Andrea Graziosi Le carestie sovietiche del 1931-33 e il Holodomor - TopicsExpress



          

Andrea Graziosi Le carestie sovietiche del 1931-33 e il Holodomor ucraino: E’ possibile una nuova interpretazione, e quali sarebbero le sue conseguenze? 1 Prima o poi il popolo sovietico vi metterà alla sbarra degli accusati come traditore sia del socialismo che della rivoluzione, principale sabotatore, vero nemico del popolo, organizzatore della carestia...(grassetto mio) F. Raskol’nikov, Ambasciatore sovietico in Bulgaria, a Stalin, 17 agosto 1939 2 1) La scoperta Tra la fine del 1932 e l’estate del 1933, la fame fece in Urss, in meno di metà del tempo, circa sette volte più vittime del Grande terrore del 1937-38. Quei mesi furono il picco di una serie di carestie cominciate nel 1931, il punto di svolta del decennio e, insieme, l’evento più importante della storia sovietica prima della guerra. Coi suoi cinque milioni di morti (la cifra non tiene conto delle centinaia di migliaia, forse anche del milione e più, che erano già morti in Kazachstan e altrove a partire dal 1931), la carestia del 1932-33 fu anche la più grave della storia sovietica (tanto nel 1921- 22 che nel 1946-47 le vittime furono uno-due milioni), sulla quale ha lasciato un’impronta politica, psicologica e demografica visibile ancor oggi. Essa ha influenzato profondamente anche la vita di paesi abitati da comunità immigrate dall’impero russo e dall’Urss, e la sua importanza storica e politica è ancora forte. Dal 1987-88, per esempio, la riscoperta e l’interpretazione della carestia hanno giocato in Ucraina un ruolo cruciale nello scontro tra i sostenitori della democratizzazone e quelli del vecchio regime. Il Holodomor (la nuova parola coniata per definire lo sterminio di massa per fame e la sua intenzionalità) 3 ha occupato il centro del dibattito politico e culturale, trasformandosi in parte integrante del processo di costruzione statale e nazionale e nel maggio 2003 il parlamento ucraino ha ufficialmente dichiarato la carestia del 1932-33 un atto genocidario perpetrato dal regime di Stalin contro il popolo ucraino. 1 Una versione ucraina di questo saggio è pubblicata sul n. 3 (2005) dell’ “Ukraïns’kyj istoryčnyj žurnal”. Oleg Chlevnjuk e Mark Kramer lo hanno letto e reso migliore grazie alle loro critiche. Alessandro Barbero e Gia Caglioti hanno rivisto la sua versione italiana, aiutandomi a renderla più chiara e comprensibile per chi non studia la storia sovietica. Ipotesi, conclusioni, e oscurità, restano naturalmente solo mie. 2 Raskol’nikov, famoso eroe della guerra civile, servì come ambasciatore a Sofia dal 1934 al 1938, e rifiutò di tornare a Mosca a farsi stritolare nelle purghe. La sua “lettera aperta” a Stalin apparve su Novaja Rossija (Parigi) il primo ottobre 1939, tre settimane dopo la sua morte a Nizza. La lettera, con molto altro materiale, è stata di recente ristampata in Reabilitacija: kak eto bylo, fevral’ 1956-načalo 80-ch godov [La riabilitazione come fu, febbraio 1956-inizi anni 1980], Mosca, 2003, pp. 420-453. La traduzione è mia. 3 Il termine è stato creato dalla fusione tra le parole holod (in ucraino fame, carestia) e moryty, uccidere (di stenti), affamare, esaurire. Esso quindi mette l’accento sulla intenzionalità, diversamente dal più neutro holod (golod in russo).2 Eppure, fino al 1986, quando Robert Conquest pubblicò il suo Harvest of Sorrow 4 , gli storici avevano quasi ignorato questo evento straordinario. Non che mancasse la documentazione a proposito, come mi resi conto leggendo i rapporti spediti dai diplomatici italiani a Mussolini, che mi dimostrarono che era stato sempre possibile sapere. Grazie ai grandi movimenti di popolazione del XX secolo—migrazioni, forzate o meno, spostamenti, trasferimenti ecc.—e alle tracce da essi lasciate—dispacci diplomatici, resoconti di viaggiatori, memorie di testimoni e vittime—molte erano le voci pronte a parlare a chi fosse stato capace di ascoltarle 5 . In questa prospettiva, è stupefacente quanto poco sapessimo, e quanto poco ce ne preoccupassimo 6 . Nei casi migliori, storici come Naum Jasny e Alec Nove parlavano sì di una man- made famine (ancora affrontata come se si trattasse di un unico evento), ma senza preoccuparsi di studiarla a fondo e ignorandone la dimensione nazionale. Qualche anno dopo Moshe Lewin ricostruì i meccanismi che scatenarono la carestia, ma non si occupò di essa 7 . Nei casi peggiori, la carestia era il pretesto di polemiche deprimenti, per non dire vergognose, in cui la sua stessa esistenza veniva contestata, o minimizzata. In Urss, dove gli storici, anche dopo il 1956, potevano al più scrivere di “difficoltà alimentari”, l’uso stesso della parola golod (fame, carestia) era proibito. In Ucraina essa fu pronunciata ufficialmente per la prima volta da Ščerbyc’kyj, il primo segretario del partito ucraino, nel discorso che celebrava il 70° anniversario della repubblica nel dicembre 1987 8 . Ecco perché il libro di Conquest, risultato di un progetto lanciato dall’Harvard Ukrainian Research Institute e codiretto da James Mace 9 , ha avuto un’importanza eccezionale: esso ha costretto una professione riluttante ad occuparsi di un problema fondamentale, e lo ha fatto mettendo subito in risalto il legame tra carestia e questione nazionale e insistendo—come è giusto—sulla 4 R. Conquest, Raccolto di dolore: collettivizzazione sovietica e carestia terroristica, Roma, 2004 (ma New York, 1986). 5 A. Graziosi, ‘Lettres de Char’kov’. La famine en Ukraine et dans le Caucase du Nord à travers les rapports des diplomates italiens, 1932-1934, “Cahiers du monde russe et soviétique”, 1-2 (1989); Id., Lettere da Kharkov. La carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei rapporti dei diplomatici italiani, 1932-33, Torino, 1991; Commission on the Ukrainian Famine, Investigation of the Ukrainian Famine, 1932-33. Report to Congress, Appendix, Washington, D.C., 1988; L.Y. Luciuk, B.S. Kordan, The Foreign Office and the Famine: British Documents on Ukraine and the Great Famine of 1932-33, Kingston, 1988; D. Zlepko, Der ukrainische Hunger-Holocaust (una edizione non soddisfacente), Sonnenbühl, 1988; W.W. Isajiw (a cura di), Famine-genocide in Ukraine, 1932-33. Western archives, testimonies, and new research, Toronto, 2003; V. Kravchenko, Ho scelto la libertà, Roma, 1947; Ukrainian Association of Victims of Russian Communist Terror, The Black Deeds of the Kremlin. A White Book, vol. 2, The Great Famine in Ukraine in 1932-33, Detroit, 1955; M. Dolot, Execution by Hunger, New York, 1985, ecc. Alla metà degli anni Sessanta D. Dalrymple analizzò le fonti disponibili in The Soviet Famine of 1932-34, “Soviet Studies”, 3 (1964) e 4 (1965). Vi sono ora diverse bibliografie della carestia e dell’Holodomor disponibili in rete. Cfr per esempio Holodomor 1932-1933. Materialy do bibliografij, archives.gov.ua/Sections/Famine/. In Italia G. De Rosa e F. Lomastro hanno curato La morte della terra. La grande “carestia” in Ucraina nel 1932-33, Roma, 2004, che contiene tra l’atro importanti contributi di alcuni dei principali studiosi ucraini e russi. 