Yogi Bhajan al Summer Solstice 1970 Per comprendere meglio la - TopicsExpress



          

Yogi Bhajan al Summer Solstice 1970 Per comprendere meglio la traduzione che ho preparato per Voi sono necessarie alcune brevi note. -Summer Solstice era il nome del Campo estivo di Kundalini Yoga dei primi studenti di Yogi Bhajan. -Al tempo Yogi Bhajan non era ancora succeduto nella linea dei maestri del Tantra Yoga Bianco. Mahan tantrico era ancora Lama Lilan Po che, fatto davvero curioso, viveva anch’egli a Los Angeles. Al campo pertanto si praticava solo Kundalini Yoga. -Yogi Bhajan era in America da meno di un anno e la comunità americana di giovani si faceva molte domande circa lo Yoga e gli Yogi. -il suffisso “ji” è sinonimo di rispetto e familiarità. Yogiji significa lo Yogi che tutti noi conosciamo. Yogiji era ovunque. Oltre che insegnare sia al mattino che alla sera, ballava con noi nei girotondi, era arbitro di Gare di Kabaddi(una lotta libera a squadre molto nota in India ma sconosciuta in Occidente a quel tempo), serviva una ricetta speciale di riso con legumi e una bevanda chiamata Yogi tea, girava per tutto il campo, si confrontava con le persone con la conversazione. Ovunque andava sorrideva, benediva le persone, diceva parole che avevano eco nel profondo di noi e ispirava ciascuno. Era così divertente, così elevante e ti colmava con tale gioia che l’intera festa del Solstizio era infusa di un sentimento che veniva dal cuore e si sentiva chiaramente un risveglio dello spirito. La sua sola presenza trascinava l’intero campo. Perché lo faceva? Noi, intendo dire la maggior parte di noi, eravamo solo una gabbia di matti, hippy scoppiati ai quali accadeva di sentirsi su di giri praticando lo yoga. Delle trecento cinquanta persone presenti nel campo, non più di quindici fanno tutt’oggi ancora parte dell’associazione 3HO, fondata da Yogi Bhajan e praticano i suoi insegnamenti quaranta anni dopo. In quella remota valle di montagna, dalla mattina alla sera Lui si diede senza sosta per servire ciascuno. Cosa vedeva in noi? Una cosa è sicura, non lo faceva per diventare ricco. I suoi primi studenti erano così poveri che l’unica offerta che potevano fare erano i pochi soldi che Yogiji stesso lasciava per loro alla sua soglia perché li potessero prendere. Non era certamente per diventare famoso come insegnante delle star. Il Kundalini yoga che Yogiji insegnava era diretto più verso le masse popolari. Non era per il sesso. A un certo punto gli venne offerto un milione di dollari per fare sesso con una ricca ammiratrice. Declinò l’invito gentilmente. Non era per il potere. La vita che aveva lasciato in India gli garantiva una condizione di benessere, potere e prestigio. Ciò che motivava questo Yogi era qualcosa di completamente differente. Tutto quello che vedevamo di lui era uno yogi decisamente robusto, che si divertiva ed era un insegnante. Non avevamo la benché minima idea di chi fosse realmente. Lui, a differenza nostra che avevamo una visione così limitata, vedeva chiaramente chi eravamo e, cosa assai più importante, chi avremmo potuto essere. Vedeva il nostro potenziale. Al di là della follia e dell’uso di droghe c’era in noi il potenziale per far emergere dei santi-guerrieri dalla mente illuminata che potessero vivere per servire l’umanità con amore ed esprimere i più alti valori della vita spirituale. Vide la possibilità. Non soltanto la vide ma si mise al servizio di quel potenziale con un’energia senza limiti, vera umiltà, grazia e amore. Lui spesso ci diceva che ognuno ha scritto il suo destino sulla fronte. Diceva che potevamo non vederlo o essere completamente non consapevoli di ciò. Lui tuttavia lo vedeva e si poneva al servizio di tale destino. Il suo compito come maestro, affermava, era quello di renderci consapevoli del nostro destino. Per dirlo con le sue parole: “Voi siete qui, non in quanto voi siete stati spirituali, voi non siete qui per essere spirituali; voi siete qui perché questo era il vostro destino. Io faccio la mia parte. Sta a voi decidere se volete fare la vostra.” Un pomeriggio assolato e luminoso Yogiji chiamò un gruppo di uomini per un incontro di Kabaddi. Con toni entusiastici spiegò che si trattava di una competizione della antica tradizione yoga per la quale erano necessari controllo del respiro, forza, lavoro di squadra e rapidità. La cosa era per me interessante, sembrava essere qualcosa di divertente. Avevo sempre praticato sport con successo e mi piacevano le sane competizioni. Tuttavia