Da "Adriana. Una straniera a Sanremo", Fratelli Frilli, 2006 IV Fu - TopicsExpress



          

Da "Adriana. Una straniera a Sanremo", Fratelli Frilli, 2006 IV Fu Pietro Tamburino in persona a consegnare il concime alla Cascina Rossa. Adriana rimase ben impressionata dall’uomo, così serio e ossequioso, e lo invitò a visitare le coltivazioni per vedere quali secondo lui avevano più bi-sogno del fertilizzante. Tamburino si fece subito un’idea chiara della situa-zione: la produzione della ditta “Demetrio Zarri” era di qualità senza dubbio superiore, soprattutto le rose e alcune varietà in particolare, come la Safrano e la Ulrich Brünner Fils erano imbattibili. Ripensò a quello che gli avevano detto Giovanni Zarri e Ricciardi, e in un certo senso si sentì in colpa per quanto stava facendo. Ma ormai aveva accettato e per quel servizio era stato pagato profumatamente. Diede qualche consiglio generico, poi ringraziò la signora e se ne andò a testa bassa. Uscendo, incrociò Enrico che stava tornando da scuola. Il ragazzo sulle pri-me non poté fare a meno di fissarlo, ma poi abbassò gli occhi per non dare a vedere che lo aveva riconosciuto. Corse da sua madre e si informò: - Mamma, chi è quel tizio che è andato via adesso? - Un fornitore, perché? - Che fornitore? - Di concime. Enrico che sono tutte queste domande? - Io quel tipo l’ho visto il mese scorso a villa Zarri! - Ah sì? – Adriana era distratta, non riusciva a concentrarsi su quanto suo figlio le stava dicendo e sull’enorme importanza delle informazioni che le dava. - Sì! Parlottava con lo zio Giovanni e con Roberto! L’ho riconosciuto su-bito, sei sicura che ci sia da fidarsi? - Mi ha solo portato del concime. Che vuoi che ci sia di pericoloso? - Senti mamma, io non so, ma mi pare che dovresti fare attenzione. Non mettere quel concime! - Ma che dici, non essere sciocco! - Ti prego, dammi ascolto! Sua madre non rispose, gli diede un buffetto sulla guancia e sparì nello stu-dio. In cuor suo però sentiva che Enrico poteva aver ragione e decise di fare una prova, concimando solo una parte di rose con il Laborflor. Il tempo diede ragione a suo figlio: dopo circa dieci giorni dalla prima som-ministrazione i fiori presentavano vistose macchie brunastre sull’orlo dei petali e zone marcescenti lungo gli steli. I boccioli che non erano ancora aperti non fiorivano, ma cadevano dopo poco. La situazione era veramente disastrosa e Giuseppe Senàrega si mise le mani nei capelli. - Che disastro! Ma come è potuta accadere una cosa simile? - E’ stato il concime, – affermò decisa Adriana. - Enrico aveva ragione a non fidarsi. Devo assolutamente parlare con lui. Il ragazzo era a scuola ma lei lo fece chiamare fuori: - Tesoro mio, devi cercare di ricordarti bene cosa hai visto quando sei an-dato a villa Zarri. Mi dicesti che c’era quell’uomo… - Sì, quell’uomo che confabulava con lo zio Giovanni e che poi è venuto a casa! - E c’era anche Ricciardi? - Sì, te l’ho già detto! Ma perché? Adriana lo abbracciò per farsi coraggio: - Avevi ragione tu. Quel concime era tagliato col veleno. Ci ha fatto sec-care un bel po’ di piante. - Che faremo adesso? - Dovremo cambiare tutta la terra ed eliminare le piante bruciate. Ci vorrà molto tempo. Intanto cercheremo di soddisfare i clienti con quello che abbiamo e compreremo un po’ di piante già pronte al mercato. - E il tuo concorso? - Va a monte per quest’anno. Non posso presentare nessun esemplare de-gno di un premio. Ma è il meno, parteciperemo alla mostra nazionale di floricoltura che Marco Costa vuole organizzare per l’anno prossimo. Piuttosto, c’è qualcos’altro di molto più importante che mi sta a cuore. Devo capire, chiarire, devo regolare dei conti in sospeso e devo farlo su-bito. Tornò a casa e telefonò a villa Zarri. Cercava Giovanni, voleva parlargli, ma lui non c’era. Le rispose Luigi e sentì che era molto agitata. - Sei sconvolta, che hai? - Non sono sconvolta, sono furibonda! Tuo