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Blogcimaranews.Categorie:società,arte, economia,politica,cultura ,filosofia,spettacolo, Attualità,gossip -Descrizione:Solo la consapevolezza potra farci reagire e solo l informazione ci rendera consapevoli. Breakinallnews 2.11.13 Cimara Journalist @ Hearst Magazines Italia.Views are mine Rasstampa ragionata ultimi 5g.dylan-diego cimara PRIME Il cambio sta portando l’Italia al capolinea. L’Italia rimane bloccata nella depressione. Ora sappiamo che il picco spettacolare della fiducia dei consumatori nel mese di giugno è stato un inganno, una bugia a fin di bene per prospettare un futuro migliore e contenere la marea della deflazione da debito. Giorgio Napolitano (Ansa)da anna palazzesi Distrutti. Tutti i file delle conversazioni tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e lex ministro dellInterno Nicola Mancino, registrate nellambito dellinchiesta sulla trattativa Stato-mafia, sono stati cancellati. Lo ha disposto il giudice per le indagini preliminari di Palermo, Riccardo Ricciardi. I FILE - La distruzione dei file audio è avvenuta, lunedì mattina, nel carcere Ucciardone, dove si trova il server in cui i file erano conservati. Alle operazioni ha partecipato il tecnico della Rcs, la società che gestisce gli impianti di intercettazioni per conto della Procura di Palermo. Una bambina pakistana di appena quattro anni e’ stata violentata dal maestro ed e’ ricoverata in ospedale in condizioni critiche. Teatro dello stupro della bimba, identificata soltanto come Sumaya, e’ stata una madrasa, una scuola coranica di Vehari, nella provincia orientale del Punjab. Secondo il capo della polizia locale, Rao Tariq Pervez, l’aggressione e’ avvenuto il giorno stesso in cui la piccola ha cominciato a frequentare le lezioni per la prima volta: al termine l’insegnante ha congedato gli altri alunni, poi ha portato a casa sua la bimba e le ha usato violenza. L’uomo, che aveva assunto l’incarico da soli due mesi, ha quindi tentato la fuga, ma e’ stato scoperto in una seconda madrasa dove si era nel frattempo nascosto e li’ arrestato. Gli abitanti del quartiere hanno inscenato manifestazioni di protesta e annunciato il boicottaggio di tutte le scuole religiose dei paraggi. Un caso analogo era avvenuto il mese scorso a Lahore, capitale provinciale, dove una bimba di 5 anni era rimasta vittima di uno stupro di gruppo. DITO nell’OCCHIO Cuore di mamma, il ministro della giustizia Anna maria Cancellieri, scatena la bufera politica ed imbarazza il pd, tra chi la sostiene e chi la vorrebbe cacciare. Cuore di mamma, perché il ministro ha un figlio che lavorava come massimo dirigente con i Ligresti e che recentemente e stato liquidato con due milioni di euro. Logico che i Ligresti gli chiedessero almeno di favorire la scarcerazione della figlia di Salvatore, Giulia, che era stata arrestata il 17 luglio. La ministra intercettata, un po non si e fatta trovare, alla fine ha risposto, promettendo di fare quel che poteva. In realtà la situazione era veramente critica, la Ligresti rifiutava di mangiare, aveva perso sei chili ed aveva collaborato con gli inquirenti. Tanto che la stessa accusa aveva dato parere favorevole alla scarcerazione. Ma il gip laveva respinta. Alla fine il 28 agosto il termine del calvario. Forse la raccomandazione, conosciuta dai giudici, perché intercettata dalla Finanza, potrebbe anche avere allungato i tempi per la Ligresti. Oppure no? Difficile districarsi nei complessi meandri delle aule di giustizia. Fatto sta che la Cancellieri e sotto tiro da destra e da sinistra, con il pd che non bene che pesci pigliare. In parti la difendono, con i renziani divisi, in parte la invitano ad andarsene . Ovviamente Grillo e Lega tuonano contro la ministra, mentre anche da destra ce chi la difende e chi dice perché per Berlusconi e sempre concussione e per la Cancellieri niente? Sicuramente il ministro dovrà andare in Parlamento a riferire. Ma per lei e una brutta storia, di quelle che comunque decretano la fine di una futura carriera politica. Basti pensare alla casa di Montecarlo di Fini. Non sanzionato giuridicamente, ma bollato con dagli elettori.Addio sogni di gloria. Cera anche chi a vedeva come possibile premier. - See more at: in20righe.it/politica/2995-giulia-ligresti-in-carcere-piu-di-un-mese-ma-e-bufera-su-cuore-di-mamma-cancellieri-con-il-pd-imbarazzato.html?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+In20righe+%28in20righe%29#sthash.h9dvxh9A.dpuf La «sicurezza» è la parola d’ordine. Garantire la protezione del presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini è l’obiettivo primario del Dipartimento della pubblica sicurezza. Quindi? La siepe installata nella casa del fratello della terza carica dello Stato, a Mergo, nelle Marche, sarà pagata dal Viminale. Dunque, dagli italiani. Quel po’ di «erba» sintetica che circonda l’abitazione della famiglia Boldrini è un’opera necessaria per proteggere la parlamentare quando, saltuariamanente, va a trovare i parenti. Ed evitare, così, che qualcuno (la casa è in cima a una collina dove non transita quasi mai nessuno) possa violare con lo sguardo la vita privata della Boldrini. E del fratello. Fatto sta, che il vivaio che ha svolto i lavori per circondare la casa, con chiesa annessa, del parente della Boldrini, dallo scorso agosto ancora sta aspettanto di essere pagato: dei 4.360 euro ancora neanche l’ombra. Fino a due giorni fa l’azienda di giardinaggio era in attesa di sapere chi gli verserà il compenso. Una risposta gli è arrivata ieri dal ministero dell’Interno: «L’intervento relativo alla collocazione di una barriera a siepe con funzione di “oscuramento” e di interdizione all’accesso nell’abitazione privata della presidente Boldrini, ritenuta dai responsabili della sicurezza un obiettivo “particolarmente sensibile” è stato disposto dagli uffici competenti del Dipartimento della pubblica sicurezza a cui spetta il pagamento del dovuto». Uguale: pagheranno i cittadini. Ma quando? È quello che da tre mesi sta continuando a chiedersi il vivaio «Natura Garden», con sede a Castelplanio, a pochi chilometri da Mergo, che ha inizialmente intestato la fattura da 4.360 euro al ministero dell’Interno e che poi, invece, dopo l’insorgere di alcuni «problemi» denunciati anche dai cittadini del paesino marchigiano, in provincia di Ancona, è arrivato lo stop del pagamento: «Ci devono far ancora sapere a chi la dobbiamo intestare», aveva detto il titolare del vivaio. Ma dopo la presa di posizione del Viminale di ieri, ecco la risposta tanto attesa dall’azienda di giardinaggio. Pagheranno gli italiani. Per motivi di sicurezza. Per proteggere, quindi, il presidente Boldrini quando si recherà, una volta ogni tanto, a casa del fratello. Poi, sempre ieri, è arrivata la “risposta” all’inchiesta de Il Tempo da parte della Camera dei deputati. In 17 righe di