Mi permetto di ricordare che avevo mandato a Tedeschi de Il - TopicsExpress



          

Mi permetto di ricordare che avevo mandato a Tedeschi de Il Borghese (e a molti miei amici) una mia considerazione su come si fosse svolta la crisi nel 1929/1933 in Germania e come la POLITICA DI AUSTERITA ABBIA PREPARATO LA STRADA AD HITLER. Qualche mese dopo il politico tedesco Schmidt ha confermato la mia lettura e dato ai propri connazionali un duro avviso: NON FATE VALERE SOLO LA FORZA DELLA GERMANIA PERCHE QUESTO POTREBBE FAR SALTARE LINIONE EUROPEA. Grazie e buona lettura. carlo violati [email protected] 19/03/12 Mi chiamo Carlo Violati, nato a Roma nel 1931; sono lex Consigliere Delegato del Gruppo Sangemini, Ferrarelle, Boario, Fabia, Santagata Nepi. Sono figlio del compianto Cavaliere del Lavoro Francesco Violati; mio Padre era grande amico del Cavaliere del Lavoro Angelo Costa e quel grande Presidente di Confindustria mi voleva sempre come membro del Comitato dei Probiviri. Per anni passavo con Lui i pomeriggi susseguenti le Assemblee di Confindustria. Poi Carli mi ha nominato Consigliere Incaricato per il Mezzogiorno. Ho inventato lo slogan Liscia Gassata o Ferrarelle. Vorrei suggerire un breve messaggio per spiegare agli italiani quello che sta succedendo. Nella mia esperienza di pubblicitario so che uno slogan devessere breve, deve spiegare con semplicità la situazione e va ripetuto, se si vuole che entri nella testa dei lettori. Mi trova a questo numero, se vuole, 3355838062; il mio indirizzo di posta elettronica è c.violati@gmail ECCO IL MESSAGGIO: LINFLAZIONE NON HA MAI CREATO DISASTRI, LA RECESSIONE NE HA CREATI DI TREMENDI. PRIMO PENSIERO: Pochi italiani ricordano che un barile di petrolio, che oggi costa intorno ai 100 dollari, era venduto nel 1971, poco più di 40 anni fa, a 1,25 dollari. Questo non ha mai creato gravi disagi nella vita dei popoli. SECONDO PENSIERO: Creare una moneta senza avere una Banca di ultima garanzia è una follia. La crisi dei sub prime negli Stati Uniti e nella Inghilterra (che hanno Banche Centrali capaci dintervenire sulla loro moneta) non ha creato danni alla vita sociale e sacrifici ai cittadini. In Europa i Paesi che hanno leuro stanno soffrendo per mancanza di una politica di difesa. TERZO PENSIERO: Quando è nato leuro era stato quotato 85 centesimi di dollaro. Poi è arrivato fino a un dollaro e sessanta, e adesso viaggia intorno ad un dollaro e trentadue - trentacinque. Questo significa che leuro è sopravvalutato e una moneta sopravvalutata rende difficile lesportazione e incoraggia le importazioni. QUARTO PENSIERO: Quando siamo entrati nelleuro, abbandonando la vecchia lira, linflazione continua aveva portato una lira del 1861 a valere circa 6.800 lire del 1998. Ma con aggiustamenti continui per recuperare il valore dei salari e delle retribuzioni di chi lavorava non hanno mai procurato disastri. Lunico che ci guadagnava sempre era lo Stato che tassava come plusvalore la crescita dei valori (dovuti allinflazione). QUINTO PENSIERO: Una crisi recessiva nella Germania (che attualmente vuole governare leuro) dopo la crisi del 1929 affrontata con politiche che avevano creato recessione e miseria, ha creato nel 1933 quel terribile mostro che è stato Hitler. SESTO PENSIERO: lItalia con liniezione di moneta derivante dalla svalutazione delleuro potrebbe, senza sofferenza, affrontare le misure di recupero di una riduzione della spesa pubblica e rimessa in efficenza del sistema. Ricordando un insegnamento di Milton Friedman che diceva: IN ECONOMIA NON ESISTONO PASTI GRATIS, ridiamo più autonomia alle famiglie, diamo meno prestazioni falsamente gratuite (fonte di malcostume economico) e riduciamo le tasse. CONCLUDENDO: LINFLAZIONE E FACILMENTE GOVERNABILE, LA RECESSIONE CREA