fratello e Ricciardi mi voglio-no rovinare, ma non ci riusciranno. Dov’è Giovanni, devo parlargli! - Non so dove sia. Vengo da te, così mi spiegherai cosa è successo. Quando Adriana gli ebbe raccontato quanto era accaduto e gli ebbe mostrato i fiori gravemente danneggiati, le disse: - Tu non fare niente. Voglio parlare io con Giovanni, a me dirà come stanno le cose. Se è in buona fede riusciremo a sapere la verità. Altri-menti… - Come puoi pensare ancora che sia in buona fede? – esclamò lei. – Enrico lo ha visto parlare con Ricciardi e Tamburino poco tempo fa. Che inte-ressi potrebbero avere in comune quei tre se non quello di giocarmi un brutto tiro? E’ molto tempo che Giovanni ha in mente di portarmi via le terre dell’Acquaio. Prima ha provato a convincermi con le buone, of-frendomi perfino una partecipazione ridicola in una società controllata da lui. Poi, visto che non cedevo, ha organizzato tutto questo. E Ricciar-di non ha perso tempo a dargli manforte. Con tutto il rancore che prova per me, figurati che soddisfazione sarebbe per lui mandarmi sul lastrico! - Non ci riusciranno, Adriana! – le disse Luigi abbracciandola. – Te lo prometto. Poi uscì e raggiunse gli uffici della ditta Zarri. Alla segretaria di Giovanni che lo guardò stupita, disse: - Vado da mio fratello, non vogliamo essere disturbati per nessun motivo. Giovanni era intento a leggere alcune lettere e lo accolse con insolita cordia-lità. Ma lui lo zittì: - Lascia perdere le sceneggiate, Giò. Ho bisogno di parlarti molto seria-mente. Cosa stai combinando con Roberto Ricciardi? - Siamo in affari insieme, ma lo siamo da un bel po’. Lo sapevi mi sem-bra! - Sì, lo sapevo, e la cosa non mi è mai andata giù. Ricciardi ha sulla co-scienza la rovina e forse la morte di Demetrio e tu te lo sei tirato in ca-sa… - Mi ha assicurato che lui con la morte di nostro fratello non c’entra nien-te. E poi ha un sacco di amicizie influenti e molto denaro a disposizione. E’ un socio ideale. - Finché tutto rimane nei limiti del lecito, certo… - Che vuoi dire? - Che cosa avete a che fare voi due con Pietro Tamburino? - Tamburino? E chi è? - Non fare il finto tonto. E’ un fornitore di concimi. - Non lo conosco. - Menti! Enrico vi ha visto, tempo fa, nel giardino di casa nostra che par-lavate, tu, Tamburino e Ricciardi! - Enrico! E ti fidi di quello che dice un ragazzino visionario come suo pa-dre e astioso come sua madre! - Sì, certo che mi fido. E mi fido anche della mia vista. Tamburino ha for-nito del concime tagliato col veleno ad Adriana. Metà dei suoi fiori sono rovinati! - Metà? Luigi capì e lo prese per il bavero. - Già! Metà! Speravate che andasse tutto in malora vero? Sei un farabutto! Non so come sia potuta nascere una serpe come te nella nostra fami-glia… Giovanni si divincolò e lo spinse via: - Piano con le offese giovanotto! Ricordati che sono il capofamiglia e che mi devi rispetto. Non ho nessuna idea di quello che ha combinato Tamburino. Se hai tanta voglia di fare il paladino della tua bella cognata, vai a chiederlo a lui! - E quello che farò! E se le cose stanno come penso, andrò personalmente da Parodi con Adriana per denunciarvi tutti e tre! Uscendo dall’ufficio di Giovanni, decise che prima di andare da Tamburino, avrebbe fatto visita a Ricciardi. C’era tra loro tanta di quella ruggine… A cominciare dal comportamento meschino che Roberto aveva tenuto con Ebe. Prima l’aveva illusa di provare qualcosa per lei, dopo l’aveva lasciata, senza una spiegazione, causandole dolore e umiliazione. Con Demetrio era stato altrettanto ipocrita: la sua finta amicizia nascondeva una inesauribile avidità e prima di tutto il desiderio di portargli via la moglie. E poi Luigi era sicuro che Roberto entrasse in qualche modo anche nell’arresto di Sebastiano Boz-zo. E adesso la storia del concime… Arrivò alla villa di Taggia verso le dodici e trenta. Il maggiordomo tentò inutilmente di arginare il suo impeto. Si