Archivio 27/09/2013 06:05 Coca, autosaloni, palazzi e - TopicsExpress



          

Archivio 27/09/2013 06:05 Coca, autosaloni, palazzi e ristoranti: così la ’ndrangheta si è presa Roma Il dossier/1 Lultima analisi dellantimafia sul radicamento dei clan. La droga prima di tutto, con i referenti dei clan calabresi che utilizzano i loro rapporti privilegiati con i narcos sudamericani Piromalli, Parrello e Gallico, Morabito, Gallace e Alvaro, e giù fino ai De Stefano e ai Bellocco. E ancora. Nirta, Condello, Mancuso, Pelle, Mazzaferro, Bruzzaniti, Palamara, Tegano, Iamonte, Parrello, i Crea di Rizziconi, i Molè di Gioia e via discorrendo: il cordone ombelicale che lega il ghota del malaffare organizzato calabrese con la Capitale è scannerizzato nelle ultimissime analisi antimafia che Il Tempo ha potuto visionare. Una mappa dettagliata del tentacolo ’ndranghetista in una città dove qualsiasi clan - si legge - è autorizzato a far affari (anche con acerrimi nemici) senza pestare i piedi a chi già li fa da anni. Nel documento si fa riferimento alle sfere d’interesse delle singole famiglie nonché all’agire delle ’ndrine sul riciclo di capitali illeciti (prevalentemente frutto di traffico di droga). La droga prima di tutto, con i referenti dei clan calabresi che utilizzano i loro rapporti privilegiati con i narcos sudamericani per rifornire anche il mercato capitolino. Tanti i nomi e gli esempi citati: su tutti Roberto Pannunzi, broker della droga dei Morabito e dei Macrì, scomparso ad aprile del 2010 prima dell’ultimo arresto di luglio. Ed è sempre nella Capitale che, a marzo, gli uomini della Mobile di Renato Cortese interrompono un traffico di stupefacenti messo in piedi dai Gallace attraverso i contatti criminali instaurati con la famiglia dei Romagnoli tra i quartieri di Torre Maura e San Basilio. I Bruzzaniti-Palamara di Africo invece hanno puntato su Fonte Nuova come base per un traffico imponente di stupefacenti. Ma non c’è solo la cocaina. I sequestri di beni degli ultimi anni, manifestano una predilezione per bar e ristoranti di lusso. A fare la voce grossa nel campo della ristorazione ci sono due tra le famiglie più influenti del panorama criminale calabrese: i Gallico di Palmi e gli Alvaro di Sinopoli. A presunte «teste di legno» riconducibili ai due clan della piana di Gioia Tauro gli investigatori hanno sequestrato beni per decine di milioni di euro. Come nel caso del caffè Chigi, a due passi dal palazzo sede del Governo, e del bar Antiche mura, a un tiro di schioppo dal Vaticano, confiscati a luglio scorso a prestanome dei Gallico. Per non dire del sequestro di alcuni dei locali più in vista di quella che fu la dolce vita romana negli anni ’60: le indagini di Gdf e Ros dei carabinieri hanno scoperto come i gestori di alcune attività del triangolo d’oro del centro cittadino - riconducibili agli Alvaro - si sono accaparrrate i locali in contanti e a prezzi stracciati. Le segnalazioni sugli investimenti sospetti nel mattone (bar, ristoranti, alberghi di lusso, tabaccherie, negozi di abbigliamento, discoteche, chioschi al mercato, palazzi) si contano a decine dal quartiere Prati alle zone più «nobili» della città, lungo le consolari, fino all’hinterlad, da Ostia a Formello. Ed anche nelle zone vicine ai palazzi della politica, come segnalò nel 2007 Rita Bernardini dei radicali italiani. E ancora decine di immobili finiti sotto la lente degli inquirenti in alcune tra le zone più «in» della Capitale, o strane cessioni di aziende con numerosi passaggi di proprietà o compravendita di licenze. Come nel caso della holding «Adonis» - riconducibile a presunti prestanome dei Gallico - che si occupava di acquisire immobili di prestigio nei quartieri Parioli e Coppedè. O come nel caso dei Frisina-Saccà, che avrebbero acquistato appartamenti a Boccea immettendo liquidità finanziarie imponenti nel mercato immobiliare pur dichiarando redditi al di sotto della soglia di povertà. Sulle auto di lusso e su aziende radiologiche invece hanno investito, nel corso degli anni, i Parrello. E se gli affari illeciti rappresentano il primo interesse delle cosche, quando qualcosa si inceppa, si può sempre ricorrere alle armi, come con l’omicidio di Domenico Marsetti, giustiziato sulla Casilina aottobre del 2008, o l’assassinio di Vincenzo Femia (autentico pezzo da ’90 della ’ndrangheta di San Luca trapiantata a Roma) ammazzato lo scorso gennaio a Castel di Leva, passando per gli agguati che sono costati la vita a Giuseppe Criniti e Angelo Di Masi, caduti al Prenestino. Secondo le ricostruzioni dell’antimafia Roma è snodo fondamentale per i latitanti calabresi. Nelle zone più periferiche sono finite le fughe dei cugini Francesco e Umberto Bellocco, pizzicati mentre sfrecciavano in auto in via di Selva Nera; o di Michele Franco e Antonio Bruzzaniti, per finire a Francesco Nirta, trafficante di San Luca, bloccato alla stazione Termini. A Montesacro invece fu catturato, dopo 10 anni di latitanza, il narcos Candeloro Parrello. La lista è infinita, Roma non merita di andare oltre. Per tagliare le maglie di questo potere criminale il procuratore capo Giuseppe Pignatone, gran conoscitore di mafia, sembra la persona al posto giusto. Matteo Vincenzoni Vincenzo Imperitura
Posted on: Sun, 24 Nov 2013 15:50:34 +0000

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