6 La mancanza di attenzione non si limitava alla carestia del 1932-33. Gli studi erano ancora dominati, e non senza motivo, dall’autorità di E.H. Carr che, nei suoi volumi sul 1917-1929 aveva dedicato solo poche pagine a quella del 1921-22, che pure ebbe un ruolo cruciale nell’esperienza formativa sovietica e negli sviluppi successivi, senza prendere in esame né la condotta e il fato dei contadini, né le implicazioni del disastro per le nazionalità coinvolte. Sapevamo molto poco anche della carestia del 1946-47, malgrado il peso assegnatole da Chruščev nelle sue memorie (cfr ora Vospominanija –vremja, ljudi, vlast’ [Memorie. Tempi, gente, potere], 4 voll., Mosca, 1999). V.F. Zima, Golod v SSSR 1946-1947 godov: projschodženie i posledstvija [La carestia del 1946-47 in Urss: cause e conseguenze], Mosca, 1996; O. Veselova et al., Holodomori v Ukraїni 1921-23, 1932-33, 1946-47 [Holodomori in Ucraina: 1921-23, 1932-33, 1946-47], Kyїv, 2000. K.C. Berkhoff ha di recente analizzato anche l’affamamento di Kyïv organizzato dai tedeschi nel 1941-42. Cfr il suo Harvest of Despair. Life and Death in Ukraine under Nazi Rule, Cambridge, MA, 2004. 7 N. Jasny, The Socialized Agriculture of the USSR, Stanford, 1949; A. Nove, An Economic History of the USSR, London, 1969 (3° ed. 1992); M. Lewin, “Prendere il grano”. Le politiche prebelliche degli ammassi (1974), ora in Id., Storia sociale dello stalinismo, Torino, 1988. 8 Sulle circostanze che portarono all’uso della parola cfr l’interessantissimo saggio di S.V. Kul’čyc’kyj, Il tema della carestia nella vita politica e sociale dell’Ucraina alla fine degli anni Ottanta, in De Rosa e Lomastro, La morte della terra, pp. 431-48. 9 Su Mace, poi trasferitosi in Ucraina e di recente scomparso, cfr la nota biografica di Federigo Argentieri in De Rosa e Lomastro, La morte della terra, pp. 449-53.3 necessità di trattare a parte il caso kazacho. E’ perciò lecito sostenere che la storiografia sulle carestie e il Holodomor sia cominciata con questo libro, anche se altri studiosi, come Maksudov o Žores Medvedev, stavano già affrontando con serietà il problema 10 . Ciò risulta ancor più vero se si tiene conto delle polemiche suscitate dal libro. Grazie al loro livello, di molto superiore al precedente, il dibattito, anche violento, sulla “carestia” si trasformò in parte integrante del processo attraverso cui gli storici cominciarono a prendere coscienza delle straordinarie dimensioni umane e intellettuali di quegli eventi. Questo processo è stato, e può ancora essere, molto doloroso perché avviene dopo che il giudizio storico, e la “memoria collettiva”, su un’epoca si sono già depositati senza che le carestie sovietiche ne facessero parte, a seguito del vittorioso sforzo sovietico di nascondere quanto accadde e di quella che considero una delle caratteristiche essenziali del XX secolo europeo, vale a dire la logica di schieramento che lo ha dominato, provocando cecità di massa. Si è trattato quindi, e ancora si tratta, di immettere le carestie sovietiche nella nostra rappresentazione del passato, a prezzo della completa, e a tratti crudele, rinuncia a immagini e credenze largamente diffuse ma non per questo veritiere. 2) Verso una nuova interpretazione Arrivò poi la rivoluzione archivistica e storiografica del 1991, che permise l’accumulazione accelerata di nuove conoscenze e fece fare alle polemiche un nuovo salto di qualità trasformandole, con qualche penosa eccezione, in serie controversie scientifiche. Un vero spirito di ricerca, e un fermo impegno morale, nutriti dalla coscienza dell’immensità della tragedia che ci si sforza di comprendere, animano oggi entrambi i campi in cui è possibile—a prezzo di qualche forzatura e di molto schematismo—dividere le posizioni degli studiosi. Si può dunque guardare agli anni appena trascorsi, in cui le conclusioni raggiunte da Conquest sono state integrate, e in parte superate, con soddisfazione, e trovare in essi motivo di ottimismo. Con qualche forzatura in più, le posizioni di questi due campi possono essere sintetizzate in questo modo (riprendo qui una lettera inviatami da Valery Vasil’ev, un giovane e valente storico ucraino): da un lato vi sono quelli che potremmo definire gli studiosi di tipo A, che sostengono la tesi del genocidio e vedono nella carestia un fenomeno organizzato artificialmente per: a) spezzare la schiena ai contadini e/o b) alterare (distruggere) il tessuto vitale connettivo della nazione ucraina, che impediva la trasformazione dell’Urss in un impero dispotico. Dall’altro lato stanno gli studiosi di tipo B che, pur riconoscendo in pieno la natura criminale delle politiche staliniane, ritengono necessario studiare la carestia come un “fenomeno complesso”, in cui più fattori, dalla situazione geopolitica allo sforzo modernizzatore, giocarono un ruolo decisivo accanto alle intenzioni e alle decisioni di Mosca 11 . Penso che abbiamo oggi gran parte degli elementi necessari a una nuova, e più soddisfacente, ipotesi interpretativa, capace di tener conto sia del generale, e complesso, quadro sovietico, che dell’incontestabile rilevanza della questione nazionale 12 . Essa può essere costruita a partire dagli eccellenti lavori pubblicati negli ultimi anni da storici ucraini, russi e occidentali, rompendo così anche il muro che ancora almeno in parte separa i loro sforzi. 10 J. Mace, Communism and the Dilemmas of National Liberation: National Communism in Ukraine, 1918-33, Cambridge, MA, 1983; S. Maksudov (Babënišev), Poteri naselenija SSSR [Perdite di popolazione in Urss], Benson, 1989. Zh. Medvedev, nel suo Soviet Agriculture, New York, 1987, ha un capitolo eccellente sulla carestia, in cui sono correttamente ricostruite le sue caratteristiche pansovietiche, ma che non si occupa dei suoi aspetti nazionali. Cfr anche B. Krawchenko, Social Change and National Consciousness in Twentieth-Century Ukraine, Edmonton, 1985. 