Cristo senza dottrina né verità Ridotti a sans papiers della - TopicsExpress



          

Cristo senza dottrina né verità Ridotti a sans papiers della chiesa, ricordiamo che il cardinale Biffi ha ricordato: “Gesù talvolta è un pretesto per parlare daltro”. Una pastorale dellintimo, senza mediazione razionale del dogma? No Povera bisnonna Antonia, che ha passa-to una vita fatta di pateravegloria, ro-sari, messe alle cinque di mattina, segni di croce a ogni santella, catechismo imparato a memoria e precetti morali da praticare scrupolosamente e insegnare con zelo. Po-vera bisnonna Antonia, e poveri i suoi ot-tantaquattro anni trascorsi a “dire preghie-re” e a osservare “prescrizioni” nella spe-ranza di abbracciare un giorno Gesù, a cui dava del Voi, come usavano le generazioni perbene. Povera bisnonna Antonia e pove-ra la sua fede che, non fosse per il cando-re ingenuo e inerme delle vecchi-ne di campagna, oggi po-trebbe essere presa per una cristiana ideo-logica, moralistica, fa-risaica, senza cuore. Eppure, quella donni-na sempre vestita di ne-ro che parlava solo dia-letto e un latino tutto suo, aveva mostrato quanto amore per Dio e per gli uomini sgorghi da una vita passata a “dire preghiere”. Al marito, che in punto di morte le chiedeva per-dono per quante gliene aveva fatte e lei aveva sopportato nel silenzio e nella pazienza, la pove-ra bisnonna Antonia aveva risposto di non avere paura, “quando sarete di là, vedrete quanto bene avranno fatto le preghiere che vostra moglie ha detto per voi”. La durezza dellomelia di Santa Marta in cui Papa Francesco stigmatizza una fede che passa “per un alambicco e diventa ideologia” e in cui giudica le coscienze di chi, oggi, si ostina a vivere un cristianesimo come quello dei suoi vecchi, finisce per tra-volgere il passato che continua a vivere nel presente. Risulta difficile ipotizzare che il bersaglio non sia quel sentire tradizionale a cui si intende impedire di diventare un movimento capace di aggregare uomini e idee. Lo ha felicemente spiegato la gioiosa macchina da guerra degli ermeneuti del giorno dopo. Ma lo aveva inequivocabil-mente anticipato il Papa stesso, nellinter-vista a Civiltà Cattolica, fulminando un “uso ideologico” del rito tradizionale ripor-tato in onore da Benedetto XVI, uno “spe-cialista del Logos” ormai archiviato dagli ermeneuti del suo successore. Anche se parla delle ideologie di ogni segno, è chiaro a chi miri Papa Bergoglio dicendo: “Quando un cristiano diventa di-scepolo dellideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero (…). E per questo Gesù dice loro: ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza. La cono-scenza di Gesù è trasformata in una cono-scenza ideologica e anche moralistica, per-ché questi chiudevano la porta con tante prescrizioni”. Non passa omelia, non passa intervista, non passa bagno di folla in cui il Papa non scrolli le spalle davanti a una fede che si oggettivizza nel rigo-roso rapporto con la ragione. “Nomina nu-da tenemus”, sembra questo il messaggio di Francesco, lo stesso del francescano Gu-gliemo di Occam di cui Umberto Eco pro-dusse un gradevole bigino con “Il nome della rosa”. La fede non cerca più un in-telletto che ritiene inabile a conoscere veramente, produtto-re di oggettivazioni che rischiano di diveni-re un ostacolo allincontro con Cristo. Come se ci si trovasse in una zona di rimozione forzata dei precetti permeabili allintelli-genza, un vicolo cieco nel quale non ama-va sostare un cristiano innamorato della ragione come Gilbert Keith Chesterton: “Per quanto un uomo può essere orgoglio-so di una religione fondata sullumiltà, io sono molto orgoglioso della mia religione. Sono particolarmente orgoglioso di quelle sue parti che sono molto comunemente chiamate superstizioni. Sono fiero di esse-re stato nutrito da dogmi antiquati ed esse-re schiavo di una fede morta, come i miei amici giornalisti ripetono con tanta insi-stenza, perché so benissimo che sono le eresie ad essere morte e che soltanto il dogma razionale vive abbastanza a lungo da essere chiamato antiquato”. Ma dove non cè ragione cè contraddi-zione e risulta difficile mettere al riparo le idee, e chi le sostiene, dallaggressione che si sostituisce allargomentazione. Chi criti-ca errori dottrinali, confusioni, silenzi sui grandi temi della teologia e della morale, viene