SOFFERENZE E METTE IN CRISI LA DEMOCRAZIA. Nota esplicativa: dal 1930 al 1933 il Cancelliere tedesco Bruning ha attuato una politica di sacrifici che hanno generato una disoccupazione tremenda. Su quella massa di scontento è cresciuto il mito di Hitler che dopo Bruning è diventato Cancelliere. Gli italiani soffrono inutilmente per una politica di inutili sacrifici. Napolitano stavolta non ha avuto le idee chiare. Monti poi è troppo legato ad ambienti poco raccomandabili. Che Dio ce la mandi buona. Helmut Schmidt: La mia Germania deve cambiare rotta Chi crede che l’Europa possa essere risanata solo grazie ai tagli alla spesa dovrebbe studiare le nefaste ripercussioni della politica deflazionistica perseguita da Heinrich Brüning nel 1930-1932 che provocò la depressione e un’insostenibile disoccupazione, avviando di fatto il declino della prima democrazia tedesca. Oggi come ieri, il prezzo del nostro fallimento politico ed economico può essere altissimo. di Helmut Schmidt, da il Sole 24 Ore, 5 giugno 2012 Quando si è ormai avanti con l’età, si tende a ragionare per ampi lassi di tempo, con uno sguardo alla storia passata, ma anche verso un futuro auspicato e desiderato. Tuttavia, qualche giorno fa non sono stato in grado di dare una risposta univoca a una domanda molto semplice: Quando la Germania diventerà finalmente un Paese normale? Ho risposto che in un futuro prossimo la Germania non diventerà un Paese normale a causa del nostro enorme e peculiare fardello storico e della posizione centrale e soverchiante che il nostro Paese occupa a livello demografico ed economico in un continente molto piccolo, ma articolato in una compagine variegata di Stati nazionali. Ogni volta che i sovrani, gli Stati o i popoli al centro erano deboli, i vicini avanzavano dalla periferia verso un centro svigorito. Quando però le dinastie o gli Stati dell’Europa centrale erano più potenti o quando credevano di esserlo, sono stati loro ad attaccare la periferia. (Aggiungo una mia nota: nel secolo scorso i popoli di lingua tedesca hanno massacrato lEuropa con due guerre mondiali) Mentre la conoscenza e il ricordo delle guerre medioevali sono praticamente sprofondati nella coscienza dell’opinione pubblica e di massa delle nazioni europee, la memoria del secondo conflitto mondiale e dell’occupazione tedesca svolge ancora oggi un ruolo dominante anche se latente. Per noi tedeschi è decisivo il fatto che quasi tutti i nostri vicini e quasi tutti gli ebrei sparsi nel mondo ricordano l’Olocausto e le infamie commesse nei Paesi della periferia durante l’occupazione tedesca. Forse. Non ci è sufficientemente chiaro il fatto che quasi tutti i nostri vicini, probabilmente ancora per molte generazioni, coveranno una diffidenza latente nei nostri confronti. Anche le generazioni che sono venute dopo devono fare il conto con questo fardello. La generazione di oggi non deve dimenticare che è stata la diffidenza verso un futuro sviluppo della Germania che nel 1950 ha aperto la strada all’integrazione europea. Due le ragioni che indussero Churchill nel 1946 a invitare i francesi a riconciliarsi con i tedeschi per fondare gli Stati Uniti d’Europa: la creazione di una resistenza comune contro la minaccia dell’Urss e l’imbrigliamento della Germania in una più ampia unione. Con lungimiranza Churchill aveva previsto il rafforzamento della Germania. I leader europei e americani (cito George Marshall, Eisenhower, Kennedy, Churchill, Jean Monnet, Adenauer, de Gaulle, De Gasperi ed Henri Spaak) non agirono in forza di un euro-idealismo, ma perché conoscevano la storia. Intravvedevano la necessità di evitare una prosecuzione della lotta tra periferia e centro tedesco. Chi non ha compreso questo motivo originario dell’integrazione europea ignora una premessa imprescindibile