11 Data la schematizzazione estrema di questa classificazione, non me la sento di attribuire all’uno o all’atro campo questo o quell’autore. Ma anche gli studi migliori, come quelli citati alla nota 12, potrebbero spesso, senza molte difficoltà, essere suddivisi in A e B. 12 Nel 1996, in La grande guerra contadina in Urss, 1918-1933, Napoli, 1998 (ma Cambridge, MA., 1996), avevo già cercato di mettere insieme una tale ipotesi, ma in modo che ritengo oggi inadeguato e almeno in parte errato.4 Nelle prossime pagine cercherò di tratteggiare i contorni di questa interpretazione, basandomi sulle ricerche di studiosi eminenti come Danilov, D’Ann Penner e Kondrašin, Davies e Wheatcroft, Ivnickij, Kul’čyc’kyj, Mace, Martin, Meslé e Vallin, Šapoval, Vasil’ev 13 , e Oleg Chlevnjuk, i cui lavori su Stalin e la sua cerchia, benché non direttamente centrati sulla carestia, ci permettono di situarla nel contesto politico che le fu proprio 14 . La speranza è non solo di far avanzare la comprensione della “Grande carestia” (un termine collettivo per indicare le carestie del 1931-33 nel loro insieme), ma anche di stimolare un dibattito che contribuisca ad abbattere il muro, ancora alto e forte, che separa i suoi storici da quelli del Novecento europeo, un secolo che è semplicemente impossibile comprendere, e giudicare, appieno senza che questi eventi vi siano definitivamente integrati. Per formulare questa nuova interpretazione, occorre per prima cosa definire con precisione il suo oggetto. Come dovrebbe essere ormai chiaro, abbiamo a che fare con quanto sarebbe più corretto chiamare, a livello sovietico, le carestie del 1931-33, che ebbero naturalmente cause comuni e un comune retroterra, ma che comprendono almeno due fenomeni di importanza tanto grande come spiccata è la loro differenza: la carestia con epidemie kazacha del 1931-33, e il Holodomor ucraino e del Kuban (una regione del Caucaso settentrionale appartenente alla repubblica russa ma abitata allora prevalentemente da ucraini) di fine 1932-inizio 1933. Molte delle passate incomprensioni hanno alla loro radice la confusione tra queste due tragedie nazionali e il fenomeno più generale che gli fece da sfondo. In un certo senso, è come se gli studiosi del nazismo confondessero la repressione nazista in generale con alcuni dei suoi casi specifici, e cruciali, come lo sterminio dei prigionieri di guerra sovietici, o quello dei polacchi e degli zingari, per non parlare dell’Olocausto, un fenomeno eccezionale che non può essere spiegato come semplice aspetto o elemento degli stermini nazisti, anche se ne fece certo parte. Insomma, tanto la repressione nazista in generale quanto queste “specifiche” tragedie sono esistite, e bisogna, come infatti avviene, tener conto di entrambi i livelli, studiando sia i fenomeni per sé che le loro connessioni e il quadro generale che queste compongono. Anche nel caso sovietico sarebbe quindi opportuno fare una chiara distinzione tra il fenomeno generale e le sue manifestazioni nelle repubbliche e nelle regioni del paese. Ma la gran parte dei sostenitori della posizione A si riferisce di fatto al Holodomor, nel mentre molti dei B ragionano su scala sovietica. Se distinguessimo cosa stanno in realtà facendo, finiremmo con lo 13 V.P. Danilov et al. (a cura di), Tragedija sovetskoj derevni [La tragedia della campagna sovietica], vol. 3, 1930-1933, Mosca, 2001; R.W. Davies, O. Khlevniuk et al. (a cura di), The Stalin-Kaganovich Correspondence, 1931-1936, New Haven, CT, 2003 (ma Mosca, 2001); R.W. Davies, S.G. Wheatcroft, The Years of Hunger: Soviet Agriculture, 1931-33, New York, 2004; N.A. Ivnickij, Kollektivizacija i raskulačivanie [Collettivizzazione e dekulakizzazione], Mosca, 1996; Id., Repressivnaja politika sovetskoj vlasti v derevne, 1928-33 [La politica repressiva sovietica nelle campagne, 1928- 33], Mosca, 2000; V. Kondrašin, D. Penner, Golod: 1932-33 v sovetskoj derevne (na materiale Povolžja, Dona i Kubani) [Carestia: il 1932-33 nelle campagne sovietiche (su materiali relativi al medio e basso Volga, al Don e al Kuban)], Samara-Penza, 2002; S.V. Kul’čyc’kyj (a cura di), Holod 1932-33 rokiv na Ukraïni: očyma istorykiv, movoju dokumentiv [La carestia del 1932-33 in Ucraina attraverso gli occhi degli storici e la parole dei documenti], Kyïv, 1990; Id. (a cura di), Holodomor 1932-1933 rr v Ukraïni: pryčyny i naslidky [Il Holodomor in Ucraina: cause e conseguenze], Kyïv, 1993; Id., Kolektyvizacija i holod na Ukraïni, 1929-1933 [Collettivizzazione e carestia in Ucraina, 1929-1933], Kyïv, 1993; Id., Ukraїna miž dvoma vijnamy (1921-1939 rr.) [L’Ucraina tra le due guerre, 1921-1939], Kyïv, 1999; V.M. Litvin (a cura di), Holod 1932-33 rokiv v Ukraïni: pryčyny ta naslidky [La carestia del 1932-33 in Ucraina: cause e conseguenze], Kyïv, 2003; T. Martin, An Affirmative Action Empire: Nations and Nationalism in the Soviet Union, 1923-1939, Ithaca. N.Y., 2001; F. Meslé, J. Vallin, Mortalité et causes de décès en Ukraine au XXe siècle, Paris, 2003; Ju. Šapoval, V. Vasil’ev, Komandiry velykoho holodu: poïzdky V. Molotova i L. Kahanovyča v Ukraïnu ta na Pivničnyj Kavkaz, 1932-33 rr. [Comandanti della grande carestia: le missioni di Molotov e Kaganovič in Ucraina e nel Caucaso del nord, 1932-33], Kyïv, 2001. Anche le ricerche che Timothy Snyder sta conducendo sulle relazioni polacco-ucraino- sovietiche sono di grande interesse. Cfr per esempio A National Question Crosses a Systemic Border: The Polish-Soviet Context for Ukraine, 1926-1935, intervento al congresso della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (Sissco), Bolzano-Bozen, settembre 2004. 14 O. Khlevniouk [Chlevnjuk], Le cercle du Kremlin. Staline et le Bureau politique dans les années 30, Paris, 2005 (ma cfr il più completo Politbjuro. Mechanizmy političeskoj vlasti v 1930-e gody [Politbureau. I meccanismi del potere politico negli anni Trenta], Mosca, 1996); O. Khlevniuk [Chlevnjuk], The History of the GULAG, New Haven, 2004.5 scoprire che da molti, ma certo non da tutti, i punti di vista entrambi sono nel giusto nei loro rispettivi campi di indagine. Il secondo passo che occorre fare è operare un’ulteriore distinzione analitica: bisogna infatti separare le carestie “spontanee” del 1931-32—le virgolette sono necessarie perché anch’esse furono, naturalmente, le dirette, anche se indesiderate e impreviste, conseguenze delle scelte del 1928-29— dalla fame successiva al settembre 1932, che assunse forme così terribili anche e soprattutto per via di decisioni umane ad essa direttamente connesse (gli eventi in Kazachstan si svilupparono seguendo un percorso in gran parte differente e mi limiterò quindi a trattarli solo quando necessario e comunque di sfuggita, rimandando ai più recenti studi su di essi, che mi sembra ne abbiano finalmente tracciato una ricostruzione soddisfacente) 15 . Il terzo passo che va fatto è quello di mettere insieme, e combinare, gli elementi più convincenti delle ipotesi A e B, lasciando cadere le loro parti meno soddisfacenti. Gli studiosi di tipo A hanno per esempio ragione ad attirare la nostra attenzione sulla questione nazionale. Chiunque studi l’Unione sovietica dovrebbe essere consapevole della sua importanza, come lo furono sia Lenin che Stalin (dopo tutto, il