LE VESTI DEI SACERDOTI (Esodo 28, 1-43) Ad Aronne e ai suoi - TopicsExpress



          

LE VESTI DEI SACERDOTI (Esodo 28, 1-43) Ad Aronne e ai suoi figli è riservato il ministero sacerdotale. Abiu (il cui nome significa: “mio padre è Lui [Dio]) e Nadab (“egli si è mostrato generoso”) avevano avuto un ruolo privilegiato durante la conclusione dell’alleanza al Sinai. Infatti, in Es. 24, 1-9 sono menzionati accanto a Mosè e ad Aronne e ai Settanta anziani ammessi alla visione di Dio sul monte. Essi però moriranno, puniti da Dio, per una trasgressione di tipo liturgico (Lev. 10, 1-2). La linea del sacerdozio sarà così portata avanti da Eleazaro (“ Dio mi ha aiutato”) che succederà a suo padre come Sommo Sacerdote (Num. 20, 25-26). Itamar (“terra di palme”), essendo il minore, ha compiti secondari rispetto a quelli di Aronne ed Eleazaro. Da lui, tuttavia, discendono importanti famiglie sacerdotali (1 Cronache 24). In questo brano l’autore biblico introduce un’accurata descrizione dei paramenti sacerdotali, preparati da abilissimi artigiani (anzi quasi “ispirati” da Dio perché ripieni di “spirito di saggezza”) ed elaborati con oro, porpora e lino fine. Anche questa descrizione riflette le molteplici norme liturgiche in vigore successivamente nel Tempio di Gerusalemme. Ecco innanzi tutto l’“efod”, che inizialmente doveva essere una specie di perizoma che copriva i fianchi delle divinità e dei sacerdoti ed era retto da due spalline (1 Sam. 6, 14-20). Ora sembra essere una specie di corpetto con bretelle e con una particolare cintura. La sua funzione era di tipo “oracolare”, cioè serviva per consultare la volontà del Signore. E’ per questo che all’efod sono collegate due pietre d’onice, inserite in castoni d’oro e appesi alle spalline del paramento con due catene d’oro. Su queste pietre sono incisi i nomi delle 12 tribù d’Israele, sei per pietra, così che idealmente il sacerdote, quando si presenterà davanti all’arca, porterà con se davanti al Signore tutto il popolo. Si stabilisce, quindi, tra Dio e Israele un dialogo che è mediato dal sacerdote, il quale rappresenta l’intera comunità. Le vesti sacre sono cariche di simbolismi e di valori religiosi e non hanno una funzione di puro abbigliamento e ornamento. Non per nulla queste due pietre d’onice incise sono chiamate “pietre-memoriale” perché servano di monito, di insegnamento, di messaggio ai figli d’Israele, “ricordando” il loro legame con Dio. Un altro paramento sacerdotale importante è il “pettorale del giudizio”, in ebraico “hoshen” (“bello”), forse da intendere come “ornamento”. Pare assomigliasse a una specie di borsa quadrata di circa 25 cm. per lato, appesa all’efod mediante catenelle e cordoni. Il pettorale di cui si parla era ricoperto da quattro file di tre pietre preziose, minuziosamente elencate: cornalina, topazio, smeraldo; turchese, zaffiro, diamante; giacinto, agata, ametista ; crisolito, onice, diaspro. E’ incerta l’identificazione delle pietre che il testo vuole indicare. Le pietre preziose non si trovavano in Israele, ma erano importate, come sappiamo dalla storia della regina di Saba (1 Re 10,11). Gli scavi archeologici compiuti in Palestina hanno portato alla luce soprattutto cornalina, ametista, diaspri, agate, onici e cristalli di ogni tipo. E’ facile immaginare il significato di queste pietre incastonate nel pettorale: esse “corrispondono ai nomi delle 12 tribù dei figli d’Israele”, incisi appunto su ciascuna di esse. Ancora una volta, come nel caso delle due pietre di onice dell’efod, il sacerdote presenta a Dio tutto il popolo, raffigurato proprio nel paramento sacro che egli indossa per il culto. La lista di pietre preziose, come è noto, sarà ripresa dal libro dell’Apocalisse (21, 19-20) nella sua descrizione della Gerusalemme celeste. La loro precisa identificazione e il significato simbolico che l’antica scienza a esse attribuiva non sono stati ancora definiti. La descrizione del pettorale indossato da Aronne, capostipite del sacerdozio è particolarmente precisa. Basti soltanto seguire la minuzia con cui è definito