per la soluzione dell’attuale crisi. Quanto più nel corso degli anni la Repubblica federale tedesca andava incrementando il proprio peso economico, militare e politico, tanto più l’idea di un’integrazione europea si profilava ai leader europei come una garanzia contro una presumibile inclinazione e debolezza dei tedeschi nei confronti del potere. La resistenza che Margaret Thatcher, Mitterand o Andreotti opposero nel 1989-1990 a una riunificazione nasceva dalla preoccupazione nei confronti di una Germania troppo potente. Ho ascoltato Jean Monnet quando fui chiamato a partecipare al Comitato Pour les États Unis d’Europe nel 1955 e ritengo che, in materia d’integrazione, il suo acume si palesò proprio nell’idea di perseguire l’intento mediante un processo graduale. Da allora, non per ragioni ideologiche, ma perché comprendo l’interesse strategico della nazione tedesca, sono un sostenitore dell’integrazione e dell’imbrigliamento della Germania. L’intesa che instaurai con Giscard d’Estaing aprì le porte a un periodo di cooperazione franco-tedesca e al rafforzamento dell’integrazione, continuati con successo da Mitterand e Kohl. Al tempo stesso, dal 1950-1952 al 1991 la Comunità europea crebbe gradualmente da sei a dodici Stati. Sul terreno preparato da Jacques Delors, Mitterand e Kohl diedero vita nel 1991 a Maastricht, all’Unione monetaria, concretizzatasi nel 2001. Alla base c’era, la preoccupazione francese per una Germania troppo potente e per un marco tedesco troppo forte. Nel frattempo l’euro è diventato la seconda valuta nell’economia mondiale. Nelle relazioni interne come in quelle esterne la moneta unica si è rivelata più stabile del dollaro e di quanto fosse stato il marco nei suoi ultimi dieci anni di vita. Tutto il parlare di questi tempi su una presunta crisi dell’euro non è altro che uno sventato ciarlare. Dal Trattato di Maastricht il mondo ha vissuto grandi cambiamenti. C’è stata la liberazione dell’Europa dell’Est e l’implosione dell’Urss, la straordinaria ascesa della Cina e degli altri emergenti. L’economia reale è ormai globalizzata e gli attori dei mercati finanziari globali si sono accaparrati un potere incontrollato. Al tempo stesso, la popolazione mondiate entro la prima metà del XXI secolo arriveremo a 9 miliardi di persone e gli europei ne rappresenteranno solo il 7% mentre fino al 1950, per ben due secoli, ne costituivano più del 20%. Parimenti diminuisce la quota europea del Pil globale: entro il 2050 si ridurrà al 10% dal 30% del 1950. Se guardiamo dall’esterno, notiamo che da un decennio la Germania suscita un certo disagio. Sono poi emersi dubbi rilevanti sulla continuità della politica tedesca e sulla sua affidabilità. Tali dubbi nascono anche da errori commessi dai nostri politici e dall’altra parte dalla forza economica della Germania. Tuttavia non siamo sufficientemente consapevoli che la nostra economia è fortemente integrata nel mercato europeo ed è anche largamente dipendente dalla congiuntura mondiale. Andremo perciò incontro a un rallentamento della crescita delle esportazioni tedesche. Allo stesso tempo assistiamo a uno squilibrio nel nostro sviluppo a fronte di una persistente e massiccia eccedenza della bilancia commerciale e delle partite correnti. Queste eccedenze rappresentano da anni il 5% del Pil e sono pari a quelle della Cina. Non ne siamo del tutto coscienti perché non sono più espresse in marchi tedeschi, ma i politici sono però costretti a prenderne atto. Tutte le nostre eccedenze sono in realtà deficit per gli altri. I crediti che abbiamo verso gli altri sono i loro debiti. Si tratta di una incresciosa lesione dell’«equilibrio nei rapporti economici con l’estero» che un tempo abbiamo elevato a ideale di legge. Questa infrazione preoccupa i nostri partner. E