primo decise di non chiamare Russia il nuovo stato, e il secondo, che all’inizio si era opposto a questa scelta, non la mutò negli anni successivi). Bisognerebbe poi aver coscienza del primato ucraino in questo campo. E’ stato a ragione fatto notare che l’Ucraina ha giocato, dopo il 1917, il ruolo appartenuto nell’impero zarista alla Polonia: alla fine del 1919 Lenin cominciò la svolta verso le politiche di indigenizzazione (korenizacija) 16 , fino ad allora patrimonio delle formazioni nazionaliste più radicali, riflettendo sulle ragioni della sconfitta bolscevica in Ucraina nella primavera-estate del 1919 17 , e Stalin diede alla korenizacija un nuovo senso alla fine del 1932 a causa della crisi ucraina. Ma in Ucraina, almeno fino al 1933, la questione nazionale era la questione contadina, e così la pensavano, e giustamente, sia Lenin che Stalin. Per motivi che vedremo, l’ipotesi A invece non regge quando sostiene che la “carestia”, compresa quella pansovietica, venne organizzata (“pianificata”) anche prima dell’autunno 1932 per risolvere il problema nazionale, e/o contadino, ucraino. Gli studiosi del gruppo B offrono una preziosa e dettagliata ricostruzione delle cause, e del contesto generale della carestia a livello sovietico, in tutta la sua complessità, e sono così capaci di portare una critica convincente all’ipotesi A, almeno nelle sue versioni più semplicistiche. Epperò, essi sembrano incapaci di comprendere appieno, e quindi fare spazio, al fattore nazionale, vale a dire di “scendere” dal livello pansovietico a quello delle repubbliche. Questi studiosi, inoltre, non sembrano sempre in grado di vedere che Stalin, anche quando non era lui a cominciare qualcosa di proposito, fu sempre molto pronto a profittare di eventi “spontanei”, imprimendo una nuova direzione, e un nuovo senso, al loro corso. Il parallelo più ovvio è quello con l’omicidio Kirov, che molto probabilmente Stalin non organizzò, ma che certo seppe sfruttare in modo “creativo”. E’ quindi possibile usare i buoni studi B sullo sviluppo della crisi pansovietica, aggiungendo però che anche a livello pansovietico Stalin a un certo punto decise di usare la fame per spezzare la 15 K. Aldažumanov et al., Nasil’stvennaja kollektivizacija i golod v Kazachstane v 1931-33 gg [La collettivizzazione forzata e la carestia in Kazachstan, 1931-1933], Alma-ata, 1998; I. Ohayon, “Du Nomadisme au Socialisme”. Sédentarisation, collectivisation et acculturation des Kazakhs en URSS (1928-1945), Tesi di dottorato, Institut National des Langues et Civilisations Orientales, Parigi, 2003; N. Pianciola, Famine in the Steppe. The Collectivization of agriculture and the Kazakh herdsmen, 1928-34, “Cahiers du monde russe”, 1-2 (2004), pp. 137-192. 16 Nel 1923, una volta organizzata l’Urss come una federazione di repubbliche basate su nazionalità titolari, il partito adottò formalmente un insieme di misure per promuovere lo sviluppo delle nazionalità “arretrate” garantendo loro privilegi e diritti speciali nei loro territori. Presto tali misure presero il nome collettivo di korenizacija (indigenizzazione), ricavato dalla parola koren’, radice, che indicava come loro fine fosse il radicamento del regime nelle zone non russe. See Martin, Affirmative Action Empire. 17 R. Pipes, in The Unknown Lenin, New Haven, CT, 1996, p. 76-77, ha pubblicato la bozza segreta delle tesi sulla “politica in Ucraina” scritta da Lenin al momento della riconquista della repubblica nel novembre 1919. Tra le altre cose Lenin vi domandava “la più grande attenzione in merito alle tradizioni nazionali, lo stretto rispetto dell’eguaglianza della lingua e della cultura ucraine” ecc., come pure di “trattare gli ebrei e gli abitanti dei centri urbani [in larghissima parte non ucraini] con il pugno di ferro”.6 resistenza contadina alla collettivizzazione. A causa di numerosi fattori, questa opposizione era stata in genere più forte nelle aree non russe, dove gli eventi cominciarono presto a svilupparsi seguendo percorsi autonomi. Ricostruendo questi percorsi diventa possibile penetrare il segreto che ha circondato gli eventi del 1932-33 sin dal loro verificarsi, un secreto che però, come sembra suggerire la lettera di Raskol’nikov, l’elite bolscevica naturalmente conosceva. 3) La specificità ucraina e l’uso politico della carestia Che si può quindi dire? Nel 1931-33 centinaia di migliaia di persone morivano di fame in tutta l’Unione sovietica. In Kazachstan e Ucraina, nel Caucaso settentrionale e nel basso e medio Volga, la situazione era però incomparabilmente più grave. A eccezione del Kazachstan (e senza contare la Siberia occidentale), si trattava dei più importanti centri di produzione cerealicola del paese, dove—a partire dal 1927—il conflitto tra stato e contadini per il raccolto era stato più acuto. Almeno dal 1918-1919, inoltre, la guerra tra regime e contadini (o nomadi) vi aveva assunto tratti particolarmente brutali a causa della presenza di fattori nazionali e/o religiosi che ne moltiplicavano l’intensità (nel medio e basso Volga contavano invece, oltre alla forte presenza di coloni tedeschi, le grandi tradizioni del movimento contadino russo, di ispirazione socialista-rivoluzionaria). Ancora a eccezione del Kazachstan, le cause del fenomeno erano ovunque simili: l’impatto devastante, sia a livello umano che produttivo, della dekulakizzazione, risoltasi in un pogrom diretto dallo stato contro l’elite contadina; la collettivizzazione forzata che aveva spinto i contadini a distruggere gran parte del loro inventario 18 ; l’inefficienza e la miseria dei colcosi; le ripetute, e spietate, ondate di requisizioni, che traevano origine da un’industrializzazione in crisi, da un’urbanizzazione fuori controllo, e da un debito estero crescente cui si poteva far fronte solo esportando materie prime; la resistenza di contadini che non accettavano quella che definirono subito una “seconda servitù” e lavoravano sempre meno sia per il rifiuto che opponevano al nuovo sistema, che per la debilitazione fisica causata dall’inedia; le povere condizioni meteorologiche del 1932. La carestia, che aveva cominciato a colpire qui e là nel 1931 (quando però in Kazachstan i nomadi già morivano in massa), e aveva formato sacche consistenti nella primavera del 1932, ci appare perciò come l’indesiderata e imprevista conseguenza delle politiche di ispirazione ideologica con cui la dirigenza bolscevica aveva mirato a sradicare la produzione privata di merci. Certo, in base ai risultati del comunismo di guerra (molti dei cui principi vennero ripresi nel 1928-29) nel 1920-21, non sarebbe stato difficile prevedere quel che poi accadde nel 1931-33. Ma se si analizzano le origini e gli sviluppi della carestia prima dell’autunno del 1932 su scala