L’INTERVISTA. Lo sfogo dell’ideatore del museo “Paolo - TopicsExpress



          

L’INTERVISTA. Lo sfogo dell’ideatore del museo “Paolo Orsi” di Siracusa Voza: «Una degenerazione nel settore beni culturali» «Non si può puntare su volontari o forestali, ma su uno staff» ISABELLA DI BARTOLO S IRACUSA . «Noi siciliani, che sin dal Sette- cento abbiamo indicato i criteri e l’idea “culturale” dei beni, da Biscari in poi, ne assistiamo oggi allo smembramento. Noi che siamo stati modello di gestione e tutela per l’intera Europa, adesso siamo guardati dagli altri Paesi con stupore». E’ uno sfogo amaro quello di Giuseppe Vo- za, soprintendente emerito di Siracusa e direttore onorario del museo archeologi- co “Paolo Orsi” da lui ideato e realizzato in venti anni: dal 1968 al 1988. Ed è soffermandosi sul museo aretu- seo che Voza accenna alla questione an- nosa della carenza di fondi e custodi og- gi al centro di una polemica che mette a rischio la fruizione di siti e monumenti. «Quando stavo lavorando alla nascita del “Paolo Orsi” - rac- conta Voza - chiesi alla Regio- ne di poter visitare alcuni fra i musei più noti al mondo per comparare gestione e fruizio- ne. Dall’Inghilterra al Giappo- ne e sino all’America furono tante le occasioni di confronto fra cui, appunto, quella di New York che mi colpì per il fatto che i custodi fossero partecipi degli utili del museo. Un fatto denso di significato: si garantiva così la partecipazione del personale alla vita stessa del museo. Ecco, ritengo che sia prioritario per la struttura avere uno staff preparato e coinvolto. Oggi questo, indubbiamente, manca». Giuseppe Voza evidenzia come la fi- gura del custode sia fondamentale per la fruizione di siti, aree archeologiche e strutture museali. «Un custode - dice - dev’essere il tramite fra l’esposizione e il visitatore. Non intendo che debba esse- re un cicerone, bensì una parte attiva del museo. Senza un ottimo servizio di custodia non può esservi la fruizione. Un tempo vi era proprio per questo una rigida selezione: un custode doveva ave- re un titolo di studio, magari parlare qualche lingua straniera. Doveva anche essere ben riconoscibile e indossare per questa una divisa. Oggi non è più cosi: non vi sono esami, non vi sono concorsi da tempo immemorabile». I concorsi, già. C’è chi li aspetta da una vita e non sono solo i custodi, ma anche gli archeologi, i fotografi, i restauratori, i disegnatori. «Lo staff specializzato in- somma - aggiunge Voza -, dal vertice all’ultimo ausiliario di un museo. E, più in generale nel settore dei beni cultura- li, dall’alto al basso nella scala delle fun- zioni. In una crisi sempre più grave assi- stiamo alla carenza di personale specia- lizzato a fronte di assunzioni improprie nel passato. Raccomandati, insomma». Una gestione inadeguata, dunque. Che non riesce a garantire il servizio prima- rio che è quello della fruizione di un be- ne culturale. La sua pulizia, manutenzio- ne e cura. E il risultato è sotto gli occhi di turisti e non: aree archeologiche invase da erbacce, siti interdetti al pubblico, interi settori museali chiusi. «Non pos- siamo certo sperare nel volontariato - commenta Giuseppe Voza - né nell’in- tervento della Forestale che adesso è certo ottimale ma che può essere circo- scritto a lavori d’emergenza. Non possia- mo sognare che i privati mettano becco in un campo così delicato qual è quello dei beni culturali. Ci vuole impegno, ri- sorse e soprattutto ci vuole la volontà politica che è mancata per troppo tem- po». Le regole, d’altronde, ci sono. Esistono leggi considerate un tempo all’avanguar- dia ma che oggi sono disattese come evidenzia Voza. «Ci si dimentica di quan- to prevedono le norme regionali - dice il soprintendente emerito - e si affida tut- to all’evento del monumento». Scuote la testa Giuseppe Voza. «Non si può pen- sare a organizzare concerti rock o gran- di spettacoli - dice - ma abbiamo l’obbli- go di presentare bene i gioielli del nostro patrimonio, aiutare chi li visita a capire perché un sito è unico come il Teatro Greco di Siracusa, per esempio». E qui l’accenno è a un altro simbolo del patri- monio culturale a cui ha dedicato lunga parte della sua vita da archeologo. «Chi gestisce i beni culturali - dice - ha l’obbli- go di farli conoscere nelle sue peculia- rità, di spiegare cosa li rende patrimonio. Poi si può pensare a farvi eventi». Voza torna sulla questione custodi e accenna al ruolo svolto dai sindacati. «Manca il confronto - dice -. Quando ero soprintendente, trascorrevo un giorno a settimana con i rappresentanti sinda- cali. Oggi ci sono i tavoli tecnici per que- sto: perché non si usano in maniera cor- retta allora? Ci vuole una politica dei beni culturali anche nel rispetto di chi vi lavora. Non si può fare una battaglia per strappare qualche ora di straordinario, incrociare le braccia e sottrarsi ai propri doveri. Si deve discutere, confrontarsi e trovare le soluzioni». E poi vi sono i parchi. Piccoli, grandi, medi. «Il territorio è stato parcellizzato - commenta Giuseppe Voza -. Una dege- nerazione a mio avviso: 26 parchi signi- fica lo smembramento dell’intero terri- torio calpestandone la sua visione orga- nica. Occorre rimodellare tutta la regio- ne secondo i connotati del territorio e poi ricreare le Soprintendenze sulla ba- se delle caratteristiche dei luoghi, all’in- segna della contestualità, dell’unità identitaria secondo quella funzione pri- maria che era insita nell’idea di gestione attraverso le istituzioni. Si è perso il con- testo del patrimonio». Ma allora, la poli- tica dei beni culturali può essere ancora salvata? «Al punto di crisi in cui siamo oggi, credo che si possa salvare soltanto rimettendoci a lavorare. Bisogna cercare di guadagnare il tempo perduto. Bisogna fare di tutto per ridare dignità a questa nostra Isola per quello che ha, per quel- lo che è. Per quello che mer
Posted on: Sun, 23 Jun 2013 13:32:27 +0000

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