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Dove sorgono i problemi degli italiani e dove vanno a finire tutti i sacrifici finanziari richiesti ai cittadini 11 ottobre 2013 6 commenti 3,671 Views 381.24k Video dell’intervento in Aula: Questa Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza è un’occasione per noi per fare un po’ di chiarezza sullo stato di salute della nostra economia. Ci sembra un ottimo documento per mostrare ai cittadini, dati alla mano, dove sorgono i problemi degli italiani, quali sono le cause del blocco della nostra economia reale e dove vanno a finire tutti i sacrifici finanziari richiesti ai cittadini ed alle imprese. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, quindi l’obiettivo principale della politica economica deve essere la piena occupazione. Pertanto ci aspettavamo che la Nota di aggiornamento a questo DEF desse una scossa rilevante alla programmazione economica del Paese, nell’ottica dell’incremento dei livelli occupazionali. Auspicavamo inoltre un importante intervento volto ad azzerare il debito commerciale con le imprese, da cui dipende a nostro avviso l’incremento della disoccupazione ai massimi storici. Riteniamo immorale che la pubblica amministrazione non onori i propri debiti con le imprese risalenti a circa un anno fa. Se conosci bene la causa di un problema, è semplice poi trovare la soluzione, ma evidentemente qui c’è qualcuno che o fa finta di non capire o non ha capito veramente il problema. Noi abbiamo individuato questo serio problema e vorremmo dare il nostro contributo alla sua soluzione, se il Governo avrà la bontà di ascoltare e tenerne conto.Chiariamo subito l’obiettivo: per i cittadini l’obiettivo è aumentare l’occupazione; per il Governo invece l’obiettivo è aumentare il PIL. Non sempre la crescita del PIL corrisponde all’incremento dell’occupazione. Infatti, il PIL – è bene ricordarlo – non è in grado di misurare il benessere di una società, giacché al suo interno vengono computate anche, ad esempio, le spese per curare i malati di cancro, spesso causati, peraltro, da una gestione criminale dello smaltimento dei rifiuti. Vi invitiamo, quindi, a rivedere le vostre priorità perché agli italiani del PIL non importa nulla. I cittadini europei vogliano soddisfare il proprio talento e le capacità personali in un posto di lavoro. Ogni cittadino deve avere un ruolo nella società che rispetti la dignità dell’uomo e gli permetta di vivere in maniera armoniosa nella comunità. Posizionato lo sguardo su questo obiettivo finale, tocca a noi adesso impegnarci nel modo più efficace per raggiungerlo. Nel lungo periodo è opportuno intervenire sui fattori che riducono il costo del lavoro a carico delle imprese per agevolare l’occupazione ed aumentare il potere d’acquisto degli stipendi. Nel breve termine, invece, dobbiamo incidere in maniera significativa sul credito alle imprese con interventi immediati che diano la possibilità alle stesse di reperire fondi per pagare gli stipendi, effettuare nuovi investimenti ed assumere in maniera agevolata nuovi lavoratori. Dobbiamo, quindi, azzerare il debito commerciale che il settore degli enti pubblici ha accumulato verso le imprese negli ultimi anni. Da una nota rilasciata dalla Banca d’Italia sappiamo che l’ammontare totale si aggira intorno ai 90 miliardi di euro, ma di questo nella Nota non abbiamo trovato traccia, a meno di un breve cenno – e cito la Nota – in cui si fa riferimento solo ad ulteriori 2,8 miliardi di euro, la cui spesa deve essere ancora autorizzata. Con questi 2,8 miliardi, sommati a quelli già stanziati tra quest’anno e il prossimo anno, si arriva ad un totale di soli 50 miliardi di euro, circa la metà del totale indicato nelle stime della Banca d’Italia. Infatti, il Governo, pur riconoscendo che l’iniezione di liquidità effettuata nel 2013 darà alle imprese benefici più intensi e immediati in termini di maggiore investimento e produzione – e sto citando la Nota – rimanda a futuri provvedimenti la redazione di un piano dettagliato per il pagamento della restante parte dei debiti della pubblica amministrazione. In questo modo non capiamo con quale algoritmo la simulazione abbia dedotto un incremento del PIL per il prossimo anno. Al contrario, se continuiamo a tenere le imprese in