pansovietica, come hanno fatto per esempio di recente Davies e Wheatcroft 19 , sembra molto difficile sostenere che la carestia sia stata l’effetto voluto di quelle politiche, come talvolta si fa nelle ipotesi che presentano la grande carestia come un evento ricercato per spezzare la resistenza contadina, o per eseguire un genocidio antiucraino pianificato a Mosca (quando non addirittura dai “russi”). Ma l’intensità, il corso e le conseguenze del fenomeno, che nuovi studi e documenti ci permettono di analizzare, furono indiscutibilmente, e sostanzialmente, diversi in differenti regioni e repubbliche. Dei sei-sette milioni di vittime (i demografi oggi imputano al 1930-31 una parte delle morti prima messe in conto ai due anni successivi) 3,5-3,8 morirono in Ucraina; 1,3-1,5 in Kazachstan (dove la mortalità raggiunse il suo picco in termini relativi, sterminando il 33-38% dei kazachi e l’8-9% degli europei); e centinaia di migliaia nel Caucaso settentrionale e, in misura 18 In un rapporto Ogpu sugli ammassi di cereali del maggio 1929 già si fa menzione di proteste contadine scatenate dal sequestro di pane e altri generi di prima necessità nei villaggi che non avevano adempiuto al piano di consegne. La fame fu quindi usata dal regime, che riprendeva anche in questo caso le pratiche della guerra civile, per punire e “educare” i contadini sin dagli inizi della collettivizzazione. In N. Werth e G. Moullec, Rapports secrets soviétiques, Paris, 1994, p. 112. 19 Davies e Wheatcroft, Years of Hunger.7 minore, nel medio e basso Volga, dove l’area più colpita coincise in larga parte con la repubblica autonoma tedesca (poi definitivamente sciolta nel 1941) 20 . Il tasso di mortalità annuo per mille abitanti nelle campagne, fatto pari a 100 il dato relativo al 1926, saltò a 188,1 nel 1933 nell’intero paese. Ma in quello stesso anno esso era pari a 138,2 nella Repubblica russa (che pure includeva allora tanto il Kazachstan che il Caucaso settentrionale), e a 367,7, vale a dire quasi il triplo, in Ucraina. Qui l’attesa di vita alla nascita precipitò nel 1933 dai 42,9 anni per gli uomini e 46,3 per le donne del 1926, a rispettivamente 7,3 e 10,9 (essa sarebbe stata di 13,6 anni per gli uomini e 36,3 per le donne nel terribile 1941, che si rivela così però meno terribile del 1933). Sempre in Ucraina il 1.153.000 di nascite verificatosi in media nel 1926-29, scese a 782.000 nel 1932 e precipitò a 470.000 nel 1933 21 . Dietro questa diversa intensità stava il differente corso della carestia, di cui erano largamente responsabili decisioni politiche prese a Mosca che, a partire dall’autunno del 1932 diedero alla carestia, in determinate repubbliche e regioni, quel carattere “pianificato” che viene a volte erroneamente proiettato anche sul periodo precedente. In Ucraina come in molte altre parti del paese, nella primavera del 1932 funzionari locali, maestri di villaggio e dirigenti delle repubbliche notarono il crescere della carestia e l’inizio di un esodo rurale di massa 22 . Stalin, sotto la pressione del partito ucraino che chiedeva una riduzione dei piani di ammasso, ammise all’inizio di giugno che, almeno nelle aree dove la situazione era più difficile, ciò era necessario, anche per un “senso di giustizia”. Tali riduzioni dovevano però essere modeste, e locali, perché, come Molotov avrebbe presto ufficialmente dichiarato, “anche se abbiamo oggi di fronte, specie nelle zone produttrici di grano, lo spettro della carestia... i piani di ammasso devono essere rispettati a tutti i costi”, 23 una conclusione verso cui spingevano la necessità di evitare il ripetersi, su larga scala, degli scioperi e dei moti urbani della primavera, e di onorare le cambiali tedesche in scadenza tra fine anno e inizio 1933. Sempre nel giugno 1932, però, ben prima che i nazionalisti ucraini cominciassero solo a pensare a una tale ipotesi, Stalin stava sviluppando quella che Terry Martin ha giustamente chiamato la sua “interpretazione nazionale” della carestia 24 . In un primo momento si sfogò rabbiosamente in privato contro i dirigenti della repubblica, che riteneva responsabili di una situazione che erano incapaci di fronteggiare con la necessaria fermezza. Già poche settimane dopo, però, tra luglio e agosto, dopo una conferenza del partito ucraino implicitamente polemica con Mosca, e sulla base di rapporti dell’Ogpu che accusavano i comunisti ucraini di essere contagiati dal nazionalismo, Stalin maturava una nuova analisi della situazione e delle sue cause 25 . 20 L’incertezza dei dati ucraini, e sopratutto di quelli kazachi, è causata in primo luogo dalla difficoltà di dar conto dell’impatto netto degli esodi causati dalla carestia. Molti dei fuggiaschi furono rispediti indietro a morire, altri perirono intorno alle stazioni delle città che erano riusciti a raggiungere, altri ancora riuscirono a salvarsi in Russia, in Transcaucasia o in Cina. 21 Maksudov, Poteri; Kul’čyc’kyj (a cura di), Holodomor 1932-1933 rr; Davies e Wheatcroft, Years of Hunger; Meslé e Vallin, Mortalité; E.M. Andreev, L.E. Darskij, T.L. Char’kova, Demografičeskaja istorija Rossijskoj federacii, 1927- 1959 [Storia demografica della Federazione russa], Mosca, 1998; Ju.A. Poljakov (a cura di), Naselenie Rossii v XX veke [La popolazione russa nel XX secolo], vol. 1, 1900-1939 gg., Mosca, 2000. 22 Anche la tragedia del 1921-22 fu annunciata da carestie locali nella primavera precedente, quella del 1920. Cfr A. Graziosi, Stato e contadini nelle Repubbliche sovietiche attraverso i rapporti della polizia politica, 1918-1922, “Rivista storica italiana”, II, 1998, pp. 463-528 (in cui, però, cito erroneamente vecchi, e sovrastimati, dati sulla mortalità di quella carestia); B. Patenaude, The Big Show in Bololand: The American Relief Expedition to Soviet Russia in the Famine of 1921, Stanford, 2002. 23 Citato in Ivnickij, Golod 1932-33 godov: kto vinovat [La carestia del 1932-33: di chi la colpa?], in Golod 1932-33 godov, Mosca,1995, p. 59. 24 La migliore ricostruzione delle origini della “interpretazione nazionale” data da Stalin alla carestia è in Martin, Affirmative Action Empire. Anche Mace, però, era giunto in precedenza a conclusioni molto simili, intuendo anche che qualcosa di decisivo per gli sviluppi successivi era accaduto nel luglio 1932. 