il modo per agganciarlo alle spalline dell’efod, l’altro paramento precedentemente presentato (per farci un’idea di queste due vesti sacre, potremmo paragonare l’efod ad un piccolo grembiule portato dalla vita in giù ed allacciato di dietro e sopra le spalle. Il pettorale era fissato, in alto, alle due spalline ed, in basso, alla cintura dell’efod). Catene, cordoni, anelli d’oro fanno sì che il pettorale si annodi all’efod, costituendo un insieme armonico. A questo punto si spiega in modo allusivo il significato del nome “pettorale del giudizio” che questo paramento sacro riceve. Infatti sopra il pettorale, dalla parte del cuore di chi lo indossa, sono inseriti gli “Urim e i Tummim”, letteralmente i “luminosi” e i “perfetti”, anche se il significato dei due termini permane incerto. Si tratta di due “sorti sacre”, forse due pietruzze di colore diverso, la cui funzione era oracolare. A una domanda rivolta alla divinità si otteneva un responso sacro attraverso queste due sorti, a cui si attribuiva un valore convenzionale: forse l’una indicava la risposta positiva e l’altra quella negativa (Davide le consulterà, ad esempio, per attaccare o no battaglia contro Saul: 1 Sam. 23, 9-13). E’ attraverso gli Urim e i Tummim, quindi, che si aveva il giudizio divino sulle imprese umane. Rimane, però, oscura la modo con cui si usava questo oggetto sacro per ottenere i vari responsi divini. C’è in qualche elemento un residuato degli antichi usi magici, praticati da molti popoli e sopravvissuti anche in Israele. Un altro paramento sacerdotale è il “mantello” di porpora, con l’orlo del collo tutto lavorato e i lembi ricamati con disegni di melagrane (pianta molto diffusa in Palestina: i suoi frutti, insieme ad uva e fichi, sono portati agli Israeliti dagli esploratori penetrati nella terra promessa prima dell’ingresso di Israele come indicazione della sua prosperità: Num. 13,23. Il melograno era considerato simbolo della fertilità, della vita per i numerosi semi che ogni frutto contiene. Per questo la metafora del melograno o del suo frutto è frequente nel Cantico dei cantici 4,3.13; 7,13. Per lo stesso motivo, probabilmente era un motivo decorativo presente in molti monumenti assiri e fenici. In Israele, oltreché le vesti del sommo sacerdote, i melograni decoravano anche il Tempio di Salomone: 1 Re 7,20) e accompagnati da campanelli che avevano lo scopo di segnalare la presenza sacra del sacerdote, la cui persona partecipava del mistero divino. Nel libro del Siracide 45,9 si scrive: “All’orlo della veste (di Aronne), pose melagrane e tanti campanelli d’oro all’intorno, che risuonassero alla cadenza dei suoi passi, perché il tintinnio sentito nel tempio fosse un richiamo per i figli del suo popolo”. Si passa poi a un altro capo dell’abbigliamento sacerdotale: “il turbante” del sommo sacerdote. Esso reca una lamina d’oro su cui è incisa l’iscrizione “Consacrato del Signore” segno della qualità sacra del sacerdote. Presentandosi con questa scritta davanti a Dio, egli potrà ottenere il perdono per le colpe eventualmente commesse durante i riti. Non si parla qui di colpe morali, ma piuttosto di una “trasgressione” liturgica, una violazione delle norme che regolavano il culto. Nell’antichità tali regole erano infatti tenute da tutti in grande considerazione. Aronne, in quanto sommo sacerdote, rappresenta davanti a Dio tutto il popolo. Presentandosi al suo cospetto nel rispetto delle regole rituali egli può chiedere il perdono delle trasgressioni commesse dagli Israeliti. Una “tunica” di bisso, cioè di lino fine, stretta da una cintura ricamata, costituiva un altro elemento delle vesti sacerdotali. I sacerdoti di grado inferiore avevano un copricapo diverso dal turbante del sommo sacerdote. Infine, si menzionano i “calzoni” di lino, destinati a nascondere le nudità del sacerdote, soprattutto quando egli lavorava attorno all’altare per approntare le vittime dei sacrifici e quanto era necessario per il culto (Es. 20,26).
Posted on: Wed, 14 Aug 2013 20:26:49 +0000

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