le voci che negli ultimi tempi si sono sollevate, soprattutto dagli Stati Uniti, che pretendono dalla Germania l’assunzione di un ruolo di leader europeo, non fanno che aumentare il sospetto dei nostri vicini, richiamando in vita i temuti fantasmi del passato. Lo sviluppo economico e la contemporanea crisi della capacità d’azione degli organi della Ue hanno spinto la Germania ancora una volta a occupare un ruolo centrale. Insieme al presidente francese, il cancelliere Merkel ha accettato questo ruolo. Ma in diverse capitali europee cresce l’ansia nei confronti dì un dominio tedesco. Questa volta non si tratta di un potere politico e militare, ma di una preponderanza economica. Se noi tedeschi ci lasciassimo tentare a pretendere una leadership europea avremo come risposta una decisa opposizione da un numero sempre crescente di Paesi limitrofi. La preoccupazione della periferia nei confronti di un centro troppo forte tornerebbe alla ribalta in tempi rapidi e le conseguenze ipotizzabili sarebbero deleterie per la Ue e implicherebbero un isolamento di Berlino. La posizione centrale che la Germania occupa dal punto di vista geopolitico, l’infausto ruolo che ha assunto nel corso della storia europea fino alla metà del XX secolo, il rendimento attuale impongono a ogni governo tedesco di acquisire la capacità di immedesimarsi negli interessi dei partner europei e di mostrarsi pronti a offrire aiuto. Del resto lo straordinario processo di ricostruzione degli ultimi decenni non è frutto solo delle nostre forze. La ricostruzione sarebbe stata impensabile senza l’aiuto delle potenze vincitrici del blocco occidentale, senza il nostro inquadramento all’interno della Comunità europea e del Patto atlantico, senza l’apertura dell’Europa dell’Est e senza la fine della dittatura comunista. Noi tedeschi abbiamo buone ragioni per essere riconoscenti e abbiamo l’obbligo di ricambiare con dignità la solidarietà ricevuta. Sono convinto che rientri nell’interesse strategico a lungo termine dell Germania non isolarsi e non farsi isolare. L’isolamento all’interno dell’occidente sarebbe pericoloso, ma nell’Unione europea o nella zona euro ancor più rischioso. Ritengo che questo vada ben oltre qualsiasi altro interesse di partito. Effettivamente la Germania è stata per lunghi decenni un contribuente netto. Ce lo potevamo permettere e lo abbiamo fatto fin dai tempi di Adenauer. E naturalmente la Grecia, il Portogallo o l’Irlanda sono stati sempre beneficiari. Di questa solidarietà l’attuale classe politica tedesca non è sufficientemente cosciente; eppure fino a oggi è stata data sempre per scontata. COME SCONTATO, E SANCITO DAL TRATTATO DI LISBONA, E IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA; l’Unione Europea deve farsi carico di ciò che uno Stato non è in grado di regolare e superare da solo. Adenauer ha valutato correttamente l’interesse strategico tedesco nel lungo termine, nonostante la divisione della Germania. Tutti i suoi successori, Brandt, Schmidt, Kohl e Schröder hanno proseguito la politica di integrazione. Qualsiasi tattica di politica interna o estera non ha mai messo in discussione l’interesse strategico nel lungo periodo. Per questo motivo i nostri partner hanno potuto fidarsi per decenni della continuità della politica europea perseguita dai tedeschi, indipendentemente dai cambi di governo. Questa continuità è necessaria anche in futuro. Non esiste formula sicura per far fronte all’attuate crisi di leadership della Ue. Né possiamo presentare l’ordinamento del nostro Paese come un modello, ma solo come un esempio. Tutti insieme abbiamo la responsabilità per quello che la Germania fa e non fa e per gli effetti futuri della sua condotta sull’Europa. Abbiamo bisogno di una razionalità europea ma anche di un animo