comunicato, nessun riferimento alla siepe costruita a Mergo intorno alla proprietà del fratello della Boldrini, ma soltanto spiegazioni su chi decide cosa e dove installare misure di sicurezza. Risposte scritte che fino ad ora hanno chiarito un solo aspetto: Boldrini va protetta. Ovunque. E i soldi quando arriveranno al vivaio? Augusto Parboni per il tempo COMUNI Aggiornamento di stato Di Anna Palazzesi Fiumicino approva l’appello al governo sull’ abolizione del reato di immigrazione clandestina-Inserito in: Cronaca Petrillo: “Chi entra in Italia ha il diritto di transitare e giungere in altri paesi, che molto spesso sono le reali mete desiderate. Non è casuale la scelta di presentare questordine del giorno in una città con più del 12% di immigrati” Fiumicino - Il consiglio comunale di Fiumicino ha approvato un appello al governo e al Parlamento per l’immediata abolizione del reato di immigrazione clandestina. “Loggetto di questordine del giorno –specifica il presidente della commissione servizi sociali, Angelo Petrillo - è la richiesta ai livelli politici istituzionali nazionali per labrogazione di alcuni strumenti normativi che, a nostro parere, sono ormai desueti e non adatti alla realtà contemporanea. Dietro la richiesta di abrogazione del reato di clandestinità e della Legge Bossi Fini non cè assolutamente una motivazione prettamente ideologica, ma una considerazione di fatto. Queste norme sono concepite secondo unottica che non corrisponde alla realtà dei fatti. La Legge Bossi Fini contiene un errore di impostazione, guarda al breve periodo, alla risoluzione dellemergenza. E imperniata sulla permanenza momentanea dellimmigrato creando così una inevitabile discrepanza tra la realtà e la Legge e aumentando così il disagio e le problematiche per l Italia – prosegue Petrillo - Limmigrazione italiana è ormai strutturale e sono quindi necessarie politiche che prendano in considerazione limmigrazione come elemento fisiologico di un paese che pretende di far parte delloccidente. Abbiamo necessità di impostare una politica seria sullimmigrazione, che guardi al lungo periodo, ad unintegrazione positiva di un immigrato socialmente attivo che sia una risorsa per la società. Logicamente limpegno va preso anche a livello europeo ed internazionale. Ed è qui la sfida più importante. Sarà necessario costruire dei corridoi umanitari e soprattutto armonizzare le politiche migratorie a livello europeo. Ma soprattutto far sì che chi entra in Italia abbia il diritto di transitare e giungere in altri paesi, che molto spesso sono le reali mete desiderate. Non è casuale la scelta di presentare questordine del giorno a Fiumicino, città con più del 12% di immigrati. Ed è qui che non possiamo permetterci di lasciare ai margini nessuno. Ora che governiamo questo territorio abbiamo lobbligo di interagire con questa importante parte della popolazione e avviare politiche di conoscenza e integrazione. Per questo motivo abbiamo avviato un percorso di studio, analisi e proposizione, con la Commissione ai Servizi Sociali e la Commissione alla Cultura e Pari opportunità – conclude Petrillo - Sono rimasto abbastanza colpito dall’abbandono dell’aula da parte dei consiglieri del centrodestra, nonostante la precedente sottoscrizione del documento da parte di alcuni esponenti del PDL. Probabilmente alla resa dei conti le ragioni propagandistiche elettorali hanno avuto la meglio sulle motivazioni dell’ordine del giorno”. PENSIERI Le persone di buon senso, che non credono alle ingannevoli etiche universalistiche, a poco a poco si ritrovano a costituire un «noi», un campo comunitario che impone, quasi naturaliter, l’aiuto reciproco. Sembra quasi la caricatura dell’intellettualismo etico antico: coloro che ‘si rendono conto’ diventano i ‘migliori’, la conoscenza si traduce in qualità morale (chi sa di più, è più buono) e, progressivamente, in diritto al sostegno da parte dei propri ‘simili’. «Dobbiamo aiutarci tra di noi se non vogliamo lasciare campo libero a ‘loro’: io faccio entrare tuo figlio all’Università, tu mia figlia alla RAI. Formalmente sullo scambio ci sarebbe molto da ridire ma, nella sostanza, abbiamo reso un buon servizio al paese. In campi diversi, gli abbiamo dato merce buona, persone affidabili…». In tal modo, le elite della società civile possono dormire con la coscienza tranquilla e senza dover correre alcun rischio, né giudiziario, né economico. (Se in una società di mercato, io dovessi nominare tuo figlio amministratore delegato della mia azienda e tu, in cambio, dovessi affidare a mia figlia la direzione della tua rete televisiva, ci penseremmo bene prima di ‘farci il favore’: se i due rampolli, infatti, non sono all’altezza del compito ad essi affidato, sono barcate di soldi che se ne vanno in fumo…). La consapevolezza che il rispetto delle leggi non deve mai far dimenticare l’antica massima summum jus, summa iniuria... Talora «il rispetto puntiglioso della norma può portare al predominio dei furbi e dei malvagi…» e in questi casi, si è tenuti a chiudere un occhio sul rispetto puntiglioso delle procedure. E’ vero, si è omessa qualche prescrizione di legge ma di pignoleria si può morire. Eppoi occorre sempre interpretare la volontà del legislatore col criterio del sano buon senso. Nelle scuole elementari del primissimo dopoguerra, i maestri facevano rapare a zero i bambini affidati alle loro cure, nelle cui zazzere nidificavano spesso e volentieri gli indesiderati pidocchi: quelli appartenenti ai ceti borghesi (piccoli, medi, grandi) erano però esentati, la sporcizia, infatti, non entrava certo nelle loro case. Analogamente, per molti ‘complici’, la tosatura fiscale riguarda le ‘classi brutte, sporche e cattive’ ma ricche e, pertanto, se un buon commercialista riesce a evitare ‘dazioni’ troppo pesanti, sarebbe sciocco non approfittarne. I ‘complici’ non si limitano a considerarsi ‘persone perbene’ assediate da individui impresentabili ma, in qualche modo, debbono ricordare a loro stessi e agli altri di far parte di quella elite di cui ogni società che si rispetti abbisogna, al di là delle proclamazioni di principio. Tale ribadita ‘rassicurazione’ è un esorcismo per tenere fuori dalla porta o frenare l’irresistibile ascesa degli ‘homines novi’. Abbiamo un sogno del pianeta che non funziona e gli esseri umani soffrono di una malattia mentale chiamata paura. I sintomi sono tutte le emozioni che ci fanno soffrire: rabbia, odio, tristezza, invidia e senso di tradimento.Quando l’incertezza e il timore per domani aumenta,il raziocinio comincia a funzionare male e questo stato lo definiamo:depressione,o peggio: malattia mentale. Il comportamento psicotico si verifica quando la mente è così spaventata e le ferite sono cosìprofonde, che sembra che la cosa migliore sia quella di interrompere i contatti con il mondo esterno.Ma se ci fermiamo,lucidamente,a riflettere,possiamo scoprire che