marchiato come un derelitto senza fede, un fariseo che non prega, un ipocri-ta che non crede in Cristo e lo usa per ali-mentare unideologia. E la “nuova chiesa della misericordia”, bellezza. E la chiesa che proclama di accogliere tutti e di non volere giudicare nessuno, ma che si mostra senza pietà per i suoi figli innamorati e in-sieme perplessi. Adotta schemi politici ca-ri al Novecento, secondo cui il positivismo giuridico si mangia la verità e la legge na-turale. Se fra lintuizione di Dio e la vita quotidiana viene tolto di mezzo lapparato razionale che contraddistingue luomo, il potere finisce per autolegittimarsi a pre-scindere da ciò che dice e che fa. Jean Bo-din e Niccolò Machiavelli lo avevano ben spiegato. La strumentalizzazione del Nazareno per altri scopi, va detto, è un problema an-tico. Il cardinale Giacomo Biffi ha denun-ciato tempo fa che “Gesù è diventato un pretesto che i cristiani usano per parlare daltro”. Ma è da decenni che questo “al-tro” è rappresentato da ecologismo, promo-zione della legalità, ecu-menismo mediatico, lotta alle narcomafie, prote-zione della foresta amaz-zonica e altre amenità. A tutto discapito della dottrina morale, della bioetica, del rigore litur-gico e dottrinale. Con il rischio di trovarsi al co-spetto di un Cristo senza dottrina e senza verità, un personaggio buono per tutte le stagioni, un contenitore da riempire con quanto desideri ogni consu-matore della religio-ne fai da te. Un simile fenomeno non è giustificabile in nome della cosid-detta pastoralità. Perché non può esistere pastorale che non sia preceduta dalla dot-trina, a meno che non se la sia divorata e non sia divenuta dottrina essa stessa finen-do per mortificare il robusto rapporto con la ragione e la legge naturale. Per duemi-la anni la Chiesa ha difeso la vera fede dal-leresia: a spada tratta, con impegno assolu-to e a prezzo del sangue. Papi e cardinali, teologi e religiosi sapevano bene come una tesi eterodossa fosse la peggior malattia che potesse minacciare il Corpo Mistico. “La Chiesa e le eresie”, dice il magnifico duellante cattolico inventato da Chesterton nel romanzo, “La sfera e la croce” “hanno sempre combattuto sulle parole perché so-no le uniche cose per le quali valga la pe-na di battersi”. Da ciò si ricava quanto sia sorprenden-te e irrazionale, perché estraneo alla storia della chiesa, che oggi chi solleva domande e obiezioni dottrinali sia tacciato di essere rigido, moralista, eticista, senza bontà. Unaccusa che, a ben guardare, potrebbe essere trasferita su papi del recente passa-to. Paolo VI, nel 1968, scrive lenciclica “Humanae vitae” per ribadire la condan-na morale della contraccezione: un rigido eticista senza bontà. Giovanni Paolo II re-dige nel 1995 una summa della bioetica nel-la “Evangelium Vitae”: ma così facendo di-mostra di insistere su tesi dure e difficili, che allontanano invece che avvicinare gli uomini alla chiesa. Benedetto XVI spiega al Bundestag, in un memorabile discorso, che quando le leggi civili contraddicono la legge naturale, non sono più leggi ma solo simulacri cui si deve disobbedienza: un in-tollerante che chiude la porta della chiesa in faccia allo stato lai-co e se ne va con la chiave in tasca. Ma lartificio dia-lettico che trasforma quanti vogliono difen-dere la dottrina catto-lica in farisei spietati, privi di un cuore che palpita per il Cristo ferito e crocifisso, è debole. Gesù non in-vita i farisei ad andar-sene perché professa-no una fede sbagliata, ma a essere i primi a osservare la legge. Mentre qui pare proprio che lobiettivo finale, oltre il giudizio teme-rario sullintimità della coscienza, sia il principio stesso, ritenuto un ostacolo al dialogo col mondo. Invece, fede e ragione, legge e carità possono solo stare insieme o si dissolvono entrambe: nellirrazionalità di un fideismo luteraneggiante o nel gelo di un razionalismo volterriano, che oggi van-no volentieri a braccetto verso il nulla. Portato nel perimetro della chiesa, tutto questo produce un cattolicesimo senza dot-trina, emotivo, empatico, pneumatico. Si sa-rebbe tentati di dire alla Enzo Bianchi, se persino lui non fosse stato oscurato dalla stella mediatica di Papa Bergoglio. Para-frasando Zygmunt Bauman, ciò segna la na-scita di un cattolicesimo liquido, che di-guazza nelle zone grigie evocate da Carlo Maria Martini. Una