25 Il 5 agosto, per esempio, l’Ogpu riportava che frazioni del partito comunista ucraino, e i nazional-comunisti ucraini, erano “agli ordini del secondo dipartimento dello Stato maggiore polacco”. In Tragedija sovetskoj derevni, vol. 3, 1930- 1933, pp. 420-22, 433.8 Forse giocò qui un ruolo anche l’ultima occasione di disaccordo in seno al Politburo registrata nelle carte prima della morte di Stalin. Alla riunione del due agosto 1932 qualcuno, probabilmente Petrovskij, allora presidente della Repubblica ucraina, contestò la bozza preparata da Stalin (che si trovava in vacanza e non partecipava perciò alla seduta) di quello che sarebbe diventato il famigerato e draconiano decreto del sette agosto sulla difesa della proprietà statale contro il furto campestre 26 . Subito dopo, l’11 agosto, malgrado la recente firma del patto di non aggressione sovietico-polacco 27 , in una cruciale lettera a Kaganovič, Stalin scrisse che l’Ucraina era ora “la questione principale (il corsivo è di Stalin)”, che il partito, lo stato, e persino gli organi della polizia politica della repubblica erano infestati da agenti nazionalisti e spie polacche, che si correva il rischio reale “di perdere l’Ucraina”, un’Ucraina che andava invece trasformata in una “fortezza bolscevica” 28 . Questa interpretazione, sviluppata in base all’esperienza ucraina, fu poi estesa ai cosacchi, che erano stati individuati come nemici del regime già nel 1919, quando li si era colpiti con la “decosacchizzazione” 29 , ai tedeschi del Volga e, anche se in termini meno brutali, ai bielorussi. La crisi spinse perciò Stalin ad applicare il suo allora già ben sviluppato modello di repressione preventiva, categoriale e perciò collettiva (che aveva già raggiunto un suo primo culmine con la dekulakizzazione) a numerosi gruppi nazionali e social-nazionali che a suo giudizio rappresentavano una minaccia per il regime. Come gli eventi avrebbero provato, l’Ucraina e gli ucraini continuavano però a essere in cima alla lista delle sue preoccupazioni. Quando, come c’era da aspettarsi, gli ammassi risultarono insoddisfacenti nelle regioni tradizionalmente produttrici di grano, Molotov, Kaganovič e Postyšev vennero spediti rispettivamente in Ucraina, nel Caucaso settentrionale e nel bacino della Volga a raddrizzare la situazione. La decisione di usare la carestia, ingigantendone artificialmente le dimensioni, per impartire una lezione ai contadini che rifiutavano la nuova servitù 30 , venne dunque presa in autunno, quando la crisi provocata dal primo piano quinquennale raggiungeva il suo culmine, e la moglie di Stalin si suicidava. La punizione era tragicamente semplice, quasi pavloviana e in fondo non estranea ai vecchi cliché socialisti, che acquistavano così un ben altro significato: chi non lavora, vale a dire non accetta il sistema colcosiano, non mangia. Stalin accennò al metodo che aveva escogitato nella sua famosa corrispondenza del 1933 con Šolochov. Gli “stimati coltivatori di grano” del Don, la cui sorte il famoso scrittore aveva lamentato con Stalin, avevano ingaggiato “una guerra ‘segreta’ contro il potere sovietico, una guerra in cui—scriveva Stalin rovesciando la realtà— essi hanno usato la fame come un’arma”, e di cui stavano ora pagando le conseguenze (vale a dire 26 Kaganovič parlò di questa opposizione, senza far menzione diretta di Petrovskij, in una lettera a Stalin che forse non venne spedita: “Ci siamo appena riuniti per discutere del progetto di decreto, che si compone di tre parti nello spirito delle Vostre indicazioni. Contro la terza parte è intervenuto ieri..., che però oggi non c’era, essendo partito. Dubbi, e persino obiezioni, sulla seconda e terza parte li ha mostrati anche..., ma alla fine dei conti abbiamo adottato il testo così come era stato concepito”. La seconda parte condannava i responsabili di furto di proprietà colcosiana (essenzialmente grano) alla pena di morte, o a 5-10 anni di lavoro forzato in presenza di circostanze attenuanti. La terza puniva chi incitava i contadini a lasciare i colcosi con 5-10 anni di lavoro forzato. In Stalin-Kaganovič, Perepiska, pp. 134, 256. 27 Il patto fu firmato il 25 luglio 1932. Nel suo A National Question Crosses a Systemic Border, Snyder sostiene in maniera convincente che anche se Mosca, dopo il golpe di Piłsudski del 1926, si sentì oggetto di un possibile attacco, dopo il 1930 Varsavia divenne sempre più incline alla preservazione dello status quo. E’ quindi probabile che—come suggerisce Snyder—una volta eliminata col patto la minaccia polacca nell’estate del 1932, Stalin si sia sentito libero di sfruttarne i residui per liquidare nemici potenziali e consolidare la sua posizione. 28 Davies, Khlevniuk et al. (a cura di), Stalin-Kaganovich Correspondence (uso però l’edizione originale russa, Mosca, 2001, pp. 273-74). 29 P. Holquist, ‘Conduct merciless mass terror.’ Decossackization in the Don, 1919, “Cahiers du monde russe”, 1-2 (1997), pp. 127-62. 30 S. Fitzpatrick, Stalin’s Peasants: Resistance and Survival in the Russian Village after Collectivization, New York, 1994; M.A. Beznin, T.M. Dimoni, Povinnosti rossijskich kolchoznikov v 1930-1960-e gody [Gli obblighi dei colcosiani russi, anni 1930-1960], “Otečestvennaja istorija”, 2 (2002).9 con la carestia in corso, secondo l’implicita conclusione che Stalin lasciava al destinatario della lettera) 31 . Mosca non solo rifiutò di prestare soccorso alla grande maggioranza delle regioni più colpite fino alla primavera del 1933 (anche i contadini del Don ricevettero qualcosa solo a maggio). Mentre il commissario agli Esteri Litvinov negava ufficialmente la stessa esistenza della carestia nelle sue risposte alle domande dei diplomatici e della stampa estera, lo stato infatti “lottava con ferocia” (nelle parole di Kaganovič) per portare a termine i piani di ammasso delle regioni in questione. Dove la “questione contadina” era complicata, resa più acuta e quindi più pericolosa da quella nazionale—ricordiamo che Stalin aveva esplicitamente legato le due questioni nei suoi scritti sul nazionalismo, e che la leadership sovietica aveva visto confermare questa ipotesi dalle grandi rivolte sociali e nazionali delle campagne ucraine nel 1919, poi ripetutesi, anche se su scala minore, all’inizio del 1930 32 —il ricorso alla fame fu più spietato, e la lezione molto più crudele. Secondo i dati demografici, anche in Ucraina la mortalità fu strettamente correlata alla residenza, urbana o rurale, e non alla nazionalità delle vittime. In altri termini chi viveva in campagna soffrì molto di più di chi risiedeva in città, indipendentemente dalle sue “origini etniche”. Ma non si può dimenticare che, come tutti sapevano, malgrado l’urbanizzazione accompagnata dall’ucrainizzazione del decennio precedente, i villaggi restavano in prevalenza ucraini, mentre le città avevano in larga parte conservato il loro carattere “alieno”, vale a dire russo, ebraico e—ma sempre meno—polacco 33 . Anche in Ucraina, quindi, le campagne furono l’obiettivo di misure tese a spezzare la schiena dei contadini, ma si aveva piena coscienza che quelle campagne rappresentavano la spina dorsale della nazione. Il fatto che, a causa della “interpretazione nazionale”, la decisione di usare