c’è la cura. Non dobbiamo più soffrire. Prima però abbiamo bisogno della verità per aprire le ferite emotive, far uscire il veleno e lasciarle guarire completamente. Come si fa? Dobbiamo perdonare coloro che ci hanno offeso, non perché meritino il perdono, ma perché amiamo noi stessi e non vogliamo continuare a pagare per l’ingiustizia subita.Il perdono è l’unico modo per guarire. Possiamo scegliere di perdonare perché proviamo compassione per noi stessi. Possiamo lasciar andare il risentimento e dichiarare: “Adesso basta! Non sarò più il grande Giudice, non andrò più contro me stesso. Non mi flagellerò più e non mi maltratterò più. Non sarò più laVittima”. INTERNI Di Enrico cisnetto da terza repubblica:CHE ERRORE IL VOTO PALESE SU BERLUSCONI A PAGARNE IL PREZZO SARÀ IL GOVERNO Un errore concettuale e un calcolo politico sbagliato. La scelta di rendere palese il voto sulla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi si iscrive nel vasto quadro delle sciocchezze commesse dalla sinistra in questi vent’anni di berlusconismo. Non contento di aver forzato i tempi del voto in giunta – quando invece sarebbe stato saggio non offrire l’ennesima occasione al Cavaliere di vittimizzarsi, accettando la richiesta di chiedere lumi alla suprema Corte sulla congruità della legge Severino – il Pd ora ha scelto di imboccare la strada di cambiare in corsa le regole sul voto segreto. E lo ha fatto non solo e non tanto per raggiungere più facilmente l’agognato obiettivo di togliersi di mezzo l’odiato nemico – cosa che succederà comunque – quanto per evitare che all’ombra del segreto dell’urna si consumassero giochi e giochetti interni. Peccato, però, che così facendo abbia commesso due esiziali errori. Il primo è quello di aver tradito un principio fondante della democrazia rappresentativa, che è appunto quello di poter votare in certe circostanze – di certo quelle relative alle persone – al riparo dalla retorica della trasparenza, dietro cui si cela la possibilità dei capi dei partiti di controllare il comportamento dei singoli parlamentari. E considerato il tasso di “padronalità” dei partiti italici, trattasi di una necessità estrema per noi. La sinistra seria ha sempre sostenuto la tesi che in tutti i parlamenti democratici il voto segreto è presidio di libertà; perché ora se ne è dimenticata? L’unica risposta possibile è che la sinistra è diventata molto meno seria di un tempo. Il secondo errore è di natura politica: il voto palese aiuta Berlusconi, non il contrario. Considerato che la partita della sua decadenza era ed è comunque persa, per lui quella più importante riguarda la possibilità di andare al più presto alle elezioni facendo cadere il governo. Ed è proprio su questo terreno che il Pd ha gli ha regalato punti preziosi. Perché sono evidenti le due conseguenze del voto palese. Primo: le colombe del Pdl saranno inevitabilmente costrette a votare contro la decadenza, e questa sarà per Berlusconi la migliore delle premesse per riassorbire senza danno Alfano e i suoi dentro la nuova Forza Italia. E a sua volta questo consentirà al Cavaliere di riprovarci a buttare giù Letta, con molte più chances di qualche settimana fa. Secondo: un voto a favore della decadenza a scrutinio segreto sarebbe politicamente molto più pesante per Berlusconi che non con voto palese. Risultato: il governo Letta è di nuovo sotto tiro, la stabilità politica faticosamente raggiunta e difesa lascia ancora una volta il passo all’instabilità. Sarà contento chi, nel Pd, fa il tifo perché il centro-destra faccia saltare il banco. Come se ne esce? A noi di TerzaRepubblica interessa poco o nulla del destino del senatore Berlusconi. Ci poniamo il problema, invece, della tenuta non solo del governo Letta, ma delle stesse “larghe intese”, che nel quadro attuale sono sia l’unica formula politica praticabile sia la migliore delle condizioni possibili, almeno potenzialmente, per fare le grandi riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno. Ma qui casca l’asino. Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: l’eccesso di prudenza con cui fin qui il governo si è mosso è la principale sponda su cui hanno potuto giocare i disfattisti annidati dentro sia il Pd che il Pdl. La cura che un governo di profilo emergenziale come è per definizione quello delle larghe intese, deve somministrare ad un Paese lungodegente non può infatti essere né moderata né graduale. Sia chiaro, questo non significa mettere in discussione l’azione di risanamento finanziario fin qui realizzata, ma semmai modificarne il profilo in modo da spostarla dalla riduzione del deficit all’abbattimento del debito, cambiarne il segno passando da “più tasse” a “meno spese” e accentuarne la dimensione in modo da ricavare risorse per investimenti finalizzati alla crescita. Ha dunque ragione il ministro Saccomanni quando ammonisce che gli spazi sono stretti e che se si dovesse fare la somma di tutte le modifiche alla legge di stabilità ipotizzate in questi giorni sforeremmo ampiamente. Ma nello stesso tempo ha torto non lui, ma l’intero governo a non porre la sua rissosa maggioranza – di “vaste diffidenze” più che di larghe intese – di fronte ad un programma di riforme strutturali che appunto cambi la fisionomia complessiva della politica economica. E non per ridurre, ma semmai per accentuare e velocizzare il risanamento. Anche perché si continua a far finta di niente, ma dal 2015 sarà obbligatorio tagliare ogni anno un ventesimo del debito pubblico eccedente la quota del 60% del pil. È questo, tra l’altro, l’unico modo per sfuggire all’asfissiante pressing che tanto il Pdl, più platealmente, quanto il Pd, in modo più surrettizio, stanno facendo alla manovra, pressing che sicuramente si manifesterà in tutta la sua pericolosità in parlamento. Così come è la maniera migliore per rispondere alle critiche piovute da diverse istituzioni, in taluni casi giuste – quelle di Istat e Bankitalia sull’eccesso di ottimismo nelle previsioni macro-economiche contenute nella legge di stabilità – in altri del tutto fuori luogo, come quella sulla mancata equità della manovra arrivata dalla Corte dei Conti. Rilievo, quest’ultimo, sbagliato nel merito perché non sta scritto da nessuna parte, tanto meno sui libri contabili che dovrebbero contenere numeri compatibili con una spesa pubblica non assistenziale, che la platea dei beneficiari del taglio del cuneo fiscale debba essere fatta da tutti gli italiani, senza distinzione alcuna. E sbagliato nel metodo, visto che non spetta al sempre più inutile organismo di controllo dei conti (sic!) il compito di giudicare il tasso di equità delle scelte di governo. Detto questo, che lo sgravio porti nelle buste paga 10 euro, come stima l’Istat, o qualche spicciolo in più, fa poca differenza: rimane una manovretta insignificante, che non sposta di un millimetro il livello dei consumi e dunque la domanda interna (a questo proposito è significativo il dato fornito dall’Acri, secondo cui il tasso di risparmio degli italiani sarebbe aumentato di un punto, a conferma che il taglio che le famiglie hanno dato ai propri consumi è ormai strutturale). Forse sarebbe utile che Letta chiamasse i suoi ministri e qualche interlocutore della maggioranza ad un bel seminario a porte chiuse con qualche economista che abbia la vista lunga. Così, giusto per avere idee un po’ meno stereotipate e un po’ più di coraggio. Così, se il governo cadrà per colpa di Berlusconi e dei Pd che giocano di sponda con lui, almeno sarà chiaro che tutta la responsabilità sta solo lì. CASTA 1. IL MINISTRO: «NESSUNA INTERFERENZA, PRONTA A RIFERIRE ALLE CAMERE» di Donatella Stasio per Sole 24 Ore «Niente da nascondere» è il mantra che ripetono al ministero della Giustizia nel giorno più lungo di Annamaria Cancellieri, scandito dalle richieste di dimissioni dei parlamentari M5S e Lega e da quelle di chiarimento di Pd, Sel e Scelta civica. Daltra parte, le parole del Procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli dopo le indiscrezioni sullinteressamento del Guardasigilli per la detenuta Giulia Maria Ligresti danno ragione al ministro. «È arbitraria e destituita di ogni fondamento ogni illazione che ricolleghi la concessione degli arresti domiciliari a circostanze esterne di qualunque natura» scrive Caselli insieme ai pm Vittorio Nessi e Marco Gianoglio, ricostruendo tempi e modalità della scarcerazione in modo tale da escludere un nesso causale tra linteressamento del ministro (il 17 agosto) e la concessione dei domiciliari (il 28 agosto). Quella nota è accolta a via Arenula come una boccata dossigeno in una giornata «amara»; la conferma che il ministro «non ha fatto niente di male» perché «non cè stata alcuna richiesta di attivazione ma solo di attenzione per una vicenda umana», giustificata dalle precarie condizioni di salute di Giulia e, quindi, dal rischio di atti estremi, compreso il suicidio. Resta tuttavia aperto un altro fronte, non meno delicato, quello dellopportunità di un interessamento ad personam, posto che migliaia di detenuti sono in condizioni psicofisiche borderline e nessuno può avere come sponsor un ministro. Ma in serata, la Cancellieri risponderà di essersi «comportata allo stesso modo quando sono pervenute al mio ufficio segnalazioni, da chiunque inoltrate, che manifestassero preoccupazioni circa le condizioni sullo stato psicofisico di persone in stato di detenzione». La giornata era cominciata con un incontro al Quirinale, nel quale il ministro aveva illustrato al Capo dello Stato le misure contro il sovraffollamento carcerario in vista del viaggio del 4 e 5 novembre a Strasburgo, per rassicurare il Consiglio dEuropa e la Corte dei diritti sullattivismo dellItalia. Il caso-Ligresti non sarebbe stato neanche sfiorato. E del resto la Cancellieri non ne parla fino a sera, quando decide di inviare una lettera ai capigruppo di Camera e Senato nella quale, oltre a dare la sua disponibilità a riferire in Parlamento per tutti i chiarimenti necessari, ricostruisce il senso del suo interessamento. Rivendica di aver prestato attenzione, fin dal suo insediamento, alle carceri e alle condizioni di vita dei detenuti, spesso causa di «scelte estreme». Precisa di essere venuta a conoscenza «per via diretta» delle condizioni psicofisiche di Giulia Ligresti, cioè direttamente dallo zio, Antonino Ligresti, suo amico di vecchia data (da lui le era arrivata la segnalazione dei disturbi anoressici della donna, che rifiutava il cibo). «Era mio dovere - scrive il ministro - trasferire questa notizia agli organi competenti dellAmministrazione penitenziaria per invitarli a porre in essere gli interventi tesi ad impedire eventuali gesti autolesivi». E infatti, i due vicecapi del Dap Luigi Pagano e Francesco Casini (ai quali Cancellieri telefonò il 17 agosto) confermano di aver ricevuto solo una richiesta di «attenzione, non di attivazione», in considerazione delle precarie condizioni di salute di Giulia. Segnalazioni analoghe arrivano «a migliaia», al Dap, che non sempre riesce a darvi seguito ma che qualche volta riesce a evitare il peggio. A questo proposito, la Cancellieri rivendica di essersi attivata in molte altre situazioni borderline. «Intervenire è compito del ministro della Giustizia. Non farlo sarebbe colpevole e si configurerebbe come una grave omissione» scrive, escludendo qualunque «interferenza con le decisioni degli organi giudiziari» perché, puntualizza, nelle sue comunicazioni al Dap «non vi è stato nel modo più assoluto, come ampiamente dimostrato, alcun riferimento a possibili iniziative finalizzate alleventuale scarcerazione della Ligresti». La giornata si chiude così e da via Arenula trapela solo «tanta amarezza». “‘Sto Peluso è il figlio del ministro Cancellieri… Siccome lui è talmente protetto, figurati cosa gli daranno in Telecom”. Ad affermarlo, in una conversazione intercettata dalla Guardia di Finanza, è Giulia Ligresti, che commenta con toni molto critici l’operato di Pier Giorgo Peluso. “Questo qui – aggiunge Giulia Ligresti nell’intercettazione – è entrato e ha distrutto tutto. Ha avuto il mandato. Si vedeva che era un mandato, è uscito appena fatto con cinque milioni e mezzo“. «Sì, invece di chiedergli i danni! Mi hanno detto che in consiglio nessuno ha fiatato. Sì, sì.. Approvato all’unanimità. Che se fosse stato il nome di qualcun altro… A mio padre di 85 anni avrebbero contestano quella cifra. Questo qui ha 45 anni, è un idiota. Perché veramente è venuto a distruggere una compagnia. Perché lo ha fatto proprio su mandato la distruzione… 5 milioni, è andato in Telecom, e l’Italia non scrive niente». «Cavolo, potessero scrivere qualcosa», dice l’amica. E Giulia Ligresti: «Al contrario c’è un articolo su sua mamma, sai che è il ministro Cancellieri, pieno di lodi, figurati… Secondo me quella è un’area intoccabile proprio. Pazzesco…. L’Italia è un paese distrutto, è veramente una mafia. I giornali che scrivono tutti uguali, poi appena uno alza la testa… ». La vicenda assume toni piu’ loschi se pensa che il manager Piergiorgio Peluso, figlio del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, ha incassato 3,6 milioni di euro di buonuscita dal gruppo assicurativo Fonsai, dopo esserne stato direttore generale per soli 14 mesi. Nella generosa distribuzione di prebende che le società italiane sono abituate a perpetuare – a dispetto della crisi – ai loro top manager, la vicenda di Peluso ha tutti i requisiti per battere ogni record. 