religione che, nellinca-pacità di dare risposte, impone con prepo-tenza dubbi e domande e partorisce un cat-tolicesimo che “sa di non sapere”, di gusto prearistotelico. Qui dentro si trovano le coordinate dellincontro con il mondo mo-derno da cui escono plotoni di cattolici che non credono nel credo perché non lo cono-scono, ma accorrono festanti in piazza San Pietro o a Copacabana. Scriveva il cardinale Ratzinger che la fe-de in Cristo e il mettersi alla sua sequela dentro una visione morale rigorosa, esigen-te e seria, sono la stessa cosa: non si oppon-gono, ma luna non è possibile senza laltra e, proprio per questo richiedono rigore, fa-tica, ascesi. Al contrario, una volta varato il cattoli-cesimo liquido, la vita diventa più facile per tutti, dal confessore al penitente: un assessore e un commercialista, un gineco-logo e un politico possono discettare di tangenti, di aborto e di tasse concluden-do con lunica consolante morale di non fare i moralisti. Così, finisce la significanza del cattoli-cesimo come fatto anche civile, politico, pubblico. Il diritto, che nel Novecento ha galoppato tenuto per le briglie da Hans Kelsen e dal suo positivismo, si affranca definitivamente da qualsiasi influsso ra-zionale del cattolicesimo. Se a Cristo si giunge senza preambula fidei, senza argo-mentazioni apologetiche, senza le cinque vie di san Tommaso, fra mondo moderno e chiesa lincomunicabilità è totale. Si dissolve lidea di regalità sociale di Cri-sto, che il calendario liturgico riformato si è affrettato a relegare nel dimentica-toio dellultima domenica del tempo ordi-nario, mentre in quello precedente era collocata nel mese dedicato alle missio-ni. Evapora persino la più modesta pro-spettiva di uno stato pluralista ma rispet-toso della legge naturale, nel quale tutte le religioni sono tollerate, ma uccidere linnocente non nato o ammalato è delit-to per tutti. Eppure, è questo il panorama evocato quando un Papa duetta con la stampa vol-terriana convenendo che: “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a pro-cedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. E poi, richiesto di precisare la sua lezione sullautonomia della coscienza precisa: “E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve sce-gliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”. Ma la co-scienza non può essere una guida arbitra-ria e bizzosa, senza alcun riferimento al-la verità. Non si può parlare di verità co-me relazione invece che come assoluto, quando la legge naturale si fonda proprio su degli assoluti morali, cioè lesistenza di atti che sono sempre e comunque intrin-secamente malvagi. La verità per il catto-lico è Cristo stesso: via, verità, e vita. Vladimir Solovev chiude i suoi “Fondamen-ti spirituali della vita” con un capitolo sullimmagine di Cristo come verifica del-la coscienza in cui spiega che: “Il compi-to finale della morale individuale e socia-le consiste nel fatto che Cristo sia forma-to in tutti e in tutto. (…) Si può non uccide-re mai, non rubare, non infrangere nessu-na legge criminale ed essere tuttavia di-speratamente lontani dal regno di Dio”. La coscienza non è uno strumento infal-libile, può sbagliare. E quando è erronea, il soggetto agente è normalmente colpevo-le poiché, di solito, non ha fatto tutto il possibile per formarsi correttamente e ri-conoscere lerrore. La coscienza erro-nea diventa argomento di esclusione della colpa del soggetto solo quan-do lerrore è invincibi-le: questa condizione può, forse, riguardare un indigeno della Pa-puasia, ma difficil-mente si può riferire a uomini nati cre-sciuti e vissuti a con-tatto con la Chiesa, con lannuncio del Vangelo, con la sua dottrina, come è il ca-so dellintervistatore volterriano cresciuto dai gesuiti. Secondo la dot-trina cattolica è dovere dei pastori forma-re le coscienze, insegnando a chiunque la verità tutta intera. Se invece la nascondo-no per “giustificare con lignoranza” il singolo che pecca, si assumono una grave responsabilità: lo spiegava con forza lo “specialista del Logos” Joseph Ratzinger in un libro del 1997, “Cielo e Terra”. Per quanto siano estemporanee le ome-lie di Papa Francesco, si sbaglierebbe a non riconoscere una coerenza del pensie-ro che esprimono. Cè un solido legame tra lesaltazione della coscienza, lenfasi su un cristianesimo a scarso tasso