Il Principe degli Apostoli venne a Roma, vi fondò la Chiesa e ivi - TopicsExpress



          

Il Principe degli Apostoli venne a Roma, vi fondò la Chiesa e ivi morì nel 64 d.C. Da allora il vescovo di Roma è successore di Pietro. Le prove storiche della presenza del Principe degli Apostoli nella capitale dell’Impero. La scoperta, sia pure contestata da alcuni, di un rammento del Vangelo di Marco in un papiro in lingua greca Qumran (il famoso 7Q5), databile dal punto di vista della scrittura a prima del 50 d.C. e proveniente, sembra, da Roma, ha riproposto il problema storico del momento della prima venuta di Pietro a Roma, che la tradizione cristiana, presente in autorevoli fonti del II secolo (Papia di Gerapoli, Clemente di Alessandria, citati da Eusebio e Ireneo) collocava all’inizio del regno di Claudio (nel 42, secondo il Chronicon di Eusebio) e associava alla composizione, appunto, del Vangelo di Marco: quest’ultimo avrebbe scritto su richiesta degli stessi Romani, fra cui cavalieri e Cesariani (questa precisazione è nella traduzione latina di un frammento di Clemente) che avevano ascoltato la predicazione di Pietro e volevano quae dicebantur memoriae commendare. La data indicata da Eusebio (42 d.C.) corrisponde assai bene alla data indicata dagli Atti degli Apostoli (12,17) in cui Pietro, liberato dalla prigionia di Erode Agrippa I, “se ne andò in un altro luogo”. Agrippa fu re della Giudea dal 41 al 44 e “l’altro luogo” degli Atti riecheggia un passo di Ezechiele (12,3), che indica Babilonia. E Babilonia è Roma anche nella 1a Petri 5,13. La presenza di Cesariani e cavalieri fra gli ascoltatori di Pietro a Roma nel 42 sembra convalidata da alcune delle “chiese domestiche” ricordate dalla Lettera ai Romani di Paolo (che io ritengo databile al 54): in essa si parla di cristiani “della casa di Narcisso” (ib.16,11), il più famoso dei collaboratori e liberti di Claudio, e di Cristiani “della casa di Aristobulo” figlio di Erode di Calcide (inviato più tardi da Nerone a governare la piccola Armenia): ad ambedue, ma specialmente a Narcisso, si adatta l’epiteto di Cesariani. Per quel che riguarda i cavalieri, era certamente un cavaliere il kratistos (latino egregius) Teofilo a cui è dedicato il vangelo di Luca. Al 42/43 risale anche la conversione ad una superstitio externa, che è sicuramente il Cristianesimo, di una donna di famiglia senatoria, Pomponia Grecina (Tacito, Ann. XIII, 32). Un ricordo della presenza di Pietro a Roma presso uomini della classe dirigente romana resta anche, mescolato a notizie del tutto leggendarie, negli apocrifi Atti di Pietro (composti, sembra, in Asia Minore alla fine del II secolo), in cui ospite di Pietro è il senatore Marcello: Marcello è il nome del personaggio, di probabile rango equestre, che nel 36/7, dopo la destituzione di Pilato e di Caifa, il legato di Tiberio, L. Vitellio, lasciò a Gerusalemme, al posto del governatore, da lui rinviato a Roma (Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche XVIII, 89) e la cui presenza, se la mia cronologia interna degli Atti degli Apostoli è esatta, assicurò la pace alla Chiesa nelle zone controllate dai Romani. L. Vitellio, amico e collaboratore di Claudio, si trovava a Roma con i pieni poteri nel 42/43 mentre l’imperatore era assente per la spedizione in Britannia e, essendosi già occupato dei Cristiani per conto di Tiberio durante la sua missione a Gerusalemme, poteva essere interessato, anche per motivi politici, a conoscere gli sviluppi della “setta” che aveva conosciuto a Gerusalemme e che ora ritrovava a Roma. lo credo pertanto che la