2. MA DAVVERO CANCELLIERI È ANCORA LÌ? di Giglioli per gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/11/01/ma-davvero-cancellieri-e-ancora-li/ Ma lavete letta lautodifesa surreale del ministro Cancellieri? Una manciata di righe in cui non si capisce se sono di più le bugie o le omissioni. Tra queste ultime, è evidente, il fatto di essere da molti anni amica di famiglia del miliardario pregiudicato e plurindagato Ligresti, nonché di avere avuto il figlio a libro paga (e che paga!) dal medesimo. Così come quella frase che rivela tutta la complicità tra potenti - «qualsiasi cosa io possa fare conta su di me» - e che testimonia una volta di più come questo Paese si divida in due: chi conosce qualcuno e chi non conosce nessuno. Ma quello che è ancora più incredibile è la faccia tosta nel sostenere di essersi comportata nello stesso modo per tutti i detenuti che nelle carceri compiono atti di autolesionismo o si suicidano: centinaia se non migliaia i primi, che non vengono nemmeno censiti; più di 40 i secondi solo questanno, e mancano ancora due mesi alla fine del 2013. Ancora più grottesco è cercare di far passare la propria azione ad personam come un dovere («non intervenire sarebbe colpevole»), nella convinzione evidente che gli italiani siano tutti idioti con lanello al naso, che non capiscono la differenza tra un dovere - che per definizione è erga omnes - e un privilegio, che è solo verso lamico di famiglia, il miliardario potente, il proprietario di mass media. E poi:« Non cè stata alcuna interferenza con gli organi giudiziari», dice il ministro. Vedremo, si spera che uninchiesta lo stabilisca, però curiosamente Giulia Ligresti pochi giorni dopo lintervento di Cancellieri è uscita di galera (al contrario di altri per cui il ministro non si è attivata). E comunque - se pure fosse vero - sarebbe del tutto ininfluente nel giudizio sul comportamento del ministro: se anche il suo intervento fosse stato finalizzato a dare alla figlia di Ligresti una branda più comoda o una cella più ampia delle altre detenute - quelle figlie di un dio minore - già questo sarebbe abbastanza per far tracimare lo schifo. Il solo tentativo di privilegiare un detenuto sugli altri è di per sé più che sufficiente, per uno che fa il ministro della Giustizia, per togliere il disturbo. Non è che Cancellieri oggi dovrebbe dimettersi: si doveva dimettere già ieri, un minuto dopo che era uscita la verità sul suo comportamento familistico. Qualunque cosa con questo abbia ottenuto. Ha preferito aggiungere al suo pessimo agire una nota piena di omissioni e bugie, prendendoci per i fondelli. Pronto Letta? Renzi? Gli altri? Ci siete? Dite qualcosa 1. LE PRESSIONI DEI LIGRESTI SU PELUSO, EX MANAGER FONSAI E FIGLIO DEL MINISTRO di Laura Galvagni per Sole 24 Ore Piergiorgio Peluso «era una figura gradita a tutti». È arrivato al vertice di Fondiaria Sai, come chiariscono ambienti legali, perché «era la sintesi perfetta» delle esigenze di tutti i soggetti coinvolti. A suo favore ha giocato il lungo legame con la famiglia Ligresti, sia personale che professionale, ha avuto consuetudine con lIngegnere fin dai tempi di Capitalia, ed ha avuto responsabilità crescenti ai vertici di UniCredit (ai tempi in procinto di diventare socio della compagnia assicurativa) e infine la stima di Mediobanca, dove pure ha gravitato per qualche anno. Larrivo ai vertici di FonSai è stato dunque benedetto da tutti, banche, famiglia e mercato. Ora, quellincarico, alla luce delle intercettazioni che attribuiscono alla madre, il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, un ruolo nella scarcerazione di Giulia Maria Ligresti, sembra assumere un profilo del tutto diverso. Come se il manager, nella primavera del 2011, fosse stato chiamato in Fondiaria esclusivamente per salvaguardare gli interessi della famiglia, salvo poi andarsene appena un anno dopo con una ricca buonuscita (3 milioni di euro). Salvatore Ligresti, spiegano ancora fonti legali, probabilmente «contava sul fatto che il banchiere avrebbe rattoppato i buchi», che avrebbe nascosto le falle. Daltra parte, come detto, lIngegnere e Peluso avevano da tempo buoni rapporti sul fronte professionale e, sul piano personale, il forte legame di amicizia tra la compagna di Salvatore Ligresti e la madre del manager sembrava garantire unulteriore protezione istituzionale. Abbastanza per far pensare allIngegnere di avere imbarcato un amico fidato. Così, assicurano fonti informate, non è stato e Salvatore Ligresti lo avrebbe mal digerito. Tanto che, rileggendo lordinanza di arresto della famiglia Ligresti e dei manager (Antonio Talarico, Emanuele Erbetta e Fausto Marchionni), in un passaggio in cui si esamina la posizione di Erbetta, la procura di Torino commenta in questi termini loperato dellex banchiere: «Merita sin da subito evidenziare come linversione di tendenza allinterno di FonSai (di cui parla lindagato), anche con riferimento alle modalità di determinazione attuariale della riserva sinistri, sia stata in realtà determinata dallassunzione, in qualità di direttore generale, di Peluso Pier Giorgio e di altri manager da lui selezionati, i quali hanno dato un significativo impulso in tale direzione (Perco Gianandrea per il settore immobiliare e Motta Claudia per quello della gestione contabile), e non grazie ad Erbetta. In proposito, giova ricordare la deposizione dello stesso Peluso, nonché, più in particolare, quella di Ghizzoni Federico, amministratore delegato di Unicredit, il quale ha rappresentato di aver preteso (in occasione dellingresso di Unicredit nel capitale azionario di FondiariaSai) un cambio nella governance più significativo rispetto alla mera sostituzione, nel ruolo di amministratore delegato, di Marchionni con Erbetta, considerata soluzione interna non sufficiente a provocare un cambiamento gestionale rispetto al passato». La procura di Torino, dunque, promuove lintervento di Peluso sul bilancio di FonSai e la tesi, tra laltro, trova conferma anche nella deposizione di Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca: la scelta di Peluso in Fonsai è stata «fatta direttamente dalla famiglia Ligresti, avendo egli un rapporto storico con gli stessi». Peluso, però, fin da subito «iniziò a rendersi conto della gravità della situazione patrimoniale ed economica di Fondiaria» che, causa lo spread si aggravò nel corso del terzo trimestre, cosa che il manager «segnalò mettendo in luce problemi di solvency». Nagel poi chiude così: «Preciso ancora che personalmente non feci, né in generale UniCredit fece, pressioni per indicare il manager da inserire allinterno di Fondiaria». Ancora una volta, dunque, si attribuisce ai Ligresti la scelta di Peluso come direttore generale e poi si ribadisce che fu proprio il manager a mettere in chiaro criticità fino a quel momento celate, intervenendo sulle riserve e sul patrimonio immobiliare. Una volta uscito dallorbita di Fondiaria il manager, scrive il nucleo di polizia Tributaria della Gdf di Torino, avrebbe comunque continuato a dedicare parte del proprio tempo alla compagnia intrattenendo «rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che di quelle societarie» e ciò è testimoniato da diverse conversazioni telefoniche. La ragione? Probabilmente per verificare gli sviluppi. Il suo addio ha coinciso con lascesa di Unipol e di Carlo Cimbri nel capitale dellex galassia Ligresti. Intervento che ha portato nel 2012 a un nuovo sensibile aggiustamento delle riserve, poi tradotto nei rapporti di concambio. La barra, dunque, sarebbe stata ulteriormente raddrizzata. Dellintera vicenda FonSai, confermano ambienti investigativi, Peluso è al momento solo un testimone. 