto del bene – tuttavia ci vollero insegnare la moralità tramite la cultura della libertà. L’uomo ha difatti il potere di non seguire ogni impulso che sorge in seno al suo animo, anche quando sia spinto dalla forza della necessità; è sulla linea di questa libertà divina che corre il libero arbitrio e la natura razionale della specie umana: non è difatti vero che si è liberi quando si è autonomi, ossia indipendenti dalle cose del mondo – liberi da e non liberi di? Come sia il dibattito sulla natura della libertà sconvolgerà l’occidente per secoli, e la luna aveva cominciato a brillare forte, offuscando la luce delle stelle: essa copriva la strada che il sole compie quando s’abbassa sull’orizzonte in vista dell’Inverno. Virgilio mi aveva risolto alcuni dubbi e altri ne aveva fatti sorgere, ed io stavo come uno che sogni ad occhi aperti, che vaneggi tra la confusione attivata dalle parole. Una turba di anime ci superò a tutta caldana come fosse una folla invasata che stesse partecipando a un rito: sembravano i Tebani mentre correvano intorno ai loro fiumi per invocare la protezione di Bacco. Al capo di quella fila c’erano due che gridavano frasi sconnesse a proposito della Vergine e di Giulio Cesare, e sembravano volere giustificare quella corsa con la volontà di compiere il bene che non avevano compiuto in vita. Virgilio gli si rivolse dicendogli ch’io ero vivo, e che avremmo gradito sapere come si faceva a salire verso il cucuzzolo del monte. Uno di quelli gli rispose che li avremmo dovuti seguire, però accelerando il passo, poiché erano costretti a correre per scontare l’accidia – non potevano fermarsi. Poi gli chiese di perdonare la villania - andavano di fretta, non c’era dubbio. Aggiunse di essere stato Gherardo II, abate di San Zeno in Verona durante il secolo di Barbarossa, di cui Milano ricordava la dura autorità; poi compianse la brutta fine del suo monastero, caduto nelle mani di un demente messo lì per questioni politiche – Giuseppe della Scala, figlio di Alberto, di cui tutti conoscevano le minorità fisiche e mentali. Disse queste frasi continuando a camminare freneticamente, tanto che udii la sua voce farsi più debole al ritmo dei suoi passi. Virgilio volle poi indicarmi due che stavano appresso a quella turba: essi le rimproveravano l’indolenza, ricordandole cos’era successo agli Ebrei che non avevano creduto in Mosè, e ai troiani che non avevano voluto seguire Enea. Nel giro di poco tempo sparirono alla nostra vista – l’emozione di quelle immagini diventò per me confusione e poi sogno.
Posted on: Thu, 10 Oct 2013 09:21:28 +0000

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