Avevo la febbre ormai da cinque giorni, non accennava a passarmi, - TopicsExpress



          

Avevo la febbre ormai da cinque giorni, non accennava a passarmi, così mia sorella scese alla farmacia all’angolo a prendermi nuove aspirine. Era l’estate del ’72 e la gente era pazza, eravamo tutti un po’ pazzi. Ma pazzi di quella pazzia sana, che ti fa impacchettare le cose in cinque minuti e ti fa partire ad esplorare il mondo. Quella di uno scolaro curioso che fa domande incessanti all’insegnante. Era nato un po’ così quell’anno, tra promesse infrantesi appena dopo la mezzanotte, rum ed lsd. Ma io ci avevo creduto e ci ero rimasta in mezzo, in mezzo a quelle convinzioni che ti portano a star male, a farti del male, a prendere, per dire, i coltelli da cucina di nonna ed a farli viaggiare delicatamente, ma con mano decisa, sui polsi finchè la stanza non si riempie di rosso e tutto inizia a girare, fin quando chiudi gli occhi e ti ritrovi misteriosamente in una stanza d’ospedale con un mazzo di fiori a fianco. D’altronde cosa si poteva pretendere da me? Betty “la disadattata”, è così che mi avevano chiamato sin dall’infanzia, per il mio non familiarizzare con nessuno, non stringere amicizia con anima viva. Certo…meglio di Betty “la pazzoide” alle elementari, per via di Trevor, l’amico immaginario cui raccontavo tutto. E come non citare Betty “la schizofrenica” alle medie? Alle superiori le cose sembrarono andare meglio, fino al ballo del diploma, quando Mitzy la simpatica biondina tutta capelli e niente cervello mise dei tranquillanti per cavallo nel mio punch e finii quasi all’altro mondo. Poi incominciai a bere e tutto sembrò cambiare. Mia madre ci aveva provato, le aveva tentate tutte pur di aiutarmi, di cercare di farmi sentire meglio, era tutto inutile, decise anche di mandarmi in Tennessee da zia Daisy ma nulla. “Se continui così non combinerai mai nulla nella vita Betty…” questo il tormentone di mio padre. Ci ha lasciati dodici anni fa ormai, era un ufficiale dell’esercito, fu richiamato in Vietnam. Mi ricordo che mia madre nascose le sue foto per mesi dopo che l’ebbe saputo, era una sorta…un modo quasi tenero ed infantile per proteggerci, se non avessimo visto la sua immagine certo non avremmo sofferto ma si sbagliava, mia sorella ne fu distrutta, smise di mangiare per due settimane fin quando svenne e fu ricoverata e per fortuna si riprese abbastanza in fretta. Per quanto riguarda me…beh, non credo di aver ancora capito non lo rivedrò più…incominciai a fumare, ma non tabacco, roba, finii per intossicarmi e bere sempre più, le mie condizioni di salute si aggravarano, il mio fegato ne risentiva ma non mi importava. Ero giovane cazzo, ero giovane e mi sentivo immortale, potevo fare qualsiasi cosa, vincere qualsiasi battaglia. Betty ‘The Strange’ non sarebbe mai più esistita…che poi il mio non era nemmeno Betty. Sono nata il 4 aprile 1950, all’anagrafe Penelope Jamie Johnson, fù mio nonno a storpiare il mio nome in Betty perché disse che quando nacqui avevo gli occhi talmente grandi da ricordargli Bette Davis e così, dal quel momento in poi, fui “Betty” per tutti. La mia storia comincia qui. Nell’epoca dell’amore libero e di uno stato che si ostinava a spendere soldi in una guerra inutile.
Posted on: Sat, 02 Nov 2013 01:03:22 +0000

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