Sto leggendo in questi giorni, rilanciate pure da Facebook, varie schegge critiche sul nuovo libro di Milan Kundera, La festa dellinsignificanza. Cè di tutto, ma prevalgono le stroncature soprattutto da parte di chi normalmente si occupa di tuttaltra materia. I soliti tuttologi, insomma. E vero, cè anche qualche stroncatore che ne capisce, eccome, di letteratura, e le sue critiche sono interessanti anche se non sempre condivisibili, ma i cecchini più molesti sono coloro che hanno poca pratica con la scrittura narrativa. A me, che pure qualche esperienza di pratica della critica letteraria negli anni ho avuto modo di farmela (alluniversità e nel lavoro), il romanzo ha lasciato nellanimo una traccia di delusione. Sono (siamo) abituati al Kundera che non se la sbriga in un centinaio di pagine. Il maestro ceco sa approfondire come pochi le sfumature delle psicologie, le profondità dei caratteri, gli intrecci di amori e disamori. La festa dellinsignificanza fila via di corsa: ti restano tra le mani gli ombelichi femminili (che poi non è vero che siano tutti uguali: Kundera non ha guardato bene) e le pernici di Stalin. E vero, è un libro troppo concentrato per poter vedere dispiegata la grandezza di Kundera. Ha la forma di un seme. Non ho capito se lautore non abbia avuto voglia e tempo per le sue complesse costruzioni o se abbia buttato giù un gigantesco castello di carte per lasciare sul tavolo solo alcune figure. Detto questo, i critici della domenica che normalmente si occupano di altre miserie e grandezze, che con la letteratura hanno poco da spartire, mi fanno sorridere anche nella loro insignificanza. In Italia (e non solo) si ritiene di capire a fondo unopera e di poter sfoderare la sciabola della stroncatura solo perché sè letto qualche romanzo. Così non è per altre discipline. Insomma, è come se mi arrogassi il titolo di definire sbagliata una scoperta della chimica solo perché quando ho il mal di testa prendo unaspirina.
Posted on: Thu, 14 Nov 2013 07:48:56 +0000