FREEDOM FOR SYRIAN PEOPLE!!! Lettera dal carcere di Mazen - TopicsExpress



          

FREEDOM FOR SYRIAN PEOPLE!!! Lettera dal carcere di Mazen Darwish di Elisa Cassinelli Mazen Darwish, giornalista siriano e presidente del Centro siriano per i media e la libertà di espressione (Scm) da più di un anno si trova nelle carceri del regime siriano a causa della sua attività in favore dei diritti umani. Dal febbraio 2012 Mazen Darwish è in attesa di processo e detenuto con altri quattro colleghi a Damasco. Deve rispondere dell’accusa di “istigazione a commettere atti terroristici” e rischia una condanna fino a 15 anni di carcere con lavori forzati. Dalla sua cella è riuscito a far arrivare una lettera diffusa dal Scm in occasione della cerimonia di consegna del premio “Bruno Kreisky” vinto da Darwish per il suo impegno nella “campagna per la riforma della legge sulla stampa” e per aver “fatto in modo che la comunità internazionale venisse a conoscenza della scomparsa di blogger e giornalisti” siriani. Una lettera che assume un valore più forte, in concomitanza con la giornata mondiale contro la tortura. Di seguito il testo tradotto in italiano. Signore e Signori.. Inanzitutto vorrei ringraziarvi per essere qui oggi e per avermi onorato con questo premio che porta il nome di un uomo esemplare come Bruno Kreisky, un premio che in precedenza è stato assegnato a persone come Nelson Mandela, Benazir Bhutto e Lula da Silva. Anche se per un prigioniero non c’è felicità più grande di sentire che il mondo esterno si ricorda ancora di lui, di fronte alla devastazione e allo spargimento di sangue che ha colpito il mio Paese, la sensazione di felicità diventa una sorta di lusso che mi vergogno di provare.Signore e signori.. Vorrei farvi una confessione: Ho sempre guardato con stupore Kreisky, chiedendomi perché un combattente fermo e un uomo di stato come lui potesse spingere la sua nazione verso la neutralità permanente rinunciando volontariamente all’ebrezza della vittoria e e al piacere del successo, finché ho capito che non c’è nessun vincitore nelle guerre e che tutti sono perdenti. E che non c’è nulla di buono nella guerra, eccetto la sua fine. E da Baghdad a Budapest, dal Libano a Praga, dal Vietnam alle due Coree ho imparato che la cosa migliore nella guerra è proprio la sua fine. E dalle vittime delle guerre, fino alle vittime della discriminazione razziale in Sud Africa, in Ruanda, in Bosnia, alle vittime della tirannia nel nostro mondo arabo e quelle di Franco, di Pinochet e dei Colonnelli greci, ho imparato che la strada per la democrazia è lontana dal sentiero dell’estremismo e del terrorismo tanto quanto lo è dalla strada delle dittature e della tirannia. Signore e signori.. Forse il modo in cui si sono messe le cose in Siria oggi è peggiore dei nostri peggiori incubi, ma possiamo rinunciare al diritto di cambiare la nostra realtà? Alle nostre ambizioni legittime di libertà, dignità e cittadinanza? Al nostro dovere di ridurre la diseguaglianza e di portare più giustizia nella nostra società, perché questi slogan sono stati utilizzati in modo ideologico e strumentale da parte di regimi tirannici e autoritari e di movimenti violenti ed estremisti? Dobbiamo forse ruminare le nostre esperienze nel mondo arabo una volta dopo l’altra perché tutte le volte che la tirannia si è sposata alla corruzione hanno dato vita solo all’estremismo, alla violenza e al terrorismo? Sì, vogliamo la libertà, la dignità, la giustizia e ne abbiamo il diritto. Ma certamente non è la libertà di morire sotto tortura o essere ammazzati. Non è la libertà di morire per una bomba lanciata da un aereo o per un’autobomba. È la libertà di vivere una vita basata sulla condivisione e l’alleanza tra l’universalità del valore dei diritti umani e la specificità delle condizioni e delle relazioni sociali locali. Al fine di rimodellare una sfera umana mondiale che renda la vita un’esperienza umana morale che non appartiene ad alcuni più di quanto non appartenga ad altri. Signore e signori A tante persone mi rivolgerei e di tanti farei i nomi oggi attraverso questo palco, se il tempo lo permetesse ma purtroppo sono molte di più del tempo a disposizione e più grandi di quanto le parole possano esprimere. Vorrei rivolgermi in particolare ai miei colleghi che mi hanno accompagnato nel cammino alla detenzione, e a quelli che hanno avuto la fortuna di non essere arrestati. Sono fiero di aver avuto l’onore di lavorare con voi e di toccare i vostri sogni e i vostri dolori. Ai miei amici, che ogni volta mi sorprendono per la loro lealtà e per la loro adesione a tutto ciò in cui crediamo: non perdete la fede, anche se chi non ha pietre per costruire vi ha tirato addosso colpe. Alla mia famiglia meravigliosa: grazie per la vostra pazienza, per l’amore e per il sostegno che mi avete dato in tutti questi anni. Nulla avrebbe senso senza di voi. A coloro che si sono assunti la responsabilità di “disciplinarmi” per dieci mesi, in particolare a quelli nei primi giorni dell’ ‘Id al Adha, della festa del sacrificio. Provo tristezza per noi e auguro ai vostri figli una vita felice, priva di paura e tortura e festività piene di gioia e amore che possano condividere con i miei figli: Inana e Adad. Signore e Signori Nella spirale folle della violenza ho perduto tanti e tanti dei miei più cari amici: uccisi, arrestati, feriti, rapiti o costretti a fuggire. Ayham Ghazzul, il mio collega medico, il mio amico Hassan Ahmad Azhari, mio cugino, il tenente ‘Ali Darwish, mio fratello Sami ‘Aqil, il mio amico Khalil Ma‘tuq. Mi inchino di fronte a loro e alle loro famiglie. Ho ingoiato le lacrime, perché sono poca cosa rispetto alle vostre pene. E ho dato libero sfogo alla mia voce per poter uscire con voi al sole, mano nella mano, e gridare insieme un’altra volta: Uno, uno, uno, il popolo siriano è uno! Il sangue siriano è uno! Il futuro siriano è uno! Mazen Darwish Prigione centrale di Damasco (giugno - 26 - 2013)
Posted on: Wed, 26 Jun 2013 18:04:34 +0000

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