la carestia assunse in Ucraina e nel Kuban tratti assolutamente specifici è confermato da misure che erano, almeno in parte, molto diverse da quelle adottate su scala pansovietica, con la parziale eccezione delle terre dei cosacchi del Don. Il 18 novembre il Comitato centrale ucraino, che Molotov e Kaganovič avevano costretto all’obbedienza, ordinò ai contadini di rendere i miseri anticipi in natura sul nuovo raccolto che essi avevano appena ricevuto a pagamento del lavoro svolto. La decisione (non è difficile immaginare in cosa si traducesse la sua applicazione in villaggi dove imperversava la fame) aprì la strada alla repressione dei funzionari locali che avevano aiutato le famiglie contadine più affamate distribuendo loro grano. Centinaia di questi funzionari vennero fucilati, e migliaia arrestati, spesso con l’accusa di “populismo”. Intanto, in Ucraina e nel Kuban lo stato introduceva multe in natura per privare i contadini anche di carne e patate, una misura che non venne estesa al Volga, dove—con la possibile eccezione della Repubblica autonoma tedesca—Postyšev trattò con meno durezza anche i quadri locali (questa punizione meno feroce causò comunque un numero elevatissimo di morti per fame). Alcune aree del Caucaso settentrionale e dell’Ucraina, dove l’opposizione alla collettivizzazione era stata più forte, vennero invece punite con crudeltà ancora maggiore: tutti i beni che vi si trovavano, inclusi quelli non agricoli, vennero rimossi dai negozi locali, mentre in alcune località si procedette alla deportazione verso il nord e l’est dell’intera popolazione. La carestia prese così forme e dimensioni di gran lunga superiori a quelle che avrebbe avuto se la natura avesse seguito il suo corso. Sebbene molto meno intensa e estesa, in termini di siccità e 31 Per lo scambio, rivelato da Chruščev nel 1963, cfr ora Pisatel’ i vožd’: perepiska M.A. Šolochova s I.V. Stalinym [Lo scrittore e il duce: la corrispondenza Stalin-Šolochov], Mosca, 1997. 32 A. Graziosi, Bol’ševiki i krest’jane na Ukraine, 1918-1919 gody [Bolscevichi e contadini in Ucraina, 1918-1919], Mosca, 1997; Id., Collectivisation, révoltes paysannes et politiques gouvernementales à travers les rapports du GPU d’Ukraine de février-mars 1930, “Cahiers du monde russe”, 3 (1994); L. Viola, Stalin e i ribelli contadini, Soveria Mannelli, 2000; V.P. Danilov, A. Berelowitch (a cura di), Sovetskaja derevnja glazami VČK-OGPU-NKVD [Le campagne sovietiche negli occhi della polizia politica], vol. 3, 1930-1934, tomo 1, 1930-31, Mosca, 2003. 33 Stalin non si preoccupò mai delle “schegge che volano quando si tagliano i boschi”, per usare una delle sue espressioni favorite. E fu forse il maggiore interprete e esecutore della scuola “statistica” di repressione, pronta a distruggere intere categorie per assicurare la “soluzione” di problemi reali, o anche solo potenziali o immaginari. Cfr A. Graziosi, O. Chlevnjuk, T. Martin, Il grande terrore, “Storica”, 18, 2000, pp. 7-62.10 aree colpite, di quella del 1921-22 (il raccolto del 1932, benché molto basso, fu per esempio anche più alto di quello del 1945, quando non vi furono morti di massa per fame), essa causò tre-quattro volte più vittime a causa di decisioni politiche che miravano a salvare il regime dalla crisi in cui era piombato a causa delle sue stesse politiche, assicurando così la vittoria della “grande offensiva” lanciata quattro anni prima. Dalla coscienza che in Ucraina e nel Kuban la questione contadina era anche una questione nazionale discese quella della necessità di affrontarle e “risolverle” entrambe in un colpo solo. E per garantire che tale “soluzione” sarebbe durata nel tempo, la si accompagnò con la decisione di eliminare le élite nazionali e le loro politiche, sospettate, come sappiamo, di connivenza coi contadini. Il 14 e il 15 dicembre 1932 il Politburo approvò due decreti segreti che capovolgevano, nella sola Ucraina, le politiche ufficiali in materia di nazionalità sancite nel 1923. Vi si leggeva che la già ricordata indigenizzazione (korenizacija), così come era stata applicata in Ucraina e nel Kuban, lungi dall’aver affievolito il sentimento nazionale lo aveva invece aiutato a crescere, producendo nemici con in tasca la tessera del partito (ricordiamo che uno dei precetti della korenizacija era appunto il reclutamento e la promozione di quadri locali nelle strutture del partito). I contadini non erano quindi i soli colpevoli della crisi, di cui dividevano la responsabilità con il ceto politico e intellettuale ucraino. In base a tale ragionamento veniva posto fine ai programmi di ucrainizzazione nella Repubblica russa. Diversi milioni di ucraini che, a seguito delle scelte pro-russe al momento di tracciare i confini tra le repubbliche alla metà degli anni Venti, si erano ritrovati a vivere nella Rsfsr vennero così privati del diritto all’istruzione e alla stampa nella propria lingua e all’autogoverno di cui invece tutte le altre nazionalità continuavano a godere. Al momento del censimento del 1937 solo tre milioni di cittadini della Rsfsr si definirono ucraini, di contro ai 7,8 che avevano fatto questa scelta nel 1926 (ma almeno una parte del declino può essere imputata alla promozione del Kazachstan, fino al 1936 una repubblica autonoma della Rsfsr, a repubblica sovietica). Qualche giorno dopo, il 19 dicembre, misure simili colpirono la Bielorussia dove, come in Ucraina, la questione contadina coincideva largamente con quella nazionale e aveva per questa ragione causato seri problemi già al tempo della guerra civile, anche se su scala di gran lunga minore. Anche in Bielorussia il partito fu poi accusato, agli inizi del marzo successivo, di favorire il nazionalismo, e i quadri politici locali e l’intelligencija nazionale furono repressi per questo “crimine”, ma la repressione fu meno brutale e non si arrivò, per esempio, all’esplicito rigetto della “bielorussizzazione”. Veniva così ribadita la fondamentale differenza in politiche nazionali che erano molto più tolleranti in Asia centrale o in Siberia di quanto non lo fossero nelle regioni occidentali dell’Urss, che Mosca riteneva a ragione molto più pericolose 34 . La notte del 20 dicembre, su proposta di Kaganovič, il Politburo ucraino si impegnò a realizzare nuovi obiettivi nel campo degli ammassi cerealicoli. Nove giorni dopo si dichiarò che la precondizione necessaria al raggiungimento di tali obbiettivi era la scoperta e il sequestro delle “riserve famigliari”. 