diresse con decisione verso il salotto ed entrò. Da dietro la spalliera del divano comparve la testa scarmigliata di Ricciardi, che esclamò: - Zarri! Che diavolo vuoi in casa mia! Chi ti ha fatto entrare! Stava per rispondere, quando dal divano emerse anche una giovane donna in sottoveste. Era Helen Radcliff, che lo fissò con aria di sfida, senza parlare. Luigi aveva la vista annebbiata dall’ira e le mani gli tremavano. Se avesse avuto una pistola non avrebbe esitato a sparare, ma era disarmato. Così con voce gelida disse: - Ero venuto a chiederti delle spiegazioni, a presentarti il conto di quello che hai fatto fino ad ora. Ma capisco che con un individuo come te non si può usare che un linguaggio, quello delle armi. Sei un ipocrita e un truffatore. Sei uno degli individui più spregevoli che io abbia mai cono-sciuto e sei un uomo senza onore, perché insidi le donne degli altri. Lo hai fatto con mio fratello, ora lo fai con me. Qualcuno ti deve fermare. - E quel qualcuno saresti tu, mediconzolo da strapazzo! Mi hai offeso, Luigi Zarri, mi hai offeso profondamente. Voglio che tu mi chieda scu-sa! - Non solo non ti chiedo scusa, ma ti chiedo soddisfazione per quello che hai fatto alla mia famiglia. Hai ingannato mia sorella, hai insidiato mia cognata Adriana e adesso ti sei portato a letto la donna che consideravo mia. Aspetto che tu mi faccia sapere l’ora, l’arma e il nome dei tuoi pa-drini. La prima persona che Luigi volle informare dell’accaduto fu Adriana. Lei tentò in tutti i modi di convincerlo a desistere dal duello, ma fu inutile, allora pensò di chiedere aiuto a Domenico Scandiani e raggiunse in fretta villa Matilde: - Devi aiutarmi Domenico! – gli disse, dopo avergli raccontato quanto era successo. – Ricciardi è campione di scherma ed è imbattibile nel tiro con la pistola. Qualunque arma scelga ha l’esperienza dalla sua! Lo ucciderà! Il marchese rimase per qualche minuto in silenzio, poi domandò: - Sei sicura che sia una cosa seria? - Serissima, ed è tutta colpa mia. Se non gli avessi detto niente, se non mi fossi rivolta a lui, forse tutto questo non sarebbe successo. - Andrò a parlargli, ma dubito che mi darà ascolto. - Poi la guardò: – Se non sei riuscita tu a fargli cambiare idea… - E’ testardo, come tutti gli Zarri. Ha un conto in sospeso con Ricciardi da molto tempo… - Ricciardi è un individuo spregevole e Luigi ha tutte le ragioni del mondo a volersi vendicare. Ma se tieni così tanto a lui, tenterò… - Io tengo a lui perché è mio cognato, e gli sono affezionata. Quello che c’è tra di noi non c’entra nulla. Domenico non perse altro tempo e andò subito a villa Zarri, dove regnava il caos. Luigi aveva appena finito di mettere al corrente la famiglia dell’accaduto: Ebe era in lacrime, Clelia cercava di consolarla e Caterina in piedi di fronte a lui, gli stava dicendo: - Tu non puoi aver fatto una cosa simile! Quando il marchese fu introdotto nel salotto, Luigi gli disse subito: - Se è qui per dissuadermi marchese, può anche tornarsene a casa. L’ho già detto a mia madre e a mia sorella, non cambio idea. - Luigi, – gli disse calmo Domenico, – io sono stato il padrino di suo fra-tello Demetrio e vi conosco da quando eravate bambini. Non sono ve-nuto per farle cambiare idea, ma per metterla in guardia. Roberto Ric-ciardi ha fama di abile spadaccino e di ottimo tiratore. Se è deciso a combattere contro di lui, deve sapere a cosa va incontro. - E’ una follia! – gridò Ebe tra le lacrime. – Sei un incosciente! Ti farà a pezzi! - Non ti permetterò di batterti! – aggiunse Caterina pallidissima. – Non è possibile… - Mamma! Non ti rendi conto che quell’uomo continua a buttare fango sulla nostra famiglia? Qualcuno gli deve dare una lezione! – Luigi era rosso per la collera e camminava nervosamente per la stanza. - Andrò io a parlargli, – intervenne Ruggero Carpi, che fino a quel mo-mento aveva taciuto. – A me dovrà dare ascolto… - Davvero? E perché