SENTENZA PRO VERITATE (seguito) Come se, sputtanando il giudice, - TopicsExpress



          

SENTENZA PRO VERITATE (seguito) Come se, sputtanando il giudice, si riabilitasse il condannato. E soprattutto come se la sentenza Esposito se la fosse scritta da solo, chiudendo gli altri quattro in un sgabuzzino. Ora, dalle cinque firme in calce alle motivazioni, si scopre che erano tutti d’accordo. Dunque, a dire che B. è colpevole nel processo Mediaset, sono stati in questi dieci anni i due pm che condussero le indagini (De Pasquale e Robledo), il Gup che lo rinviò a giudizio, i tre giudici del Tribunale che lo condannarono, il Pg che chiese la conferma della condanna in appello, i tre giudici d’Appello che la confermarono, il Pg che chiese la conferma della condanna in Cassazione, i cinque giudici che hanno accolto la sua richiesta. In tutto 16 magistrati di sedi, funzioni, correnti le più diverse fra loro. Eppure il ministro Cancellieri, il Pg della Cassazione Ciani e il Csm si sono subito mobilitati per punire Esposito, reo di aver detto in un’intervista che B. è stato condannato perché c’è la prova che è colpevole. E non in base al teorema del “non poteva non sapere”, ma alla prova che sapeva. SI È MOLTO dibattuto sull’esempio fatto dal giudice al giornalista del Mattino per spiegare la differenza fra il “non poteva non sapere” e il “sapeva”: quello del capo che viene informato dai sottoposti Tizio, Caio e da Sempronio dei reati che commettono. Un caso di scuola totalmente avulso dal processo Mediaset (anche se poi il giornalista scorretto ha appiccicato la frase a una domanda mai fatta sul caso B.). Dunque nessuna anticipazione delle motivazioni. Che dicono tutt’altro: B. sapeva non perché i suoi manager gli riferissero i reati che commettevano, ma – ed è infinitamente peggio – perché era lui a sceglierli apposta e poi a dare loro gli ordini e a restare “in continuativo contatto” con loro anche dopo le finte dimissioni dalle cariche societarie. Né avrebbe potuto essere altrimenti, visto che era l’“ideatore” e al contempo il “beneficiario” del sistema dei costi gonfiati e dei fondi neri. Per questo confermava i suoi complici ai loro posti e li promuoveva “in posizioni cruciali” e “strategiche” o li portava addirittura in Parlamento una volta scoperti e condannati. La tesi difensiva della truffa dei manager infedeli ai danni dell’ignaro padrone (che però intascava i frutti dei loro reati) è una baggianata “assolutamente inverosimile”, infatti è stata respinta con perdite e molte risate. Nessuno, nemmeno i noti principi del foro, hanno saputo spiegare perché mai un’azienda che può comprare un film direttamente a 100, dovrebbe farlo acquistare da prestanomi o società occulte (riferibili al padrone) che a ogni passaggio ne gonfiano il prezzo con una miriade di subcontratti, col risultato che alla fine il film costa 180. Se non, appunto, per frodare il fisco. Il succo della sentenza di Cassazione, che spiega il “giro dei diritti” e dei relativi fondi neri come un film horror, fotogramma per fotogramma, da Mills a Craxi, da Berruti a Lorenzano e Agrama, è tutto qui. Punto e fine. Discorso chiuso, nessun quarto grado di giudizio possibile. SE ALLA GIUNTA delle elezioni e immunità del Senato serviva un parere pro veritate per decidere dal 9 settembre la sorte del delinquente pregiudicato, la sentenza sembra fatta apposta. Lì sono racchiusi i fatti che spazzano via tutte le scemate sull’“agibilità politica” del frodatore. Quanto basterebbe e avanzerebbe al Parlamento di qualunque paese, anche del terzo mondo, per cacciare l’intruso anche senza una legge che lo imponga (come la Severino). Prima ancora di legalità, è una questione politica. Di decenza, anzi di igiene pubblica. Può il Senato ospitare ancora sui propri scranni il colpevole e il beneficiario dell’“ideazione, creazione, organizzazione e sviluppo” di un “meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende” e per lui personalmente? Possono i 320 senatori sedere accanto a un delinquente matricolato? Può il Pd, che ha appena fatto dimettere da ministro Josefa Idem per un’evasione di 3 mila euro in una palestra, restare alleato di un colossale frodatore fiscale? Può il governo Letta, che sta riformando il fisco e manda l’Agenzia delle Entrate a chiudere le gelaterie che evadono 10 euro in tre anni, accettare l’appoggio del partito posseduto da uno così? E può il capo dello Stato insistere pervicacemente a legittimare un simile campione di illegalità? La risposta a tutte le domande è ovvia: no. L’unica agibilità politica da garantire è quella dei cittadini onesti.
Posted on: Fri, 30 Aug 2013 09:41:47 +0000

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