2. AL TELEFONO GIULIA LIGRESTI ATTACCAVA IL FIGLIO DEL MINISTRO: E PELUSO... GLI HANNO DATO UNA BUONA USCITA DI CINQUE MILIONI, TI RENDI CONTO? CINQUE MILIONI, È STATO UN ANNO, HA DISTRUTTO TUTTO Gianluca Paolucci, Niccolò Zancan per La Stampa Eppure non si amavano tanto. «Sono giornatacce, veramente, un incubo.... Ho degli sconforti, credimi. Ieri hanno fatto sta cosa alla Procura di Torino. Poi il commissario arriva in Fondiaria a sparare contro di noi. E Peluso... Gli hanno dato una buona uscita di cinque milioni, ti rendi conto? Cinque milioni, è stato un anno, ha distrutto tutto». Questa è la voce di Giulia Maria Ligresti. La mattina del 19 ottobre 2012 si sta sfogando al telefono con unamica. Sono già tempi molto difficili, la bufera giudiziaria si sta addensando nel cielo di Fonsai. Ma ancora nessuno ne conosce lesatta portata. Giulia Ligresti parla della liquidazione concessa a Piergiorgio Peluso, il figlio del ministro Annamaria Cancellieri. È arrivato da Unicredit nel 2011 con il ruolo di direttore generale. Stanno parlando della sua liquidazione dopo un anno di lavoro. Lamica è solidale con Giulia Ligresti: «Gli danno una liquidazione, invece che chiedergli i danni!». «Sì, invece di chiedergli i danni! Mi hanno detto che in consiglio nessuno ha fiatato. Sì, sì.. Approvato allunanimità. Che se fosse stato il nome di qualcun altro... A mio padre di 85 anni avrebbero contestano quella cifra. Questo qui ha 45 anni, è un idiota. Perché veramente è venuto a distruggere una compagnia. Perché lo ha fatto proprio su mandato la distruzione... 5 milioni, è andato in Telecom, e lItalia non scrive niente». «Cavolo, potessero scrivere qualcosa», dice lamica. E Giulia Ligresti: «Al contrario cè un articolo su sua mamma, sai che è il ministro Cancellieri, pieno di lodi, figurati... Secondo me quella è unarea intoccabile proprio. Pazzesco.... LItalia è un paese distrutto, è veramente una mafia. I giornali che scrivono tutti uguali, poi appena uno alza la testa... ». Fa uno strano effetto rileggere queste parole, alla luce di quanto è emerso successivamente nelle indagini. E cioè che la famiglia Ligresti si è rivolta proprio al ministro Cancellieri per chiedere aiuto. A luglio Giulia Maria è in carcere. Non mangia, soffre di anoressia. I suoi avvocati chiedono senza successo gli arresti domiciliari. È in quel momento che Gabriella Fragni, la compagna di Salvatore Ligresti, intercettata, dice: «La persona che potrebbe fare qualcosa per Giulia è il ministro Cancellieri». Chiedono aiuto al ministro. E il ministro Cancellieri, accolta la richiesta, si spende personalmente. Come ha spiegato lei stessa in un verbale datato 22 agosto 2013. Quando è stata sentita in qualità di testimone, dal procuratore aggiunto di Torino, Vittorio Nessi: «Ligresti mi ha rappresentato la preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia Maria, la quale, come peraltro riportato in articoli di stampa, soffre di anoressia e rifiuta il cibo. In relazione a tale argomento ho sensibilizzato i due vice capi del Dap, Francesco Cascini e Luigi Pagano, perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati. Si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso, in considerazione del rischio connesso con la detenzione». Criticava la pesantissima buonuscita pagata al figlio del ministro. È stata aiutata dal ministro in persona. Questo è successo a Maria Giulia Ligresti. Finita in carcere il 7 luglio con il padre Salvatore e la sorella Jonella. Tutti accusati di falso in bilancio aggravato e aggiotaggio. Finora lei è stata lunica a patteggiare la pena. Il 19 settembre è stata condannata a due anni e otto mesi. La sua versione dei fatti è raccontata in cinque diversi verbali, lultimo è del 24 luglio. «Mi sono occupata più da vicino delle vicende della Premafin-Fondiaria dal dicembre 2011, quando vi era la pressione di Peluso per un nuovo aumento di capitale e mio padre era in difficoltà. Allora ritenni che dovevo offrire un mio contributo più energico. Ma come ho già detto, mio padre era ed è ancora - se pur in modo più limitato - persona molto carismatica. Quindi era lui ad assumere le decisioni che riguardavano il gruppo. Io ero quella che faceva la beneficenza, che si occupava di pubblicità e comunque avevo un ruolo in una holding non operativa... ». Ma comera arrivato Peluso in Fonsai? Lo spiega la sorella Jonella in un verbale del 23 luglio 2013: «Peluso era un manager di Unicredit che conosceva perfettamente i conti Fondiaria. Era persona che noi conoscevamo da tempo per via dellamicizia tra i genitori di Peluso e mio padre. Per cui siano stati proprio noi a proporgli di venire in Fonsai, sapendo che era al tempo stesso gradito a Unicredit». Anche nel verbale del 2 ottobre , uno degli ultimi atti formali dindagine, Jonella Ligresti precisa: «Peluso era gradito anche alla mia famiglia. Quando è giunto in Fondiaria in suoi incarichi erano già stati stabiliti. Peluso ha accettato con le deleghe che lui stesso intendeva ricoprire (bilancio, area immobiliare). Ritengo che, prevenendo da Unicredit, sua intenzione fosse fare un salto di qualità». ECONOMIA 1. ITALIA CRAC Ansa.it - Le famiglie italiane dal 2001 al 2012, cioè dallintroduzione delleuro, hanno visto la propria capacità di spesa (Pps) crollare del 16,8%. E il calo maggiore dellUnione Europea, anche più della Grecia (-13,8%) appena uscita da un default. Lo rende noto lAdusbef analizzando dati di Bankitalia. Da qualche anno, spiega il presidente Elio Lannutti, la capacità di spesa misura, meglio del Pil pro capite, il benessere delle famiglie. Nel caso dellItalia si può parlare di malessere. 