dovrebbe darti ascolto? – domandò Luigi in tono provocatorio. - Perché sono suo padre! Nella stanza si fece il silenzio più assoluto e sguardi stupiti, impauriti, spa-valdi si incrociarono. - Ma che dici Ruggero! – esclamò Clelia, – come tuo figlio! - E’ una storia lunga…Lunga e dolorosa…Forse un giorno la conoscerete anche voi… - Che storia conosceremo? Sono curioso! – Giovanni era appena entrato e aveva colto le ultime parole dell’amministratore senza capire niente. Ma Carpi se ne andò e non aggiunse altro. Mentre Clelia spiegava al marito quello che era appena accaduto, Domenico Scandiani domandò a Cateri-na: - Luigi ha già scelto i padrini? - Sì. Saranno due suoi amici di infanzia, Cesare e Matteo Sbraccia. Li ha già avvertiti. – Poi, sempre rivolta al marchese aggiunse: - Vorrei rima-nere sola con i miei figli. Devo parlare con loro…. Quello che Caterina Druent Zarri spiegò ai suoi tre figli non lo seppe mai nessun altro, nemmeno Clelia. Fu un racconto lungo e sofferto, intervallato da pianti, rimproveri, accuse, richieste di perdono. Giovanni, Ebe e Luigi ascoltarono impietriti la storia di un amore, di un tradimento, di una nascita clandestina, di un abbandono, di una vendetta e per tutti loro fu una prova molto dura, anche per Giovanni che a un certo punto gridò: - Tu mi hai tra-dito, hai tradito il rispetto e l’affetto sconfinato che ho sempre avuto per te! Passi per un amante, questo lo sapevo, ma un altro figlio, un figlio che hai avuto il coraggio di abbandonare… Perché mi hai fatto questo? Alla fine erano tutti sconvolti, tutti un po’ diversi dentro, ma Luigi non tornò sulle sue decisioni. Lui quel duello lo avrebbe fatto, anche se ora sapeva che aveva un fratello come avversario. Ruggero Carpi, dal canto suo, non riuscì a far cambiare idea a Roberto. Lo trovò che parlava al telefono con un suo amico e gli chiedeva di fargli da pa-drino. Quando ebbe terminato la conversazione, Ricciardi lo apostrofò con arroganza: - L’ha mandata Luigi Zarri per chiedermi scusa? - No. L’iniziativa è mia, sono venuto per chiederti di rinunciare al duello. Fallo per tua madre. - Mia madre? Mia madre è morta signor Carpi! - Basta con questa commedia! Lo sappiamo tutti e due come stanno le co-se! Roberto gli si avvicinò, poi gli girò intorno, squadrandolo con fare provoca-torio. - Lo sa? Penso che Caterina Druent avrebbe potuto scegliersi un amante un po’ più raffinato di lei. Carpi si voltò e gli diede un ceffone: - Adesso basta. Non ti permetto di insultare Caterina! - Se ne vada Carpi, prima che la prenda a pugni! - Faresti anche questo? Prenderesti a pugni tuo padre? - Due persone che mettono al mondo un figlio e poi lo abbandonano in un orfanotrofio senza rimorsi, non sono degni di essere chiamati padre e madre. Io i genitori li ho avuti, si chiamavano Ricciardi. - Però i nostri soldi ti hanno fatto comodo! - Soldi! – scoppiò a ridere. – Lei è proprio un ingenuo. Ne ho quanti ne voglio di soldi, non era questo che mi interessava. Volevo farvi provare che cosa vuol dire essere messi di fronte ai propri errori, alle proprie colpe. Ma quello che io vi ho fatto, non è niente in confronto a quello che voi avete fatto a me. - Tua madre ti chiede di rinunciare a questo duello. Sapere che due dei suoi figli sono uno di fronte all’altro le dà troppo dolore. - No, non se ne parla. Luigi Zarri mi ha offeso e deve pagare. Ho già scelto arma e padrini. Il duello sarà domenica nel prato sotto il poggio grande. Adesso se ne vada. Domenica 25 giugno 1931 il cielo era burrascoso, le nuvole grandi, bianche e strappate dal vento, lasciavano poco spazio all’azzurro del cielo e la tempe-ratura si era abbassata improvvisamente, raggiungendo i diciotto gradi. I duellanti e i padrini erano imbacuccati in soprabiti pesanti, e ad un certo punto cominciò a piovere, tanto che si dovette aspettare ancora mezz’ora. Nel frattempo era successa una cosa incredibile: Caterina aveva telefonato