35 Il 22 gennaio 1933, subito dopo l’arrivo di Postyšev, accompagnato da centinaia di quadri centrali, come nuovo plenipotenziario di Mosca in Ucraina, Stalin e Molotov ordinavano all’Ogpu di fermare l’esodo dall’Ucraina e dal Kuban di contadini in cerca di cibo. Il Comitato centrale e il governo, scrissero, “sono convinti che tale esodo, così come quello dell’anno scorso, è stato organizzato da nemici del potere sovietico, socialisti-rivoluzionari e agenti polacchi per fare agitazione, ‘usando i contadini,’ contro i colcosi e, più in generale, contro il potere sovietico nei territori settentrionali. Lo scorso anno gli organi del partito, dello stato e della polizia non misero in luce questo complotto contro-rivoluzionario ... Una ripetizione di questo errore nell’anno in corso 34 Oleg Chlevnjuk mi ha gentilmente ricordato l’esistenza dei decreti dell’Ufficio politico O sel’sko-chozjajstvennych zagotovok v Belorussii [Sugli ammassi cerealicoli in Bieorussia], Ufficio politico del 6 dicembre 1932, protocollo n. 126, p. 1, RGASPI, Fond 17, opis’ 3, delo 912, list 8, 42-3; e Ob izvraščenii nacional’noj politiki VKP(b) v Belorussii [Sulla distorsione della politica nazionale del partito in in Bielorussia], Rgaspi, F. 17, op. 3, d. 917, l. 7. 35 Tragedija sovetskoj derevni, vol. 3, 1930-1933, pp. 603, 611.11 sarebbe intollerabile” 36 . Nel solo mese successivo furono arrestate sulla base di questo decreto almeno 220.000 persone, in prevalenza contadini affamati alla ricerca di cibo. 190.000 di essi furono rispediti nei loro villaggi a crepare di fame. Anche le strade che conducevano alle città ucraine, rifornite in modo incomparabilmente migliore, ancorché miserabile, delle campagne 37 , vennero circondate da posti di blocco anticontadini, mentre i villaggi venivano abbandonati alla morte. Ciò che Kosior, ancora per poco segretario del partito ucraino, scrisse a Mosca il 15 marzo, conferma che la fame venne usata per insegnare ai contadini la sottomissione allo stato e al suo padrone: “l’insoddisfacente andamento delle semine in molte aree—lamentava—dimostra che la carestia (holod) non ha ancora insegnato la ragione a molti colcosiani” (corsivo mio) 38 . Queste misure vennero accompagnate, e seguite, da un’ondata di terrore antiucraino che già presentava alcuni dei tratti che avrebbero di lì a poco contraddistinto le “operazioni di massa” del Grande terrore del 1937-38. Finiva così, col suicidio di leader importanti come Skrypnyk, e di scrittori come Chvyl’ovyj, e con la repressione di migliaia dei suoi quadri, l’esperimento nazionalcomunista generato dalla guerra civile. L’adozione del termine Holodomor sembra perciò legittima, e anzi indispensabile per operare la distinzione tra la fame pansovietica del 1931-33 e quella ucraina dopo l’estate del 1932. Malgrado i loro stretti rapporti, i due fenomeni furono infatti fondamentalmente differenti. Lo stesso vale per le conseguenze della fame, anch’esse allo stesso tempo in parte simili e essenzialmente diverse. Mentre in tutta l’Urss l’arma della fame spezzò la resistenza contadina 39 , garantendo la vittoria di un dittatore del quale la gente aveva paura in modo nuovo, e intorno al quale cominciò a svilupparsi un nuovo culto, basato in gran parte su quella paura; aprendo la porta al terrore del 1937-38; segnando un mutamento profondo della menzogna ufficiale che aveva accompagnato il regime sovietico sin dalla sua nascita; permettendo, in virtù del soggiogamento della repubblica più importante, la trasformazione di fatto dello stato federale sovietico in un impero dispotico; e infine lasciando una terribile eredità di dolore in una moltitudine di famiglie cui non fu nemmeno permesso di elaborare i loro lutti perché la carestia divenne subito forse il principale tabù del passato sovietico e secondo il nuovo dogma ufficiale la vita era “diventata più gioiosa” (vale la pena di ricordare che anche Gorbačev perse nella carestia tre zii paterni, di cui ha poi scritto nelle memorie, ma la cui morte, almeno in apparenza, non intaccò la sua adesione al regime) 40 , in Ucraina e in Kazachstan la carestia scavò molto più a fondo. Nel secondo essa danneggiò seriamente le strutture portanti della società tradizionale. Nella prima tanto il corpo, che la testa, della società nazionale furono mutilati, rallentando, e distorcendo il 36 Tragedija sovetskoj derevni, vol. 3, 1930-1933, p. 635. Nei loro rapporti i consolati italiano e polacco di Kyïv parlavano di centinaia, non decine, di casi di morti per fame al giorno nelle strade e nei cortili della città. Si trattava in generale di contadini che erano riusciti in qualche modo a raggiungere la città, superando i cordoni della polizia. I loro corpi venivano velocemente rimossi. 38 Queste sono le parole originali: to, čto golodovka ne naučila ešče očen’ mnogo kolchoznikov umu-razumu, pokazyvaet neudovletvoritel’naja podgotovka k sevu kak raz v najbolee neblagopolučnych rajonov (in Kul’čyc’kyj (a cura di), Holodomor 1932-1933 rr). 39 Già il 17 maggio 1933, dopo aver visitato la regione del Don, un istruttore del Comitato esecutivo centrale pansovietico riportava un leggero aumento nel numero dei colcosiani al lavoro, spiegando il fatto con il desiderio di ricevere il cibo che le autorità avevano cominciato a distribuire in base ai giorni effettivamente lavorati. In molti villaggi, aggiungeva, la “cospirazione del silenzio” era stata spezzata: i contadini, che fino a poche settimane prima si rifiutavano anche solo di parlare con le autorità, avevano cominciato a intervenire alle riunioni, in genere per domandare pane in cambio della promessa di lavorare con impegno. Come e più che nel 1921-22, quindi, la carestia salvò il regime spezzando la schiena dei contadini (in Werth and Moullec, Rapports secrets, p. 155). L’11 luglio un diplomatico italiano sostenne la stessa tesi basandosi sulle opinioni di alcuni specialisti agrari tedeschi di ritorno dall’Ucraina e dal Kuban (in Graziosi, Lettere da Kharkov, p. 152 sgg). 40 M. Gorbachev, Memoirs, New York, 1995, p. 27, un libro incredibilmente non disponibile in italiano (e apparentemente, almeno a stare al catalogo ICCU, nemmeno nelle biblioteche italiane), come del resto non è disponibile in italiano nessuno dei grandi libri, e ve ne sono, dedicati alla crisi sovietica e alla fine dell’Urss. Una nota che il lettore scuserà, ma che oltre che dallo sconforto è stimolata dalla curiosità di fronte alla potenza della rimozione idiota e idiotizzante in un paese dove di Unione sovietica, e di Gorbačev, si è parlato in modo iperideologico fino alla nausea. 3712 processo di costruzione nazionale. Ritengo che solo in questa luce è, per esempio, possibile spiegare l’incomparabilmente più debole, se paragonata a quanto accadde nel 1914-22, presenza del movimento nazionale ucraino nella grande crisi del 1941-45 (la Galizia, che nel 1933 non faceva parte dell’Urss, fu—non sorprendentemente—la straordinaria eccezione).
Posted on: Sun, 18 Aug 2013 12:17:54 +0000

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