dottri-nale e quanto dice sulla preghiera. “La chiave che apre la porta alla fede è la pre-ghiera” ha spiegato nellomelia dedicata ai cristiani ideologici. “Quando un cristia-no non prega, succede questo. E la sua te-stimonianza è una testimonianza superba… è un superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione… Quando un cristia-no prega, non si allontana dalla fede, par-la con Gesù… Dico pregare, non dico di-re preghiere, perché questi dottori della legge dicevano tante preghiere… Una co-sa è pregare e unaltra cosa è dire pre-ghiere… Questi non pregano, abbandona-no la fede e la trasformano in ideologia moralistica, casuistica, senza Gesù”. Una fede ipodottrinale, risolta in un semplice incontro, finisce per vedere nel-laspetto formale della chiesa un ostaco-lo al proprio manifestarsi. E sa-rebbe difficile dimostrare che Papa Bergoglio, fin dalla sera della sua ele-zione, non abbia mo-strato con le parole e i fatti la sua avversione alla forma e alla for-malità. Da qui scende la contrapposizione tra il “dire preghie-re” e il “pregare”, che è ben più di un ca-lembour perché met-te in discussione lar-monia tra lex orandi e lex credendi. “Dire preghiere” è sempre stato un pregare con la chiesa, tanto per la vecchi-na con il rosario in mano, quanto per il cardinale Newman o un monaco di clau-sura. Ognuno per la sua parte e la sua competenza, ma tutti insieme, membri dello stesso Corpo Mistico, come in coro, senza sapere luno dellaltro ma sicuri di essere lì insieme, nello stesso momento, a pregare nello stesso modo come vuole la lex orandi e a confessare la stessa fede, come vuole la lex credendi. Ma serve disciplina, serve lascesi che lattuale Pontefice salta a piè pari volgen-dosi subito alla mistica. “Colui che smet-te di pregare con regolarità” scrive il car-dinale Newman in un sermone sulla pre-ghiera del 1829 “perde il mezzo principa-le per ricordarsi che la vita spirituale è obbedienza al Legislatore, non un sempli-ce sentimento o gusto”. E poi ancora, nel 1835, dice che chi “desidera portare nel suo cuore la presenza di Cristo deve solo ‘lodare Dio e far sì che le parole del san-to salterio di Davide le siano familiari, un servizio quotidiano, sempre ripetute e tut-tavia sempre nuove e sempre sacre. Pre-ghi e soprattutto permetta lintercessione. Non dubiti del fatto che la forza della fe-de e della preghiera agisce su tutte le co-se con Dio”. Suona impietoso il giudizio di chi di-sprezza il “dire preghiere” senza immagi-nare che, in fondo a quelle formule di cui nessuno può mutare uno iota, cè chi ve-de le piaghe di Cristo e magari arriva a toccarle e baciarle. In quelle parole con-siderate pietre dinciampo a una fede au-tentica, è invece racchiusa una sapienza che apre al senso più profondo degli atti-mi terribili che ogni creatura dovrà vive-re fin sulla soglia dellultimo respiro. So-no ritmi celesti che incantano lanima e la strappano al mondo e la nutrono con quellanticipo di vita soprannaturale che è la cerimonia. “Penso di poter parlare a nome di molti altri convertiti” scriveva Chesterton “quando dico che lunica cosa che può suscitare in qualche modo nostal-gia o rimpianto romantico, un vago sento-re di mancanza per la propria casa in uno che la casa lha trovata veramente, è il rit-mo della prosa di Cranmer”. Il “Libro del-le Preghiere comuni” anglicano del XVI secolo aveva ancora una musicalità tale da essere una sirena. “La ragione” conti-nuava il convertito inglese “può essere ri-portata in una frase: ha stile, tradizione, religiosità; venne redatto da cattolici rin-negati. E efficace, ma non in quanto pri-mo libro protestante, bensì in quanto ul-timo libro cattolico”. I cattolici della Cornovaglia e del De-von si fecero massacrare, pur di non ac-cettare il “Book of Common prayer”. Met-te i brividi il solo pensare come li possa giudicare il pensiero dominante della chiesa di oggi, dove viene celebrata la messa su un messale che somiglia da vi-cino a quello di Cranmer. Forse “cultori di format ideologici in versione cristia-na”, come quei bigotti mendicanti di tra-dizione ridotti a clandestini dal cattolice-simo della tenerezza, come i sans-papiers de lEglise. Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro Il Foglio 22/10/2013
Posted on: Tue, 22 Oct 2013 08:21:54 +0000

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