ad Adriana e le aveva chiesto di andare ad aspettare con loro l’esito del duello. Lei aveva accettato e aveva portato anche Enrico e Maria. La tensio-ne era quasi palpabile. Nessuno della famiglia aveva potuto accompagnare Luigi, che aveva raggiunto il luogo dell’appuntamento in automobile, insie-me a Cesare e Matteo Sbraccia. Giovanni si era chiuso nello studio e non sembrava avere intenzione di par-tecipare al dramma comune, ma Clelia, Ebe e Adriana, dopo aver preso una rapida decisione lo affrontarono per costringerlo ad ammettere le proprie re-sponsabilità. - Non puoi più nasconderti Giovanni! - gli disse sua moglie duramente. – Ora vogliamo la verità! - Verità su cosa? Ma che dici, farnetichi! - Clelia ha ragione! – incalzò Ebe. - Adesso è venuto il momento di parla-re. Con il tuo comportamento meschino e subdolo hai causato una mon-tagna di guai alla nostra famiglia e le tue macchinazioni, i tuoi imbrogli da quattro soldi con Roberto e con Tamburino hanno causato gravi danni ad Adriana! - Voi siete pazze! E’ stata questa fanatica a montarvi contro di me! – Gio-vanni indicava Adriana, che fino a quel momento era rimasta in silenzio. - Sei uno sciocco Giovanni… – disse lei finalmente. – Pensavi che Ric-ciardi potesse aiutarti, mentre lui cercava solo di raggiungere il proprio obiettivo. Tu volevi portarmi via l’Acquaio e non sei riuscito nemmeno a portare avanti con successo l’attività di tuo padre… Adesso, qui, davanti a tua moglie e a tua sorella, io ti accuso. Ti accuso di aver mandato una lettera anonima al marchese Scandiani, per costringermi ad andarmene, ti accuso di aver pagato Pietro Tamburino perché avvelenasse il mio concime! - Non è vero! Io ho cercato solo di salvare i miei affari! Non volevo far del male a nessuno! - Basta con le bugie!– gli gridò contro Clelia. – Ma come è possibile che io abbia amato e forse continui ad amare un uomo che ha compiuto azioni così spregevoli! Come hai potuto arrivare a tanto! - Quello che ho fatto l’ho fatto per noi! Per mantenere salda la nostra po-sizione sociale! Che avrebbe detto la gente vedendo che Giovanni Zarri non era in grado di raccogliere l’eredità di suo padre? Che avremmo fatto se… In quel momento sentirono voci concitate e Enrico entrò nella stanza gridan-do: - Arriva l’auto di zio Luigi! Correte! Tutti accorsero, Caterina e Carpi per primi. Dall’auto scese Matteo Sbrac-cia, solo. - Mio Dio! – mormorò Clelia. Adriana gli andò incontro, mentre Caterina stava ritta in piedi, paralizzata dall’ansia, senza poter parlare. - Allora? – domandò Adriana. - E’ ferito, Cesare e uno dei padrini di Ricciardi l’hanno accompagnato in ospedale, sembra non sia niente di grave però…la spalla destra. – Poi chiese: – Chi viene con me in ospedale? Andarono con lui Caterina e Ebe, mentre Adriana decise che sarebbe passata più tardi perché aveva i bambini con sé e non voleva portarli in ospedale. In effetti la ferita di Luigi non era grave. Il duello si era svolto secondo le re-gole e tutti, ad eccezione di lui, avevano avuto la netta impressione che Ric-ciardi avesse mirato apposta alla spalla. Luigi invece non aveva avuto di questi scrupoli ma, non essendo bravo nel tiro alla pistola, aveva mancato il bersaglio. Il dolore intenso e l’emorragia gli avevano fatto perdere i sensi. Quando rinvenne si trovò circondato dai suoi cari e affidato alle premurose cure di una giovane e graziosa infermiera. Cesare Sbraccia decise di lasciare la stanza per discrezione, ma Caterina lo fermò: - Solo una cosa Cesare, che ne è di Roberto Ricciardi? - E’ illeso. Quando ha capito che Luigi non era in pericolo di vita si è al-lontanato in compagnia di uno dei padrini. Penso sia tornato a casa. Co-munque so per certo che dopo il duello aveva intenzione di lasciare San-remo per sempre. Ha molte proprietà in Inghilterra, forse andrà là.
Posted on: Sat, 29 Jun 2013 12:39:07 +0000

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