avevo le mie perplessità. Non era lo yoga qualcosa che aveva a che fare con la scoperta del proprio sé e con la realizzazione dell’individuo? Da dove veniva adesso questa competizione? Divise gli uomini in due squadre e ci fece spogliare lasciandoci solo con i boxer. Niente scarpe, né magliette. In quel momento l’intero campo si era radunato intorno al terreno di gioco e l’eccitazione era alle stelle. “Ascoltate,” urlò “una squadra sceglie un corridore. L’altra squadra sceglie un difensore.” Istruì allora uno di noi a tracciare una linea sul campo a dividere le due squadre. A me sembrava una sorta di combattimento libero o una specie di Red Rover. Il corridore deve inspirare profondamente e ripetere: “ Kabaddi, Kabaddi, Kabaddi.” Mi chiesi se non si trattava di una specie di nuovo mantra. “Bene! Dovreste essere capaci di trattenere il fiato senza prendere fiato per un minuto intero.” Io sarei già stato fortunato a trattenerlo per venti secondi. “Adesso, tu sarai il primo corridore.” Così dicendo indicò un noto insegnante della California. Era un uomo robusto, muscoloso, con una folta criniera di capelli e una lunga barba. Costui si fece avanti raccogliendo l’attenzione del pubblico e impaziente di mostrare le sue capacità. “Okay, quando te lo dico, prendi un grande respiro e cominci a ripetere: Kabaddi. Tenendo il respiro attraversi la linea e tocchi un membro della squadra avversaria e provi a ritornare indietro prima di respirare di nuovo. Hai capito?” “Sissignore!” Poi, rivolgendosi ai membri dell’altra squadra: “ Dal momento che lui tocca uno qualunque della vostra squadra voi dovete fare in modo che lui non ritorni dalla sua parte del campo.” “Uh oh”, pensai, “questa la veda dura.” “Sei pronto?” Chiese Yogiji. “Sì!” Rispose l’uomo senza sapere cosa lo aspettasse in realtà. “Inspira!” L’uomo riempì i suoi polmoni. “Kabaddi, Kabaddi, Kabaddi…. “Vai!” L’uomo corse oltre la linea di divisione e diede uno schiaffo sulla spalla di un ragazzo della squadra avversaria. Fu subito circondato e alla fine inspirò con un gran respiro. “Che era ‘sta roba?” Yogiji fece intendere che l’uomo aveva fallito miserabilmente. “Tu devi combattere. Come puoi pretendere di tornare indietro se non combatti?” Combattere? Rimasi stupito a sentire quella parola. Da quando il combattere entrava in una via come lo yoga? “Chi è il prossimo?” chiese yogiji guardando verso la squadra che aveva difeso. Uno dei più grossi della squadra si fece avanti. Gli spettatori iniziarono a tifare. Cominciò una respirazione di iperventilazione per caricarsi di ossigeno e all’urlo perentorio dello Yogi inspirò e ripetendo ‘Kabaddi’ si lanciò nel campo avversario. Colpì duro un avversario con entrambe le mani sul petto facendolo volare a terra. Provò a scappare ma non fu abbastanza veloce. Io lo placcai alle gambe, un altro lo afferrò alla vita. Con la folla che urlava per incoraggiarlo, si battè valorosamente: diede un colpo sulla bocca con il braccio che gli rimaneva libero ad uno di noi, dimenandosi per liberarsi e mi rovesciò sul terreno. Alla fine non ce la fece più e prese fiato ma con parte del suo corpo oltre la linea di divisione. “Punto!” Strillò lo Yogi. “Bene”. L’uomo aveva diversi graffi sulla schiena, uno di noi sanguinava dalla bocca, uno era in debito d’ossigeno e tutti ansimavano. Mi faceva male il braccio che era rimasto schiacciato. Ci tremavano le gambe ed era il nostro turno di mandare un corridore. Si fece avanti un tipo basso e muscoloso che si precipitò oltre la linea e corse verso i difensori a semicerchio aggirandoli vicino alla linea di fondo. Abbassò la testa e colpì il primo difensore davanti a lui. Lo fece con tale impeto che il difensore e lui stesso caddero oltre la linea dalla nostra parte. “Punto!”Esclamò lo Yogi saltando su dalla sedia dove si era nel frattempo seduto. Il difensore sembrava avesse incrociato un camion e che avesse bisogno di cure fuori dal campo. Noi eravamo ora i difensori. Il corridore aggirò la nostra difesa cercando di ripetere la stessa tattica. Abbassò la testa e corse davanti a me. La carica di un bufalo. Feci una finta e scartai da una parte. Si girò e ritornò sulla mia schiena ma non riuscì a trattenere il respiro. Punto nostro! Ora toccava a me. Mi era chiaro che non potevo competere fisicamente con ragazzi che pesavano cinquanta chili più di me. Corsi ma lentamente oltre la linea, con le mie lunghe braccia non mi fu difficile toccare un avversario sulla spalla e mi riportai oltre la line prima che potessero