Fratelli Musulmani e fratelli d’Italia. Un gran bel deja - TopicsExpress



          

Fratelli Musulmani e fratelli d’Italia. Un gran bel deja vue. Passiamo all’ennesimo rovesciamento della realtà a cui concorrono, senza eccezioni, le falangi politico-mediatiche del pensiero unico universale. Dopo Libia e Siria, tornano in Egitto i “giovani rivoluzionari democratici”. Con barba. Cairo: pacifico Fratello Musulmano Tutto già visto. L’imperialismo e i suoi mercenari sono monotonamente ripetitivi. Ci vuole tutta la forza della mignottesca unanimità politico-mediatica destre-sinistrati e della relativa dabbenaggine pubblica perché gli evidentissimi falsari, avallati nei primi giorni del marasma egiziano perfino da voci solitamente impeccabili, come Telesur e Russia Today (ma non dai siriani, che l’inversione della verità la vivono sulla pelle da tre anni) la passino liscia. Riferendosi alla rimozione di Morsi, ha detto Nicolas Maduro, presidente del Venezuela: “Nessuno può cancellare una Costituzione, solo il popolo può cambiare un presidente”. Giusto. Infatti è stato Morsi a cancellare la Costituzione assumendo poteri dittatoriali, ed è stato il popolo, a decine di milioni nelle strade, a cambiare il presidente”. L’errore di valutazione, che forse Chavez non avrebbe fatto, è parzialmente corretto quando Maduro prende le distanze dai Fratelli Musulmani che “stanno pagando l’errore (?) di aver appoggiato la strategia del governo Usa nella regione”. E se l’hanno fatto, non è sacrosanto che il popolo passi dalla contraddizione principale, quella rappresentata da una forza politico-militare che si fa mercenaria dell’imperialismo, ad affrontare quella in questo momento secondaria, di un apparato militare costretto a divincolarsi tra condizionamenti Usa e irresistibile forza delle masse? Come in Libia ieri, in Siria oggi, la tragedia dell’Egitto, con le sue masse rivoluzionarie prese tra l’incudine dei generali filo-americani e il martello dei fanatici islamisti filo-americani, diventa l’occasione per utili idioti e amici del giaguaro di blaterare sdegni e afflizioni in difesa della democrazia tradita e dei diritti umani schiacciati. Esce inusitatamente dal coro stavolta la sola Giuliana Sgrena, piagnucolosa beghina cattolica, ma se assegna alle bande della Fratellanza Musulmana i peccati che meritano è eminentemente per la sua viscerale avversione all’Islam tutto. Avversione confortata da una cinquantina di chiese cristiane bruciate dai Fratelli mentre si adoperavano a recuperare la democrazia violata dai militari. Per il resto, dal “manifesto” al “Fatto”, dai lenoni e prostituti annidati nei giornaloni e nei tg, alle mummie pacifiste e dei “nuovi soggetti di sinistra”, l’ululato e compatto e assordante: “siamo tutti fratelli musulmani”. Chiesa copta bruciata dai FM La Confraternita Musulmana, nata negli anni venti in funzione antinazionalista e colonialista, sotto gli auspici e lo scudo dei padroni britannici dell’Egitto, ora promossa al potere ovunque possibile in Medio oriente perché ai logori proconsoli imperiali non si sostituissero, sospinti dalla forza di immense masse in rivolta, governi antiautoritari, anticapitalisti, antisraeliani e antimperialisti, è diventata per l’universo mondo la bandiera della democrazia e della libertà. La stessa banda di fanatici, ammaestrati al martirio da cinici e scaltri maestri, che in Libia e Siria, a forza di orrori indicibili e di dobloni occidentali ha dinamitato lo Stato nazione, la sovranità, la pacifica convivenza, la dignità e l’autodeterminazione di quei popoli, deve ora determinare in Egitto quel “caos creativo” che all’Occidente e, sopratutto, a Israele è tanto funzionale ai piani di frantumazione del mondo arabo