Anni in cui si pronosticava sulla schedina del Totip, si - TopicsExpress



          

Anni in cui si pronosticava sulla schedina del Totip, si conoscevano tutti i nomi delle Top, si calzavano con fierezza i Dr. Martens e noncuranti le scarpe con le luci; si ballava la dance di Corona e dei Datura mentre si ascoltavano Oasis e Take That, Spice Girls e Backstreet Boys; si giocava col Crystal Ball e le carte Uno, la manina appiccicosa delle patatine e il barattolo che, rovesciato, muggiva lungamente. Anni bui e belligeranti – la Guerra del Golfo, la Strage di Capaci, lo scandalo Mani Pulite –, inaspriti dalle morti di molti miti, da De Andrè a Lucio Battisti, da Sinatra a Kurt Cobain, così come Freddie Mercury e Lady D. Gli anni di Max Pezzali che cantava Gli anni e quelli del Karaoke di Fiorello. «Oddio, dove?, chi?, Cirooo?» s’aizzava nel gennaio del ’90 Sandra Milo e, nel luglio dello stesso anno, Sam e Molly, alias Patrick Swayze e Demi Moore, lavoravano la creta a quattro mani in Ghost, mentre Forrest Gump cominciava la sua corsa, Titanic il suo naufragio, il cast di Full Monty il suo show a petto nudo e il picchetto di Trainspotting a sbricconeggiare per Edimburgo. Chi è stato dodici-diciottenne in quegli anni, ha vissuto un’adolescenza diversa. Né migliore né peggiore degli altri – troppo svelte, altrimenti, le operazioni nostalgiche –, ma differente nei modi e nei mezzi. Senza scomodare il trattato di Maastricht, i ragazzi dei ’90, figli dell’Europa, hanno accarezzato per primi l’opportunità di studiare all’estero, con tutta l’esuberanza (e la titubanza) sui nuovi progetti Erasmus. Tardivi digitali, hanno surfato sul web prima per piacere e poi per dovere, passando dai cataloghi delle biblioteche al click sul Search dei motori di ricerca, dai vecchi libri-game ai giochi on line, dagli approcci immediati in discoteca alla mediazione incontrollata sulle chat. Hanno tenuto diari segreti, buffamente sigillati dai lucchetti non ancora scardinati da Facebook, maneggiato il Game Boy molto prima dei tablet e compilato test assurdi su riviste col nome di avverbi. Estranei al concetto di «aperitivi», hanno pasteggiato a Tegolini e polpette della nonna, posseduto Nokia antidiluviani e Motorola acquistati al chilo, giocato alla bottiglia e a 1,2,3 stella con la stessa scioltezza con cui oggi, su Twitter, si cinguetta. Figli meno controllabili, poco contenibili, sono stati i primi a spalancare – sul mondo, virtualmente – le finestre che i genitori hanno chiuso loro in casa. Sono loro, siamo noi, questi figli. Gli stessi che ritroviamo, così ritratti, in Una grande famiglia – 20 anni prima, prequel dell’omonima fiction di Raiuno, la prima mag series italiana nata dalla sinergia fra Vanity Fair e Rai Fiction: ambientata a inizio decennio, con 6 episodi di 7 minuti ciascuno, vede protagonisti i rampolli della famiglia Rengoni, che saranno mostrati nei loro panni «novanteschi», spiegando i retroscena della prima stagione. Per mano di autori, attori, tecnici, curatori: tutti trentenni. A garanzia di una fedele riproduzione dei ‘90. Lontani dal tasto Rec dei videoregistratori, con le dita sull’app Target per smartphone e tablet (rintracciando il codice sul settimanale in edicola).
Posted on: Sun, 29 Sep 2013 20:27:53 +0000

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