attesa di liquidità per il pagamento dei debiti pregressi, credo che ci si debba attendere solo un peggioramento dei principali indici di sviluppo. Tornando al differente approccio tra medio e lungo termine e breve periodo, di fronte al problema della disoccupazione, vorrei aprire una parentesi con le parole di papa Francesco il quale in un’intervista diceva che quando si è di fronte ad un ferito, non ci si può occupare di curargli il diabete o altre malattie croniche, ma ci si deve subito attivare per sanargli le ferite. Ecco, appunto, il nostro Paese è stato colpito dalla «peste» del Patto di stabilità che ha provocato a cascata dei feriti che sono i lavoratori e le piccole e medie imprese. In questo momento dobbiamo sanare le loro ferite. La Nota di aggiornamento al DEF doveva contenere le basi per programmare il pagamento totale dei debiti con le imprese italiane, appunto «ferite». Riteniamo, quindi, che il pagamento di questi debiti sia un nodo centrale della Nota di aggiornamento al DEF. Essi sono la diretta conseguenza del Patto di stabilità interno e sono la causa principale del blocco del Paese e dell’incremento della disoccupazione. La Nota di aggiornamento contiene un’ottima sintesi degli interventi effettuati dai Governi, Monti prima e Letta poi. Da questa sintesi è facile comprendere l’entità delle cifre in gioco con le quali si può comprendere altrettanto facilmente quanto queste siano irrilevanti rispetto agli impegni assunti in ambito europeo dal nostro Paese. Farò, quindi, una breve analisi degli elementi chiave degli ultimi provvedimenti per informare i cittadini sulla reale potenzialità della nostra economia e di come la ricchezza, distribuita in maniera sproporzionata tra interventi utili al Paese Italia e contributi a sostegno della finanza europea, sia sproporzionata. La diciassettesima legislatura ha cominciato i lavori parlamentari con una conversione in legge del decreto-legge n.35, un colpo di coda – direi – del Governo Monti: è forse l’unico reale provvedimento che ha toccato il tessuto reale della nostra economia, come una sorta di scrupolo di coscienza del Governo Monti che fino a quel momento non ha fatto altro che mietere vittime e sacrifici. Infatti la Nota di aggiornamento al DEF ne dà ampia trattazione proprio a sottolineare la centralità dell’argomento. A distanza di sei mesi, alla luce dei provvedimenti emanati successivamente dal Governo Letta, possiamo affermare che le risorse mobilitate dal decreto per il pagamento dei debiti della PA sono di tre ordini di grandezza superiori alle risorse mobilitate da tutti gli altri provvedimenti governativi. Per far capire al cittadino medio l’entità delle cifre in gioco dobbiamo guardare le tabelle in appendice alla Nota di aggiornamento. Partendo dall’ultimo decreto si vede che l’effetto sull’indebitamento è di qualche decina di milioni di euro o, addirittura, a saldo zero sul debito pubblico. L’appendice mostra numeri come 11 milioni per il decreto-legge n.102, per il decreto-legge n.101 zero milioni: parliamo quindi veramente di cifre irrisorie mentre l’impatto del decreto-legge n.35 era pari a meno 7.370 milioni ovvero circa 7,5 miliardi di euro. Utilizzo le parole incluse nella stessa Nota di aggiornamento per spiegare quanto rappresentato. Complessivamente, nel periodo di operatività dei citati decreti-legge, sono stati finanziati interventi per circa 25 miliardi di cui 20 miliardi reperendo risorse con aumenti di imposte: queste sono parole testuali del DEF . E circa 7,5 miliardi attraverso riduzioni e rimodulazioni di spese. Morale della favola: i cittadini e le stesse imprese hanno dovuto pagare la prima tranche di debiti commerciali della pubblica amministrazione maturata al 31 dicembre 2012 attraverso una maggiore pressione fiscale pari a 20 miliardi di euro. Queste, signori, non sono opinioni ma testuali affermazioni del Governo, incluse nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. Ci fa piacere notare che i vari provvedimenti, a meno del decreto-legge n.35, non impegnano il fabbisogno netto in maniera negativa. Da questo verrebbe da dire che il Governo è bravo a far quadrare i conti quando a pagare sono i cittadini mentre si fa uso dell’indebitamento per tutti gli altri fini che, a questo punto, scopriamo essere