2. DISOCCUPAZIONE AI MASSIMI DAL 1977 - NUOVO RECORD A SETTEMBRE: 12,5% E TRA I GIOVANI AL 40,4% - SENZA LAVORO A QUOTA 3,2 MILIONI -Ansa.it A settembre il tasso di disoccupazione in Italia è salito al 12,5%, con un incremento dello 0,1% rispetto ad agosto e di 1,6 punti nei dodici mesi. È, purtroppo, un nuovo record negativo dallinizio delle serie trimestrali elaborate dallIstat, ovvero dal 1977. Il tasso di occupazione flette di 1,2 punti percentuali rispetto a un anno prima e dello 0,2% congiunturali attestandosi a un esiguo 55,4%. Ma soprattutto il numero dei disoccupati è salito a 3 milioni e 194mila unità con un incremento mensile dello 0,9% (sono 29mila unità in più) e un aumento annuo di ben 391mila persone . Va detto che in tutta lEurozona in settembre i senza lavoro sono rimasti sul picco raggiunto in agosto, pari al 12,2% (in Spagna, ad esempio, il tasso di disoccupazione è tuttora pari al 26,6%, secondo i dati comunicati ieri da Eurostat). Ma il campo nel quale lItalia continua a registrare una vera emergenza è quello della partecipazione dei giovani al mercato del lavoro. Nel nostro Paese infatti il tasso di disoccupazione dei giovani in età compresa fra i 15 e i 24, cioè la quota di chi è senza lavoro sul totale degli attivi, è attestata al 40,4% (la media di Eurolandia è del 24,1%) e si tratta di circa 4,4 punti percentuali in più rispetto a un anno prima. È lesercito di 654mila giovani senza lavoro che cresce, 34mila in più in un anno, mentre si riduce la schiera di chi è realmente occupato. Solo il 16,1% degli under 24, infatti, ha un posto: 964mila giovani in totale, 138mila in meno in un anno, e 23mila in un mese. A conti fatti meno di 2 giovani su 10 sono occupati. E leffetto scoraggiamento si fa sentire: il numero di giovani inattivi, (un insieme che comprende, oltre agli gli studenti, anche i neet) è di 4 milioni 371mila, 54mila in più in un anno e 64mila in un mese, dice ancora lIstat. Le cifre italiane allarmano il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che torna a insistere sulluso di politiche inclusive: «I dati dimostrano che la crisi continua a mordere sul mercato del lavoro», dice ed è «particolarmente negativo il fatto che il livello occupazionale, dopo 3-4 mesi di stabilità, è nuovamente diminuito e che questo accada a settembre, mese in cui ci sono segnali di ripresa in alcuni settori». In questa ottica, conclude, «la discussione sulla legge di stabilità è molto importante, proprio per accelerare il contenuto di occupazione perché lincertezza creata dal mercato del lavoro è un fattore di ostacolo alla ripresa». Anche i sindacati suonano lallarme, anche nei confronti di una legge di stabilità che a loro avviso non supporta il lavoro e loccupazione. «Il nuovo e gravissimo record sul tasso di disoccupazione dimostra che la recessione non è finita e senza una terapia durto non si ferma lemorragia di posti di lavoro», denuncia la Cgil che chiede un urgente «cambio di rotta». Preoccupata anche la Cisl: «Siamo ancora in piena recessione - sottolinea il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni -. Ecco perché è stato un grave errore per il Governo Letta non aver perseguito la strada di un accordo forte con il sindacato e le imprese per imprimere, a partire dalla legge di stabilità, una vera svolta nelleconomia italiana». «Perdere i giovani significa perdere la speranza - commenta Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative -, occorre concentrare le poche risorse disponibili in misure efficaci che aiutino a rilanciare occupazione e competitività». ALITALIA-di Sergio Rizzo per il Corriere della Sera La chiamavano in gergo «biglietteria speciale». Perché davvero speciali erano i biglietti che emetteva. Intanto il costo: zero. E poi i destinatari: tutti Very important person. E tutti rigorosamente in prima classe. Politici, giornalisti, manager.... Ma anche amici e parenti. Perché a un certo punto il privilegio prese a scendere democraticamente i gradini della scala sociale. Quando nel 2004 Giancarlo Cimoli arrivò allAlitalia per il suo certo non indimenticabile passaggio al timone della compagnia di bandiera scoprì che la «biglietteria speciale» aveva staccato in sette anni almeno quattromila di quegli specialissimi biglietti. Quattromila. Capiamoci: lAlitalia non è affondata per un pugno, anche se bello grosso, di biglietti di favore. Ma per capire come una compagnia per cui nel 1987 il presidente dellIri Romano Prodi poteva senza suscitare ilarità immaginare una fusione alla pari con British Airways sia ridotta oggi a malato terminale senza più nemmeno «lunica clinica disposta ad accoglierlo», per ricordare la frase con cui Tommaso Padoa-Schioppa spiegò laccordo con Air France poi saltato, e dal quale fuggono perfino coloro che avevano giurato di salvarla, si deve partire da qua. Da come la politica, alleata di gestioni talvolta scandalose e sindacati indifferenti alle angosce del conto economico, anno dopo anno prima contribuì a spolparla. Poi a usarla come randello elettorale. Negli anni in cui lIri aveva seicentomila dipendenti e controllava il 70 per cento della capitalizzazione di borsa non era un andazzo tanto raro. Basterebbe ricordare come il progetto di comprare un grattacielo a New York dove piazzare lussuose sedi delle holding di Stato sfumò soltanto per i contrasti fra i vari boiardi. Chi sarebbe finito al primo piano? E a chi, invece, sarebbe toccato lattico con vista sullEmpire, il Chrysler e le Torri gemelle? Ma quanto a grandeur, lAlitalia non la fregava nessuno. Chiamato a officiare la sepoltura della vecchia compagnia di bandiera che aveva passato il marchio a Roberto Colaninno e ai «capitani coraggiosi che lo affiancavano», il commissario Augusto Fantozzi ebbe un ufficio nella gigantesca sede della Magliana, a venti chilometri da Fiumicino, che sarebbe stata troppo grande anche per la General Motors. Lavevano pagata 250 miliardi di lire (quando i miliardi erano miliardi) dopo aver venduto per 90 il palazzo dellEur. Una rimessa secca di 160 miliardi, con in più i costi faraonici di un complesso faraonico. Ma quella era solo una tessera del mosaico. Da lì Fantozzi scoprì che cerano 60 (sessanta) sedi allestero. Rimaste aperte per anni, nonostante gli scali coperti dalla compagnia italiana si fossero negli anni miseramente ridotti a una quindicina. Non parliamo di quella londinese di Heathrow, arrivata a stipendiare trecento persone. Ma per esempio di un ufficio in Libia. O in Senegal. O delle due sedi indiane, Mumbai e Delhi. Oppure degli uffici di Hong Kong, dove non arrivavano più da tempo nemmeno i cargo con il tricolore stampato sulla coda ma cerano ancora 15 dipendenti e un conto da 1200 dollari da pagare ogni giorno allhotel Hyatt. Del resto, davanti ai conti degli alberghi lAlitalia non ha mai fatto una piega. Come quando pagò per un anno intero seicento stanze negli hotel intorno a Malpensa destinate agli equipaggi che avrebbero dovuto fare base nello scalo varesino. Rimaste ovviamente vuote. E pagò con leggerezza. La stessa leggerezza con cui volava sugli ostacoli il cavallo montato dallesperto fantino Giuseppe Bonomi: il manager più amato da Umberto Bossi, che quando era presidente dellAlitalia gareggiava nei concorsi ippici sponsorizzati dalla compagnia di bandiera. Non lunica sponsorizzazione, sia chiaro. Il logo dellAlitalia era stampato sui pettorali dei concorrenti delle marce podistiche di Ostia, campeggiava negli stadi di pallavolo del varesotto, sul giornalino dellEur di Roma... Anche quando la crisi era ormai diventata nera, nerissima. Era allora, anzi, che i geni della comunicazione aziendale riuscivano a dare il meglio di sé. Fu pochi mesi prima