Carceri, approvato in Cdm decreto contro sovraffollamento Lo - TopicsExpress



          

Carceri, approvato in Cdm decreto contro sovraffollamento Lo schema di decreto legge sulle carceri approvato oggi dal cdm contiene disposizioni "tese a fornire una prima risposta al problema del sovraffollamento penitenziario che comporta costi altissimi sotto il profilo umano e sociale, causati dalla lesione dei diritti fondamentali di decine di migliaia di persone detenute. Inoltre, oggi siamo di fronte ad un ulteriore indifferibile urgenza derivante dalla reiterata condanna del nostro Paese da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il Ministero della Giustizia ha elaborato una proposta che, pur senza stravolgere l’attuale ordinamento, intende realizzare un significativo alleggerimento del nostro sistema penitenziario. L’intervento riformatore si muove nell’ottica di favorire l’adozione di efficaci meccanismi di decarcerizzazione (alcuni dei quali peraltro già in vigore prima della legge n. 251 del 2005, c.d. legge ex Cirielli) unicamente in relazione a soggetti di non elevata pericolosità; ferma restando, al contrario, la necessità dell’ingresso in carcere dei condannati a pena definitiva che abbiano commesso reati di particolare allarme sociale. Una doppia linea di intervento. Sul versante della deflazione carceraria la proposta si articola su due fronti: A. la previsione di misure dirette ad incidere strutturalmente sui flussi carcerari, agendo in una duplice direzione: quella degli ingressi in carcere e quella delle uscite dalla detenzione B. il rafforzamento delle opportunità trattamentali per i detenuti meno pericolosi, che costituiscono la maggior parte degli attuali ristretti. A) flussi carcerari. Si è ritenuto ormai indifferibile rimuovere alcuni automatismi, ancorati ad astratte presunzioni di pericolosità, che, in maniera scarsamente selettiva e spesso indiscriminata, hanno condotto in carcere, negli ultimi anni, un numero assai elevato di persone, impedendo loro di accedere alle misure alternative alla detenzione subito dopo il passaggio in giudicato della condanna. A1) la modifica dell’art. 656 c.p.p. L’intervento proposto, in particolare attraverso una modifica dell’art. 656 c.p.p., intende riservare l’immediata incarcerazione ai soli condannati in via definitiva nei cui confronti vi sia una particolare necessità del ricorso alla più grave forma detentiva: da un lato i condannati per reati contemplati dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario; dall’altro lato coloro i quali al passaggio in giudicato della sentenza di condanna si trovino ristretti in custodia cautelare in carcere, in quanto dal giudice ritenuti in concreto pericolosi. Stante il particolare allarme sociale suscitato dal delitto di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori di quattordici anni, tale tipologia di reato è stata inserita nel catalogo di quelli più gravi, cui l’ordinamento penitenziario connette un regime particolarmente gravoso, ovvero l’art. 4 bis, comma 1 quater, ord. pen., proprio al fine di escludere tali fattispecie dall’applicabilità delle nuove misure. Nei confronti degli altri condannati si è intervenuti sulla cosiddetta “liberazione anticipata”, istituto che premia con una riduzione di pena, pari a 45 giorni per ciascun semestre, il detenuto che tiene una condotta regolare in carcere e partecipa fattivamente al trattamento rieducativo (v. art. 54 ord. pen). La proposta contenuta nel decreto prevede la possibilità che il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di carcerazione, verifichi se vi siano le condizioni per concedere la liberazione anticipata e investa, in caso di valutazione positiva, il giudice competente della relativa decisione. In questo modo, il condannato potrà attendere “da libero” la decisione del tribunale di sorveglianza sulla sua richiesta di misura alternativa. Inoltre, per le donne madri ed i soggetti portatori di gravi patologie viene ora data l’opportunità di accedere alla detenzione domiciliare, peraltro già prevista dalle norme vigenti, senza dover passare attraverso il carcere, quantomeno nei casi in cui debba essere espiata una pena non superiore ai quattro anni (v. il nuovo art. 656, comma 5, cod. proc. pen.). Il sistema, dunque, a regime si presenterà nei termini di seguito riassunti sinteticamente. Al passaggio in giudicato della sentenza, ove il condannato debba espiare una pena non superiore ai due anni (quattro anni se donna incinta o con prole sotto i dieci anni, o se gravemente ammalato) il pubblico ministero sospenderà l’esecuzione della pena dandogli la possibilità di chiedere, dalla libertà, una misura alternativa al carcere, che spetterà al tribunale di sorveglianza eventualmente concedere. Ove invece si tratti di autori di gravi reati o di soggetti in concreto pericolosi, ovvero sottoposti a custodia cautelare in carcere, questa possibilità non sarà offerta ed il condannato resterà in carcere fino a quando il tribunale di sorveglianza non ritenga, sulla base di una valutazione da svolgere su ogni caso specifico, che egli possa uscire in misura alternativa (art. 656, comma 9, cod. proc. pen.). A2) il lavoro di pubblica utilità (art. 73, comma 5 ter D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). Viene, altresì, ampliata la possibilità per il giudice di ricorrere, al momento della condanna, ad una soluzione alternativa al carcere, costituita dal lavoro di pubblica utilità. Tale misura, prevista per i soggetti dipendenti dall’alcol o dagli stupefacenti, fino ad oggi poteva essere disposta per i soli delitti meno gravi in materia di droga, mentre in prospettiva potrà essere disposta per tutti reati commessi da tale categoria di soggetti, salvo che si tratti delle violazioni più gravi della legge penale previste dall’art.407, comma 2, lett. a), del codice di procedura penale (si veda l’art. 73, comma 5 ter D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). A3) L’intervento sulle misure alternative (ovvero sui flussi di ingresso e di uscita). Nella duplice prospettiva di ridurre i flussi in entrata ma anche di incrementare le possibilità di uscita dal carcere, si collocano infine le modifiche che prevedono l’estensione degli spazi di applicabilità di alcune misure alternative per determinate categorie di soggetti, che in passato erano invece esclusi, come i recidivi per piccoli reati. La relativa preclusione, come si è già evidenziato, si caratterizzava per una assoluta astrattezza, impedendo l’accesso alle misure, in particolare la detenzione domiciliare c.d. generica (ovvero sotto i due anni di pena), anche nei casi in cui i soggetti avevano commesso reati di modesto allarme sociale e magari in un lontano passato. L’eliminazione di tali automatismi, quindi, consentirà al tribunale (o al magistrato) di sorveglianza di svolgere una valutazione in concreto, sulla base di elementi di giudizio forniti dagli organi di polizia e del servizio sociale del Ministero di giustizia (si veda la parziale soppressione dell’ultimo periodo dell’art. 47 ter, comma 1.1, ord. pen.). Per converso, nei confronti dei condannati per uno dei delitti di cui all’art. 4 bis ord. pen., viene mantenuto il divieto di concessione di questa particolare forma di detenzione domiciliare. B. Le misure incidenti sul trattamento rieducativo. Al fine di alleggerire le tensioni che, in specie nel periodo estivo, possono più facilmente innescarsi sia tra i detenuti che nei confronti del personale penitenziario, il provvedimento estende la possibilità di accesso ai permessi premio per i soggetti recidivi e prevede l’estensione dell’istituto del c.d. lavoro all’esterno (art. 21 dell’ordinamento penitenziario) anche al lavoro di pubblica utilità (v. comma 4 ter del citato art. 21).
Posted on: Wed, 26 Jun 2013 13:09:24 +0000

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