in frammenti etnico-confessionali. Quel progetto formulato in ogni dettaglio e per ogni nazione araba da Oded Yinon, capo-stratega del governo israeliano nel 1982 e da allora perseguito dagli USraeliani con accanita coerenza, dall’Iraq, da ridurre nei tre cantoni scita, sunnita e turco, alla Libia, da scomporre nella tripartizione ottomana di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, al Libano e alla Siria, di cui le spartizioni sono già prefigurate nelle aree sotto controllo degli opposti schieramenti. Consapevole dei meriti acquisiti in Libia e Siria dai surrogati islamisti del neoliberismo totalitario, “la comunità internazionale” si straccia le vesti perché questi picciotti del Nuovo Ordine Mondiale hanno subito in Egitto un arretramento che mette in grosse difficoltà altri capisaldi della normalizzazione mediorientale in chiave Fratelli Musulmani, ritenuti consolidati. Tunisia, Turchia, Yemen. E poi, sempre meglio gli integralisti islamisti, dai presunti moderati FM fino ad Al Qaida, che i generali, ora sotto pressione di una forza di popolo che tiene duro da tre anni e che, comunque, appaiono meno affidabili data la profonda faglia che divide dai vertici, segnati dal mubaraqismo, le centinaia di migliaia di coscritti della “bassa forza”, vicini alle istanze popolari nelle loro varie espressioni. Anche perché mentre negli eserciti arabi, a dispetto di condizionamenti, addestramenti, finanziamenti Usa, insistono a serpeggiare sentimenti e lealtà patriottici e antisraeliani, agli islamisti del tipo FM, dello Stato, della nazione, della sovranità, della giustizia sociale (che non sia compravendita assistenziale di consensi e voti), non gliene frega niente. Anzi li hanno in uggia, dato che l’orizzonte ambito è quello dell’Umma, la comunità transnazionale di tutti i musulmani (sunniti, per i FM gli sciti sono eretici e infedeli quanto i cristiani), dove costituzioni, identità, culture, etnie, confini, tradizioni, strutture sociali vengono tutte confuse nel calderone di un corano abusivamente interpretato in chiave reazionaria, autoritaria, feudalcapitalista, patriarcale, oscurantista. Cairo: pacifici Fratelli Musulmani Dal “manifesto” al Washington Post siamo tutti Fratelli Musulmani. E’ stato “abbattuto da un golpe militare” – non importa se la destituzione è sostenuta da decine di milioni di persone di indirizzo laico, antiautoritario e anti-neoliberista, quelli della rivoluzione vera, poi scippata da Usa, Qatar e FM – un “presidente democraticamente eletto”. Nessuno si fa turbare al ricordo di elezioni totalmente falsate, sia dai brogli (qui trascurati, ma denunciati ad altissima voce laddove non ci sono, quando si tratta di Stato disobbediente), sia da un abietto clientelismo che fa leva sulla miseria e sull’analfabetismo. E nemmeno causa perplessità il dato inconfutabile che Morsi sia stato eletto dal 15% del 30% degli aventi diritto che hanno votato, visto che le forze nazionali progressiste hanno boicottato la farsa controllata dai Fratelli. Dimenticati anche dal “furto di democrazia” dei militari i vari provvedimenti con cui il Fratello presidente ha assunto via via pieni poteri, cancellato la corte suprema, sottomesso il giudiziario, proibito gli scioperi, fatto sparare sui manifestanti e scioperanti, trasformatosi in versione peggiorativa, clericale e teocratica, del tiranno Mubaraq. Un velo abbagliante è stato poi steso sulle brigate di volontari, riccamente finanziate dagli amici del Qatar, che Morsi, come i compari tunisini di Ennahda, aveva preso a spedire in Siria perché, uniti ai cannibali di Al Qaida e Al Nusrah, si guadagnassero le vergini del paradiso sgozzando e stuprando nel nome della Sharìa. Agli occhi compiaciuti della