aperto nei confronti dei nostri partner. Su un punto importante concordo con Jürgen Habermas che di recente ha affermato: «Per la prima volta nella storia della Ue stiamo assistendo a uno smantellamento della democrazia». Ed è proprio cosi: il principio democratico non è stato accantonato solo dal Consiglio europeo e dai suoi presidenti, ma dalla Commissione e dai suoi presidenti mentre l’Europarlamento non ha saputo esercitare un ruolo decisivo. Ci troviamo di fronte a uno scenario in cui alcune migliaia di speculatori finanziari americani ed europei e qualche agenzia di rating hanno preso in ostaggio i governi in Europa. Non possiamo aspettarci che Obama contrasti queste dinamiche. Lo stesso vale per il governo britannico. Nel 2008 e 2009 i governi di tutto il mondo hanno salvato le banche con le garanzie e il denaro dei contribuenti. Ma già dal 2010 questa schiera di manager finanziari super intelligenti ha ripreso a giocare al vecchio gioco dei profitti e dei bonus. Un gioco d’azzardo che va a scapito di tutti quelli che non partecipano. Se nessun altro è disposto ad agire devono scendere in campo i membri dell’Eurozona. La strada da seguire è l’articolo 20 del Trattalo di Lisbona. Il quale prevede che uno o più membri della Ue «potenzino la loro collaborazione». In ogni caso gli Stati che adottano l’euro dovrebbero mettere in atto una serie di regole per i propri mercati finanziari che abbiano ripercussioni su tutta l’Eurozona. Dalla distinzione tra le normali banche commerciali da una parte e le banche d’investimento e banche ombra dall’altra, al divieto di vendite allo scoperto di titoli e di commercio dei prodotti derivati se non ammessi dagli organi di vigilanza sulle borse, fino a un’efficace limitazione di giri d’affari delle agenzie di rating che si rìpercuotono sull’Eurozona, attività finora non soggette a vigilanza. È certo che la lobby bancaria globalizzata ostacolerà con ogni mezzo questo tipo di provvedimenti, come ha fatto finora contro analoghe misure drastiche, permettendo che la schiera di speculatori costringesse i governi europei a stanziare nuovi fondi salva-Stati e a escogitare ogni mezzo per ampliarli. E’ giunto il momento di opporsi a questo sistema. Se gli europei avranno la forza e il coraggio di portare a compimento una drastica regolamentazione del mercato finanziario, potremmo pensare di diventare a medio termine una zona di stabilità. Se falliremo il peso dell’Europa continuerà a diminuire, mentre il mondo si avvierà verso il duumvirato Washington-Pechino. Per l’immediato futuro dell’Eurozona sono senza dubbio da compiere i passi fin qui annunciati, in cui rientrano i fondi salva-Stati, le soglie massime di indebitamento e il loro controllo, una politica economica e fiscale comune e una serie di riforme nazionali in materia di fisco, spesa pubblica, politica sociale e mercato del lavoro. Per forza di cose diventerà inevitabile anche un indebitamento comune che noi tedeschi non dobbiamo rifiutare per ragioni di egoismo nazionale. Nei contempo non dobbiamo però propagare una politica di deflazione estrema per tutta l’Europa. Jacques Delors ha ragione quando pretende che insieme al risanamento dei bilanci debbano essere introdotti e finanziati anche progetti di crescita economica. Senza crescita, senza nuovi posti di lavoro, nessuno Stato potrà risanare le proprie casse. Chi crede che l’Europa possa essere risanata solo grazie ai tagli alla spesa dovrebbe studiare le nefaste ripercussioni della politica deflazionistica perseguita da Heinrich Brüning nel 1930-1932 che provocò la depressione e un’insostenibile disoccupazione, avviando di fatto il declino della prima democrazia tedesca.
Posted on: Tue, 29 Oct 2013 11:03:42 +0000

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