"Essere sani in posti insani" (di Renato Palma, medico - TopicsExpress



          

"Essere sani in posti insani" (di Renato Palma, medico psicoterapeuta) Nel 1988 Feltrinelli pubblicò una raccolta di articoli curati da Paul Watzlawick con il titolo “La realtà inventata”. Uno dei contributi magistrali fu quello di David Rosehan, il quale inviò in un ospedale alcune persone normali, per vedere se i medici dei reparti psichiatrici erano in grado di diagnosticarli. Tutti si presentarono all’accettazione lamentando di sentire delle voci, come dei pensieri di vuoto, di perdita di senso, sintomi che potevano essere legati a problemi esistenziali. Subito dopo essere stati ammessi in reparto, gli pseudopazienti cessarono di simulare qualunque sintomo e si comportarono “normalmente”. Quando il personale chiedeva come si sentivano, dicevano di stare bene e di non avvertire più i sintomi. Ciascun paziente aveva il compito di farsi dimettere convincendo i medici di essere sano e per questo, a detta del personale, si comportava in modo amichevole, collaborativo e non mostrava segni di anormalità. Nonostante i tentativi, nessuno di loro fu scoperto. Ammessi con una diagnosi di schizofrenia, furono dimessi con una diagnosi di schizofrenia in remissione. I veri pazienti, invece, scoprivano la sanità degli pseudo pazienti, accusandoli di essere giornalisti o professori. Come per i medici, dunque, anche gli psichiatri sono più propensi a definire malata una persona sana. Ma una diagnosi psichiatrica bolla gli individui a livello personale, legale e sociale per sempre, tanto che qualunque comportamento del “malato” (collaborativo o aggressivo, verboso o taciturno, amichevole o appartato) conferma invariabilmente la diagnosi. Rosehan decise di verificare i risultati della precedente ricerca cambiando le carte in tavola. Questa volta informò l’ospedale che nei successivi tre mesi avrebbe inviato uno o più pseudopazienti. Stava all’abilità dello staff riconoscerli. Naturalmente nessun pseudopaziente si presentò in quel periodo, ma su 193 pazienti uno degli psichiatri decise che ben 23 potevano essere pseudopazienti. Questo esperimento dimostrava due cose. La prima è che la tendenza a dichiarare folli persone sane può essere invertita se è in gioco il prestigio e l’acume diagnostico dei medici. La seconda è che ogni processo diagnostico che si presti tanto facilmente a errori così massicci non può essere molto affidabile. Date queste premesse sarebbe prevedibile un maggiore senso di responsabilità nell’etichettare le persone. In ogni caso i comportamenti denunciati nell’articolo “Malati? Solo agli occhi dei dottori. Viaggio nei reparti psichiatrici.” non riguardano riflessioni sulle premesse della psichiatria, ma solo la magistratura.
Posted on: Sun, 30 Jun 2013 08:26:17 +0000

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