cosca criminale occidentale, tutti meriti altissimi accumulati dall’obliteratore della tradizione culturale, laica e nazionalista egiziana, come rivendicata in quasi tre anni da un’insurrezione popolare che non si è riuscita a corrompere e a frenare con il classico strumento dell’infiltrazione e manipolazione. Si capiscono il disappunto di Obama, che pure con la carta di ricambio militare pensa di poter convivere, e i rimbrotti di Emma Bonino, specialista storica di mistificazioni a sostegno di belle figure come Licio Gelli e Dalai Lama, Tortora e Fratelli Musulmani, Ustascia croati e Aung Saan Su Kyi. Cairo: pacifico Fratello Musulmano Ancora una volta il mega-menzognificio mediatico si è messo al servizio degli spolpatori dell’Egitto e dei popoli arabi. Come quelle fornite a suo tempo sulla Libia e oggi sulla Siria, circostanze e cifre sono piattamente schiacciate sul presupposto che bisogna satanizzare il nuovo ordine egiziano scaturito – magari a suo dispetto – da una volontà di massa senza precedenti e salvaguardare onorabilità e martirio di coloro che l’Occidente da tempo aveva collocato nel ruolo di castigamatti delle primavere arabe e di proconsolato della ricolonizzazione. Ecco dunque il deja vue: tra i manifestanti “pacifici” pro-Morsi, dotati di quei sassi e di quelle molotov, sacrosante qui, quanto criminogene in Val di Susa, si inseriscono uomini armati di mitra e fucili che sparano su poliziotti che in quella fase si limitavano ancora ai gas e alle pallottole di gomma. Contemporaneamente, da luoghi sopraelevati, muretti, tetti, balconi e tra gli alberi, cecchini sparano sia sulla folla che sui poliziotti. I 43 agenti uccisi nel primo giorno della battaglia non si sono sparati da soli inciampando. Per la precisione: mentre tutti scrivevano di stragi dell’esercito, i militari non erano in campo, per quanto indubbiamente mandanti della repressione, e gli scontri venivano sostenuti dalla sola polizia. A questa si erano uniti, dai primi giorni fino all’assedio alla moschea, quei rivoluzionari del “6 aprile” e di “Tamarrod” che, nella Primavera Araba, quando abbatteva Mubaraq e anche quando contestava il despota Morsi, erano tanto amati dai nostri media. L’imbarazzo ha impedito ai neo-innamorati nostrani dei Fratelli Musulmani di menzionarne il ruolo. Ai buonafede l’impegno di massa dei primaveristi originali, con sassi e bastoni contro gli sparacchiatori integralisti, dovrebbe avere una valenza positiva, almeno quanto è considerato negativo il ruolo dei generali. Il tutto identico a quanto avvenuto fin dalle prime ore della “rivoluzione” a Bengasi e poi in Siria, a Deraa, a Homs, ad Aleppo. Con una differenza di tempi a favore della verità. Se in Libia si è dovuti arrivare a giochi imperialisti fatti per ammettere che gli “inermi rivoluzionari” sparavano e sgozzavano chi non ci stava; se in Siria un pugno di onesti reporter e una montagna di video sono riusciti a mostrare la migrazione di turbe di tagliagole da mezzo mondo e a disintegrare la fola dei “pacifici dimostranti massacrati da Assad” solo dopo non meno di due anni, in Egitto sono bastati cinque giorni a provare con immagini e testimonianze e a far filtrare dai denti stretti dei cronisti al guinzaglio che “anche i fratelli musulmani sparano”. Ammissione comunque riduttiva, dato che per i primi tre giorni è stata solo la polizia, con l’ordine di limitarsi ai gas, a fare da bersaglio ai colpi di arma da fuoco. Vedere per credere, la rete è piena: is.gd/pyFgXG, liveleak/view?i=194_1376554704, liveleak.view?i=e5a_1376505565 is.gd/CPcnzQ , is.gd/dVWDRr . Ricordate i “10mila civili libici uccisi da Gheddafi” nei primi due giorni dell’aggressione partita da Bengasi? E quegli altri 10mila civili