la reale priorità dei nostri governanti: il contributo in conto capitale alla creazione dei fondi di sostegno alla finanza europea, cosiddetti fondi salva-Stati, le EFSF e l’ESM e gli accordi bilaterali per salvare gli Stati. Inoltre ogni tabella inclusa nella Nota indica due o tre espressioni del debito pubblico, ovvero al lordo e al netto dei sostegni ai fondi salva-Stati: cosa significa questo? Spieghiamolo ai cittadini italiani: gli indicatori di finanza pubblica sono tutti macchiati dalle quote di pertinenza italiana dei prestiti al Fondo e per la capitalizzazione del MES. Vogliamo anche dire agli italiani a quanto ammontano queste quote? Basta leggere nei dettagli e poi confrontare anche i supplementi ai bollettini emessi dalla Banca d’Italia per scoprire quanto abbiamo già pagato per i sostegni ai fondi destinati alla stabilità: 13,1 miliardi di euro nel 2011; 42,6 miliardi di euro nel 2012; 55,4 miliardi di euro stimati nel 2013. E non è finita qui. Lo scenario futuro è ancora più inquietante: 61,4 miliardi nel 2014 e a seguire 61,6 miliardi; 61,8 miliardi; 62 miliardi fino al 2017. Ogni anno l’equivalente di due volte il costo del reddito di cittadinanza proposto dal MoVimento 5 Stelle e ai cittadini diciamo che non ci sono i soldi. Cito ancora la Nota del Governo in una postilla inclusa sotto le tabelle. I valori per gli anni 2014-2017 includono i proventi da privatizzazione per un ammontare pari a circa 0,5 punti percentuali di PIL all’anno cioè, in tutto questo, è stato anche previsto di svendere il nostro patrimonio. Stando alle stime del Governo – cito ancora dati inseriti nella Nota di aggiornamento – il valore del patrimonio immobiliare pubblico comprensivo dei terreni è stimabile nell’ordine di circa 350 miliardi. Quindi, anche volendo vendersi tutto il patrimonio immobiliare pubblico non saremo in grado di ripagare nemmeno un settimo del nostro debito. Con questa relazione noi intendiamo informare i cittadini su come stanno realmente i conti dello Stato. Noi vogliamo che le imprese che hanno dovuto chiudere per crediti eccessivi – ripeto, per crediti eccessivi – non riscossi dalla pubblica amministrazione e che hanno dovuto licenziare i lavoratori perché non potevano pagarli ricevano questo messaggio in maniera chiara e trasparente. Il messaggio è questo: i vari Governi che si sono succeduti, almeno nell’ultimo biennio, visti i dati inseriti nella Nota, hanno deciso di bloccare i pagamenti degli enti locali indirizzati alle imprese perché hanno dovuto pagare i contributi dell’Italia ad un Fondo sovranazionale, che serve per pagare i debiti di un’altra nazione. Quello che sta accadendo in Italia, come in tutti i Paesi in difficoltà dell’area euro è immorale! Un Paese sul quale è stata avviata una procedura di verifica per disavanzo eccessivo, in evidenti difficoltà finanziarie, deve essere esonerato temporaneamente dal versamento dei contributi ai programmi europei di sostegno finanziario o ad aiuti diretti ai Paesi membri in dissesto finanziario, per tutto il periodo di durata della procedura. Quando il Paese membro in evidente procedura di verifica abbia rimesso a posto i suoi conti, allora dovrà riprendere la contribuzione, salvaguardando la vita della comunità dei Paesi aderenti al programma. La letteratura sulla sicurezza insegna che in situazioni di emergenza è importante mettere in sicurezza prima se stessi e poi pensare di aiutare gli altri. Ecco cosa sta rovinando l’Europa: l’Europa sta contravvenendo ad una delle regole basilari della sopravvivenza. Un Paese in difficoltà non può farsi carico degli aiuti ai Paesi in dissesto finanziario. L’Europa deve prendere coscienza di questo problema che sta lentamente trascinando tutti gli Stati membri nel baratro della disoccupazione. In una società di Stati che vuole svilupparsi uniformemente ed ambire alla piena coesione tra i popoli deve funzionare esattamente come in una comunità di persone che vuole sviluppare in armonia il talento e le capacità di ognuno dei suoi componenti. Ovvero, chi è più avanti con le forze deve aiutare chi resta indietro. Il più capace non deve capitalizzare la propria forza chiedendo a tutti lo stesso sforzo e pensando di applicare in tal modo concetti di pseudodemocrazia laddove non è opportuno, deve invece