richiesta a Marco di mettere per iscritto la predicazione di Pietro a Roma da parte di membri della classe dirigente romana possa essere nata anche dalla volontà di conoscere meglio la natura della nuova “setta” giudaica e di valutarne la eventuale pericolosità politica. Le informazioni raccolte dovettero tranquillizzare i collaboratori di Claudio: da questo momento e fino al 62 sappiamo da Flavio Giuseppe (Antichità Giudaiche XX, 199 sgg) che i Romani impedirono ogni violenza contro i Cristiani in Giudea, e sappiamo dagli Atti degli Apostoli che, direttamente o indirettamente, li favorirono a Cipro, a Corinto, ad Efeso. Di questa prima comunità romana fondata da Pietro sappiamo quello che ci dice Paolo nella Lettera ai Romani del 54. Lodata per la sua “fede nota in tutto il mondo”, essa si riuniva, come rivela il cap. XVI della stessa Lettera, in case di privati, con-vertiti dal paganesimo o dal giudaismo, e sembra essere rimasta estranea fino all’arrivo di Paolo (nel 56, secondo la mia cronologia, nel 60 secondo quella corrente) alla vita della numerosissima comunità giudaica della capitale: ciò sembra doversi ricavare dall’incontro di Paolo a Roma con i notabili di tale comunità nel 56 (At 28,17 sgg). L’Ambrosiaster, che scrive nel IV secolo, dice che i Romani susceperunt fidem Christi, ritu licet iudaico e ciò è pienamente comprensibile se il Cristianesimo era venuto a Roma, attraverso Pietro, direttamente da Gerusalemme. Il carattere giudaizzante della più antica comunità romana si riflette nei suoi più antichi scrittori, Clemente Romano e il Pastore di Erma, e nell’uso che essi fanno dell’Antico Testamento e degli stessi apocrifi giudaici. Non sembra invece che a Roma ci siano stati conflitti sulla circoncisione e sulla reciproca frequentazione tra convertiti dal giudaismo e convertiti dal paganesimo: questo era nello stile di Pietro, che fin dalla conversione del centurione Cornelio sapeva che la circoncisione non doveva essere imposta ai pagani e che, più tardi, ad Antiochia, aveva liberamente frequentato i pagani convertiti fin che non erano arrivati i seguaci di Giacomo ad impedirlo. Proprio questo comportamento di Pietro, che fu contestato da Paolo (Gal 2,10 sgg) e che sembra dettato da una scelta pastorale, quella di non provocare scontri con le comunità giudaiche della diaspora, spiega sia l’assenza di conseguenze per i Cristiani, della espulsione dei Giudei da Roma nel 49, sia i conflitti e le divergenze che subito si verificarono a Roma al momento dell’arrivo di Paolo, che adottò invece la linea, per lui consueta, di avvicinare subito la comunità giudaica. Lo stile di Pietro è invece quello che Tacito coglie in Pomponia Grecina, così riservata nella sua professione di fede, da motivare con il lutto per l’amica Giulia il suo mutamento di vita, e così coraggiosa da sfidare l’ira di Messalina. Pietro tornò certamente a Roma (la sua 1a Lettera ne attesta la presenza nella capitale fra la fine del 62 e gli inizi del 64 e presuppone, con l’accenno della possibile incriminazione dei cristiani come Cristiani, la svolta neroniana del 62) e vi morì - io credo - insieme fa molti cristiani di Roma, nella persecuzione seguita all’incendio del luglio 64. Il confronto tra Tacito (Ann. XV, 44) e la lettera di Clemente Romano ai Corinzi (1,5) è molto significativo e fa pensare ai giuochi dati da Nerone: forse quelli del 13 ottobre del 64, come ha suggerito Margherita Guarducci. IL TIMONE N. 12 - ANNO III - Marzo/Aprile 2001 - pag. 38-39
Posted on: Fri, 01 Nov 2013 23:39:30 +0000

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