La missione della chiesa (Is 66,10-14c; Gal 6,14-18; Lc - TopicsExpress



          

La missione della chiesa (Is 66,10-14c; Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20) «Ho battezzato alcuni musulmani. Esistono dei nuovi cristiani». Questa frase, con cui si conclude una lunga intervista, finora inedita, concessa da Mons. Padovese, il vescovo ucciso alcune settimane fa in Turchia, a Oasis (vedi nicodemo.net), potrebbe rivelare uno dei possibili moventi della sua uccisione, in quanto per gli estremisti islamici è un grave delitto la conversione di un musulmano a un’altra fede. Nell’intervista Padovese descrive la difficile situazione dei cristiani in Turchia e afferma che la Chiesa cattolica, a differenza di altre confessioni cristiane, non è neppure riconosciuta, in quanto non rappresenta una minoranza etnica, ma semplicemente un gruppo di credenti. Padovese depreca che, in questo contesto, la chiesa soffra di una riduzione all’invisibilità. La situazione dei cristiani in Turchia, tipica di diversi paesi mussulmani, rappresenta una sfida molto forte alla missione cristiana. Riflettiamo su questo tema alla luce delle letture di oggi. Nella prima lettura il profeta Isaia descrive la prosperità della Gerusalemme degli ultimi tempi. Essa si caratterizza soprattutto per la pace di cui sarà riempita e per il benessere di cui godranno i suoi figli. La gloria di Gerusalemme prefigura il regno di Dio che Gesù è venuto ad annunziare. La sua condizione fondamentale è la pace, senza della quale non c’è vero benessere per tutti. E la pace presuppone la giustizia, che significa partecipazione solidale di tutti al bene comune. Se la chiesa anticipa già quaggiù la Gerusalemme celeste, essa deve contraddistinguersi non solo per il richiamo costante alla pace, ma anche per la sua capacità di porre i segni che la caratterizzano. Questa è la prima grande missione della chiesa. Quali siano questi segni viene esplicitato nella lettura del vangelo, dove è descritto il mandato assegnato da Gesù, oltre che ai Dodici, ad altri settantadue discepoli, che rappresentano simbolicamente gli inviati tra le nazioni al di fuori di Israele. Essi devono rinunciare non solo a portare con sé una borsa con il necessario per il viaggio, ma addirittura ai sandali. Il loro compito è soprattutto quello di annunziare che il regno di Dio è vicino. E per questo devono guarire i malati e portare a tutti la pace, senza pretendere alcun privilegio o favore; se in un luogo non vengono accolti, devono andare oltre. È la povertà suprema. Senza questa povertà non è possibile combattere efficacemente contro i nemici del regno di Dio. I discepoli vanno e compiono bene la loro missione, al punto tale che al loro ritorno Gesù dice di aver visto satana cadere dal cielo come una folgore. È la vittoria del bene sul male. Ma li esorta a rallegrarsi soprattutto perché i loro nomi sono scritti nei cieli, cioè perché hanno raggiunto il sommo bene che è Dio. Nella seconda lettura, ricavata dalla conclusione della lettera ai Galati, Paolo rincara la dose: come missionario, egli ha scelto non solo la povertà, ma la piena e totale assimilazione alla croce di Cristo, fino al punto di essere crocifisso con lui e di portare sul suo corpo le «stigmate» di Cristo. Solo così può annunziare a tutti pace e misericordia. In questo contesto egli sottolinea che non conta la circoncisione o la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. Egli abbandona così il segno fondamentale di appartenenza all’ebraismo, un segno religioso e al tempo stesso etnico. La salvezza non viene dall’appartenenza a un gruppo, ma dall’adesione personale e vissuta a Cristo e al suo messaggio d’amore. Da queste letture deriva un concetto di missione al quale forse non siamo molto abituati. Una missione che si pone esclusivamente come annunzio del regno, mediante segni di pace e di misericordia, senza mezzi umani e senza privilegi. Purtroppo lungo i secoli la missione non è stata così, nonostante la dedizione e l’amore che hanno contraddistinto tanti missionari. Il più delle volte la fede cattolica è stata «imposta» con l’appoggio del potere, dei soldi, della superiorità culturale. Adesso non è più così, ma fino a un certo punto. Il passo decisivo non è ancora stato fatto. Per quanto riguarda l’islam, oggi la grande battaglia da fare è quella a favore delle libertà della persona. Non semplicemente la libertà religiosa, ma la libertà in quanto tale. Anche qui da noi, senza bisogno di andare in Turchia. Ma per questo bisogna che per noi, al nostro interno, la libertà sia sempre il bene sommo, senza del quale non è possibile una vera adesione a Cristo.
Posted on: Sat, 06 Jul 2013 10:48:01 +0000

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