farsi carico del problema più grande e contribuire alla soluzione in maniera molto più determinante del più debole e dare la possibilità a chi è un passo indietro di riprendere fiato ed essere pronto quando il gruppo richiederà il suo aiuto. Lo so che nella logica del profitto questi concetti umani non vengono presi in considerazione, ma ritengo che nel progetto d’Europa che i fondatori avevano in mente ci fosse un’idea di comunità sovranazionale che sfuggisse alle logiche prettamente economiche. L’euro quindi non è altro che un mezzo con cui pensare di scambiare merci e servizi tra comunità con diverse peculiarità ed origini storiche; niente di più. Il MES, o Fondo salva Stati, non può sostituirsi alla logica della sopravvivenza degli Stati stessi e non deve pretendere che un Paese in difficoltà aiuti altri in altrettante difficoltà finanziarie, bensì deve avere la flessibilità giusta da assicurare la salvezza dell’intera comunità in cui nessuno deve rimanere indietro. Questa premessa mi serve per affermare come il Governo italiano abbia subito negli ultimi anni un’importante regressione economica, oltre che per colpa del contesto mondiale molto statico anche e soprattutto per colpa del rapporto con gli altri Stati membri. Mi riferisco all’impegno sottoscritto nei trattati di creazione del Fondo del meccanismo economico di stabilità e prima ancora con l’EFSF. L’Italia, per pagare i contributi che concorrono alla formazione del capitale iniziale del cosiddetto Fondo europeo MES (700 miliardi di euro), ha dovuto chiedere agli enti pubblici territoriali di bloccare i pagamenti alle imprese che hanno rapporti commerciali con la pubblica amministrazione. In poche parole, in Italia, mentre gli enti territoriali erano intenti a salvaguardare i propri bilanci per via del Patto di stabilità interno, il Governo in carica continuava ad emettere titoli di debito pubblico per affrontare le spese dovute alla creazione del MES, circa 80 miliardi di euro entro il 2014. Cosa avrebbe fatto il MoVimento 5 Stelle se avesse potuto riscrivere il Documento di economia e finanza? Il MoVimento 5 Stelle vuole pagare tutti i debiti commerciali della pubblica amministrazione alle imprese e, nel caso fosse necessario, farebbe anche ricorso all’indebitamento, forse, chiedendo anche alcuni sacrifici da parte degli italiani, ma con la certezza di pagare prima le imprese ed i lavoratori, per un effetto immediato sull’economia reale di questo Paese. Il MoVimento 5 Stelle vuole ridiscutere le modalità di contribuzione ai programmi europei di sostegno finanziario, cosiddetti fondi salva Stati. Il MoVimento 5 Stelle non accetta raccomandazioni dai maggiori rappresentanti dell’Unione europea, che ingeriscono nelle politiche economiche e finanziarie del nostro Paese. Il MoVimento 5 Stelle reclama l’autonomia della nazione, ribadendo che il motto dell’Europa è «uniti nella diversità» e non «omologati nel traguardare obiettivi finanziari». Il MoVimento 5 Stelle vuole detassare il lavoro dipendente, senza distinzione tra giovani disoccupati e disoccupati meno giovani. Per il MoVimento 5 Stelle un cittadino disoccupato merita tutte le attenzioni della politica, sia esso giovane o meno giovane. Immaginate un padre di famiglia che non potrebbe permettere a suo figlio di formarsi in un percorso di studi perché è senza lavoro e vede, magari, l’azienda per cui lavorava assumere un giovane al suo posto. Il lavoro va tutelato qualsiasi sia l’età del lavoratore. Il MoVimento 5 Stelle vuole avviare un percorso di ristrutturazione del debito pubblico. Il MoVimento 5 Stelle vuole riordinare le amministrazioni locali, eliminando le province ed avviando un reale processo di revisione della spesa pubblica. Una Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza scritta dal MoVimento 5 Stelle avrebbe contenuto una proposta seria e cardine della propria politica economica per affrontare la crisi con un atto e nel vero contesto dove va affrontata, cioè, nel contesto europeo. Ed è per questo che voteremo no aquesta nota. Francesco Cariello giuliasarti.it/2013/10/11/dove-sorgono-i-problemi-degli-italiani-dove-vanno-finire-i-sacrifici-finanziari-richiesti-ai-cittadini/
Posted on: Tue, 15 Oct 2013 05:30:45 +0000

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