Sotto SIENA SECONDA PUNTATA «Sono io…» risposi in un - TopicsExpress



          

Sotto SIENA SECONDA PUNTATA «Sono io…» risposi in un sussurro quasi impercettibile. «Come dice scusi?» «Il volto disegnato su quel foglio, è il mio» In quell’istante, sul viso dell’uomo in tenuta bianca, potei osservare un cambiamento radicale, il suo atteggiamento cambiò da dominatore a dominato. I suo occhi rimasero spalancati a fissarmi, e in pochi istanti la sua fronte si imperlò di sudore. Era come se gli avessi confessato di conservare nel retto un paio di Kg di esplosivo, e di aspettare una sua singola mossa per far saltare tutto. Passò qualche minuto. «Dottore , esca dalla stanza prego, cominciamo con 4.5 milliAmpere…» così ruppe il silenzio una voce proveniente da qualche altoparlante, nascosto chissà dove in quell’inferno bianco. L’uomo guardò in un preciso punto sulla parete alla mia sinistra, ma non si alzò subito. Rimase ad osservarmi un altro paio di secondi, poi si asciugò le mani sudaticce sui pantaloni e si alzò. Dopo aver ripreso il suo sguardo autoritario, mi gettò un’ultima occhiataccia e attese un attimo guardando la parete. Da questa, gradualmente e dal basso verso l’alto, si aprì un passaggio che il tizio attraversò. Pochi istanti dopo cominciai a sentire un formicolio ai testicoli che si trasformò subito in un dolore lancinante. Mi stavano friggendo le palle! «BASTARDI! FIGLI DI TROIA!» Non ebbi più la capacità di parlare e mi concentrai nell’intento di stringere i denti senza mettervi in mezzo la lingua. Guardavo dritto alla parete, con gli occhi che stavano per lasciare le mie orbite. Non ero mai stato così furioso, avrei voluto uccidere quel pelato del cazzo. Tutto durò meno di 5 secondi, ma come potete immaginare, sembrarono 5 eternità. All’apice della mia collera vidi la sedia di fronte a me alzarsi nel vuoto e schiantarsi contro la parete, provocando una spaccatura che rivelò la presenza di un vetro. «Non muovergli la testa, fai piano! Dove diamine è andato Silvio?» «E’ sceso giù ad occuparsi dei ragazzi in macchina! Pare sia finita in mezzo ai binari» «Cristo Santo!… Questi stupidi non potevano essere più fortunati!» Sono le prime frasi che riuscii a sentire una volta svegliatomi. Non avevo la forza di aprire gli occhi, quindi decisi di provare a parlare. «G-g-gamb-gamba…» «Ssssh! Tranquillo ce ne occupiamo noi » Mi sforzai di riaprire gli occhi. Avevo perso gli occhiali e la mia vista era sfocata, ma riuscivo a distinguere due figure in giacche arancio, di quelle ad alta visibilità indossate dai soccorritori del 118. «Pronta? 1…2…e 3, Vai!» Mi sollevarono su una barella e mi portarono all’interno di un’ambulanza. «Rimani con lui, io vado ad aiutare Silvio» «Ok» L’uomo si allontanò dall’autoambulanza parcheggiata ai lati della strada, e ai margini di questa, poté chiaramente identificare il percorso fatto dalla macchina che si era schiantata di sotto. Quella vecchia twingo aveva creato una breccia sul guardrail e si era schiantata prima su un gradino della collina, dove avevano ritrovato me, poi aveva fatto breccia anche su una trafila di arbusti, per finire lanciandosi nel vuoto da un’altezza di 5 o 6 metri. Gli operatori dell’autoambulanza privata stavano tornando alla base, quando avevano sentito un forte trambusto provenire da quelle parti. Il soccorritore trovò il modo di scendere per la superficie friabile, a piccoli e ponderati passi, e giunto sul posto, vide un’auto con la fiancata destra completamente schiacciata, tanto che la macchina sembrava aver perso metà della sua carrozzeria. Il suo collega stava cercando di tirare fuori un ragazzo incastrato tra il sedile anteriore e quello posteriore. «Ahiu! Oh, piano piano!» si lamentò Carmelo. Gianfranco era quasi incolume, eccezion fatta per un’abrasione alla gamba destra, quindi si reggeva in piedi guardandosi intorno, per la paura che arrivasse un treno da un momento all’altro. Il soccorritore si apprestò a dare una mano al suo collega per tirare fuori Carmelo da quel che restava dell’auto. Dopo un paio di manovre riuscirono a tirarlo fuori. Il braccio destro era in una posizione abnorme, molto probabilmente perché rotto. «Hai chiamato la polizia?» chiese Silvio «Si, c’ha pensato Cinzia qualche minuto fa. Tu stai bene?» chiese a Gianfranco. «N-n-niente di che, solo un piccolo taglio alla gamba» rispose. «Come diamine avete fatto a ridurre la macchina in queste condizioni?! A che velocità andavate?» «Non saprei con certezza…da quando quella vecchiaccia di merda ci si è piazzata davanti non ho più visto nulla…» rispose Gianfranco. Nell’autoambulanza, io facevo conoscenza con Cinzia. Una giovane ragazza ventiduenne, nuova del mestiere. «Quindi sei un dottore?» «Quella è una parola grossa, per ora di medicina, ne sa più mia nonna!» risposi. Cinzia rise di gusto, mostrando uno splendido sorriso: la ciliegina su quella torta che era una gran bella ragazza. Poi cominciammo a sentire delle grida. La ragazza doveva aver riconosciuto qualche suo collega, perché corse subito fuori a controllare, sparendo dal mio campo visivo, già poco ampio, perché dovevo sollevarmi dalla barella per poter vedere qualcosa oltre le porte della vettura. Con qualche sforzo in più riuscii a reggermi sui gomiti per guardare fuori. Cinzia non si vedeva, doveva essersi allontanata. «AAAAAAAAAH!» Seguì l’urlo inconfondibile di una donna, mutato parecchio rispetto alla voce così dolce che avevo sentito pochi istanti prima. Poi silenzio tombale. Avete presente quei momenti in cui da bambini, dopo uno spauracchio, la creatività lavorava senza sosta, fornendoti in maniera continua motivi per cagarti addosso? Ecco! Diciamo che quella serata mi fece sentire un po’ bambino. Perché subito dopo le fiancate laterali dell’autoambulanza cominciarono a chiudersi su di me. Con un rumore raccapricciante di metallo che si contorceva, come se un grande pugno stesse schiacciando una lattina di coca subito prima di gettarla nella spazzatura. Dentro l’abitacolo tutti gli oggetti si erano accatastati su di me, facendo un gran caos, e la luce si era spenta. Durò pochi secondi, e mi ritrovai sudato e ansimante come non mai. Uscii dall’ambulanza più velocemente che potevo. La gamba mi faceva un male del diavolo, e zoppicavo. Non c’era nessuno. Avanzai giusto qualche passo verso il baratro, quando un’ondata di vento improvvisa mi si abbatté in faccia. «Gualgio! Forse ti conviene rientrare là dentro…» La voce proveniva dalle mie spalle, e mi parve di averla già sentita da qualche parte. Con calma, mi voltai. Era Caramello, il proprietario della copisteria. AUTORE : ANONIMO Ogni riferimento a cose, fatti o persone è puramente casuale. Nomi storpiati volontariamente
Posted on: Wed, 30 Oct 2013 12:10:51 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015