afferrarmi. “Bene, bene!” Esclamo con un ruggito Yogiji. Fu dura e il gioco ci sfinì. In più nessuno di noi era uscito fuori dall’incontro senza segni sul fisico. Più il gioco si faceva duro e più Yogiji apprezzava. Credo che fu una fortuna che non andò peggio di così. Credo che il motivo per cui il Kabaddi non fu mai più ripetuto è dovuto al fatto che qualcuno mise in guardia Yogiji dalle conseguenze legali che potevano generarsi se qualcuno si fosse fatto male seriamente. Tuttavia, anni dopo, presso la nostra scuola in India, la lotta Kabaddi divenne uno degli sport preferiti dai nostri studenti. Questo fu il primo approccio con l’aspetto di guerriero di Yogiji. Di sicuro ero immerso profondamente nella visione Hippy di pace e amore, ogni cosa era bellissima, la vita rose e fiori e fantasie d’incensi. Durante il decennio passato avevo marciato orgogliosamente contro la guerra in Vietnam e mi ero preso i lacrimogeni urticanti un paio di volte. Ero un sostenitore della pace e l’idea di combattere mi ripugnava. Il fatto che invece lo yogi apprezzasse una forma qualsiasi di combattimento mi disturbava non poco. Non solo lo Yogi apprezzava profondamente il combattimento ma saltava su e giù incoraggiandoci e entusiasmandosi quando noi combattevamo con passione. Quando urlava poi sembrava che la Terra tremasse e c il fuoco sembrava uscirgli dagli occhi. Potevo facilmente immaginarmelo con la spada sguainata in sella a uno stallone lanciato al galoppo alla guida d’un esercito nella furia di un campo di battaglia. L’intera idea mi sembrava assurda. Non avevo mai letto di uno yogi che fosse anche un guerriero. Pensavo che le due personalità fossero in totale opposizione. Mi chiedevo seriamente se quali fossero le credenziali di questa persona. Ma che ne sapevo io di tutto questo? Io ancora pensavo che essere spirituali significasse rinunciare al mondo e vivere in una caverna. Come sempre Yogiji continuava ad insegnarci anche quando credevamo che non lo stesse facendo. Lui stava vivendo in pieno l’ideale del santo/soldato, dello Yogi/guerriero. Venne a me attraverso gli insegnamenti e le azioni anche quando avevo scelto di vedere solo la parte del santo/yogi. Con le sue parole: ”L’essere umano è una mescolanza di santo e soldato: questa è una persona completa. Se tu non sei un soldato la tua santità sarai preso a calci, se sei un soldato e non un santo comincerai a prendere a calci gli altri. Quella parte spirituale di noi che è il soldato/guerriero era a noi del tutto sconosciuta e disturbava così tanto i preconcetti nei quali m’identificavo che tentai in ogni modo di bloccare l’impatto su di me di tali insegnamenti. Mi ci vollero anni per comprendere questo aspetto. A quel tempo era troppo per me partecipare in competizioni e vederle semplicemente come attività spirituali. Insomma Yogiji si divertiva con giochi semplici e divertenti come la lotta e il combattimento. Sembrava proprio che terreno e spirituale non fossero necessariamente incompatibili. Mi sembrava per la prima volta che potessero essere parte integrante di una stessa esistenza. Quindi se il divertimento e il gioco competitivo potevano essere parte della vita spirituale, cos’altro poteva includere questo genere di vita? Io pensavo che la spiritualità fosse sedere immobile in meditazione, comunicando esclusivamente con dio ed essere ”santo”. Credevo che un santo fosse qualcuno che se ne andasse in giro, dicendo cose sagge, insegnando lezioni sulla maestria e fluttuando sull’onda della vita. Ma lì c’era uno Yogi che saltava su e giù, incoraggiando fino ad urlare, mentre un gruppo di uomini combatteva, lottava e sanguinava. Qui non c’era un insegnante che se ne rimaneva distaccato sopra il flusso della vita. Di fatto era nel mezzo di essa. I miei occhi si aprirono lentamente. Arrivai a comprendere che una vita spirituale poteva includere divertimento, giochi, competizioni sportive, combattimenti, risate a crepapelle e a volte anche farsi male. Realizzai che un maestro può confrontare uno studente attraverso cose che apparentemente non sembrano appartenere all’ambito spirituale. Compresi che può accadere che un novellino come me può superare quelle concezioni limitate attraverso le quali afferma cosa è spirituale e cosa non lo è e vedere dio in tutto. Compresi che niente è impossibile. Singh Sahib Kirpal Singh Khalsa Traduzione dall’inglese di Hari Simran Singh Khalsa.
Posted on: Wed, 11 Sep 2013 20:51:38 +0000

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