del tracollo che venne sventata per miracolo la sponsorizzazione di una mostra di abiti di sposa a Tokyo. Mentre nulla riuscì ad arrestare linevitabile doppio restiling della costosissima rivista di bordo Ulisse 2000, famosa per le illustri collaborazioni (non gratuite, immaginiamo) di alcune delle firme giornalistiche più note. Il primo assegnato a una società dellex collaboratrice dellex gran maestro della massoneria Armando Corona, compensata per il disturbo con 10 mila euro al mese. Il secondo affidato a una ditta di cui era proprietario per metà lattore Pino Insegno, che partecipò anche uno spettacolo alla Sala Umberto di Roma con tanto di attori e attrici vestiti da piloti e hostess per festeggiare i sessantanni dellAlitalia. Ideona poi replicata a New York, stavolta senza Insegno, per i cinquantanni del primo volo da Roma. Il tutto, giusto poche settimane prima che saltasse la vendita ad Air France, che Silvio Berlusconi rivincesse le elezioni e che i suoi «capitani coraggiosi» scendessero in campo per «salvare» la compagnia di bandiera. Di lì a poco, la società di Insegno per il restiling di Ulisse 2000 si sarebbe trovata nella lista dei creditori della vecchia Alitalia, con 77 mila euro. Fianco a fianco con Peccati di Capri, la pasticceria napoletana che forniva i cioccolatini di benvenuto offerti ai passeggeri dellAlitalia: 3.852 euro. Fossero almeno serviti ad addolcire la pillola... MEKELUBER..- di Maurizio Ricci per la Repubblica La disoccupazione a livelli record, milioni di giovani respinti dal mercato del lavoro, un intero continente sullorlo di una drammatica deflazione. Gli ultimi dati confermano la profondità della crisi europea. Ma cè un responsabile? I grandi protagonisti delleconomia internazionale pensano di sì e, con una buona dose di autocritica, sono anche daccordo nellindicarlo. A sorpresa è quello che, solo due anni fa, era leroe e il modello da imitare: il governo di Berlino. Aveva cominciato il Fondo monetario internazionale, ma, questa settimana, si sono aggiunti la tecnocrazia di Bruxelles e, poi, il Tesoro Usa: una raffica di critiche e di accuse, via via sempre più aperte e insofferenti, alla strategia economica che la Germania ha imposto allEuropa. I temi sono quelli più volte anticipati da molti economisti ma che, ora, sembrano diventati patrimonio di una sorta di consenso internazionale ai massimi livelli. Due accuse che si intrecciano. La Germania ha continuato a spingere sul pedale delle proprie esportazioni, tagliando la strada ai Paesi in crisi (dalla Grecia allItalia), impegnati a sviluppare le loro, per ritrovare la crescita. In questo modo, ne ha aggravato la recessione, che già era stata innescata dai tagli di spesa e dai rincari di tasse di unausterità, che ora appare troppo precipitosa, troppo dura, in buona misura ingiustificata. Il nuovo governo tedesco che emergerà dai negoziati Cdu-Spd rischia di trovare unatmosfera assai più ostile e partner assai meno malleabili di quelli lasciati da Angela Merkel prima delle elezioni di settembre. Ma la secca risposta di Berlino, ieri, alle accuse di Washington indica che la Germania «non intende farsi condizionare dalle pressioni internazionali» e da «critiche incomprensibili». Vengano dai palazzi di Washington o da Bruxelles, critiche e accuse si concentrano sugli ingranaggi tecnici, più che politici, della strategia rivendicata da Berlino, ma questo le rende più devastanti. Ha cominciato il Fmi, con una sorta di inversione a U, che ha sconfessato le scelte compiute, a partire dalla crisi greca. Il Fmi sostiene che tutti i calcoli fatti, quando è stata lanciata lausterità, erano sbagliati e gli effetti sulleconomia sono stati molto più pesanti del previsto. A quanto pare, nessuno si era reso conto che, con i tassi dinteresse già vicini allo zero, la stretta fiscale non poteva essere ammorbidita e compensata da un allentamento monetario. Analogo, anche se visto da unangolazione diversa, il ragionamento che ha preso piede nella tecnocrazia di Bruxelles. Qui, il punto è la differenza fra crisi ciclica, cioè legata alla congiuntura, quindi temporanea, e crisi strutturale, che resterebbe, cioè, anche in caso di ripresa. Tanto più alta la componente strutturale, tanto più duri e pesanti i tagli e le riforme delle manovre dausterità. A Bruxelles, i tecnici si sono resi conto di avere esagerato la componente strutturale (per la Spagna, ha significato dare per scontata una disoccupazione al 24 per cento), dando spazio ad una moderazione dei programmi di austerità. Non solo. Un rapporto sul mercato del lavoro, uscito lunedì scorso, sollecita politiche che stimolino la domanda di lavoro. E una sorta di rivoluzione copernicana: per la prima volta, il termine stimolo entra nel vocabolario di Bruxelles. Ma la burocrazia comunitaria ha, alla fine, messo nel mirino anche la politica interna tedesca. Lausterità in casa propria - sosteneva, a metà ottobre, lo studio firmato da una delle teste duovo di Bruxelles, Jan ‘t Veld - ha aggravato la recessione dei paesi in deficit, rendendo più duro il riequilibrio nella periferia ed esacerbando ulteriormente il temporaneo peggioramento del rapporto debito- Pil. Tanto più che, contemporaneamente, la Germania compensava lausterità interna con le esportazioni. É laccusa che, libero dagli impacci diplomatici di Bruxelles, fa, con brutale chiarezza, il Tesoro Usa. Per tutto il corso della crisi finanziaria delleurozona, diceva, mercoledì, il suo periodico rapporto sulle valute, la Germania ha mantenuto un ampio avanzo: nel 2012 superiore anche a quello della Cina. Il tasso anemico di crescita della domanda interna tedesca e la dipendenza dallexport hanno ostacolato il riequilibrio, in un momento in cui molti altri paesi delleurozona hanno subito una severa pressione a tagliare la domanda interna e comprimere le importazioni, per promuovere il riequilibrio. Non è un problema solo europeo, chiarisce, a scanso di equivoci, il Tesoro americano: il risultato netto è stato una spinta alla deflazione nelleurozona, come per tutta leconomia mondiale. Berlino, però, non ci sta e, in una nota ufficiale, tace sui tagli di spesa operati sul bilancio nazionale e insiste, invece, sul fatto che il governo non ci può far nulla se le industrie tedesche sono così competitive. A Bruxelles, la Commissione si guarda bene da rendere esplicite critiche al gigante tedesco, visto tuttora come «una locomotiva per leconomia delleurozona. La Commissione, tuttavia, è destinata a mettere presto i piedi in un piatto da cui si terrebbe volentieri lontana. A metà novembre deve dare le pagelle ai paesi europei e alla Germania, che ha sfondato il tetto di un surplus commerciale superiore al 6 per cento del Pil, dovrebbe mostrare un cartellino giallo. Proprio come dicono gli americani.
Posted on: Sat, 02 Nov 2013 07:59:42 +0000

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