che, mettendoci un po’ di più, Assad avrebbe ucciso sparando su pacifici manifestanti? Pensateci quando mettete al confronto le 4000 vittime in 48 ore strepitate dai Fratelli, con le 500 registrate dalle autorità e le centinaia contate dai giornalisti. Senza un qualche centinaio di cadaveri veri, da ottenere con qualsiasi mezzo, soprattutto sparando addosso ai propri, e poi da elevare mediaticamente a terrificanta potenza, la solidarietà della “comunità internazionale” ha le gambe corte, i media non accorrono in soccorso, gli imbecilli non invocano i diritti umani, le armi arrivano a rilento, e le spedizioni di invasati ben pagati da Cecenia, Afghanistan, Tunisia, Libia, Egitto, Europa, faticano a mettersi in marcia. Escono tutti dalle stesse scuole, questi guerrieri dell’Islam, che si mimetizzino nell’ occasionalmente “moderata” fratellanza (quella tanto moderata da aver negli anni di Sadat e Mubaraq trucidato, oltre che lo stesso Sadat, repressore della Fratellanza, con attentati centinaia di turisti), o che, sbranando e stuprando, si rivelino per quel che sono sotto i vessilli di Al Qaida e del Fronte Nusrah. E se alla cattedra, nelle ore di religione, si alternano imam schiumanti e predicatori alla fiamma, geografia e arte militare vengono direttamente impartite dai presidi, uomini dal forte accento anglosassone. Come effetto collaterale ampiamente programmato abbiamo che nessuno si occupa più neanche di striscio di Edward Snowden e delle sue rivelazioni sul fatto che viviamo in un universo di polizia, alla mercè del più grande Stato Canaglia e dei suoi scherani; della Russia che si è retta a difensore dei diritti umani come simboleggiati dall’eroico disvelatore dei crimini di Obama; delle guerre imperiali che continuano a sterminare donne, bambini, uomini, sovranità, benessere; dei nazisti israeliani che sbeffeggiano perfino i fantocci palestinesi loro inservienti, sputandogli in faccia, all’apertura dei “negoziati”, sei nuove colonie di rapinatori e serialkiller nazisti; del golpista Napolitano che riemerge nottetempo dalla bara in cui l’aveva chiuso la Costituzione, per l’ennesimo colpo di mano contro la morale, la legge, la decenza. Guardando dagli spioncini del Quirinale, lo si può vedere impegnato a schiacciare, una dopo l’altra, le purulenti pustole del sistema mafioso-massonico-ultrafascista Italia. Ne ottiene un liquido che, dal palazzo, si sparge fin nei borghi più remoti e integri del Belpaese. La situazione è complessa, il popolo egiziano, quello non imboccato dai Fratelli Musulmani a carità, fanatismo e analfabetismo, per liberarsi del carcinoma oscurantista, fascista e filoccidentale, ha accettato una soluzione imposta dai militari. Gli toccherà un’altra tornata di lotte. Ma resta un dato inoppugnabile: se i necrofagi della “comunità internazionale” piangono e stridono sull’estromissione di questa banda di decrebrati col pugnale trai denti, agli ordini di rigurgiti della notte della ragione e di moderni devastatori planetari, è perché i Fratelli Musulmani, con la coda velenosa dei tagliagole salafiti, per i popoli del Medioriente sono oggi il nemico numero uno. E lo sono dunque anche per noi che di quei popoli condividiamo la resistenza al genocidio biologico e sociale della cupola imperiale e dei suoi mazzieri, giullari e buffoni di corte. L’attentato contro Hezbollah a Beirut Come succede sempre e come pochi percepiscono, tout se tien anche qui. L’ambaradan egiziano va visto non solo in parallelo con l’esecuzione della Libia di Gheddafi e il tentativo di giustiziare anche la libera e sovrana Siria. L’integralismo islamista della galassia allevata con cura dai servizi occidentali è all’opera in Iraq, con il terrorismo antiscita, alimentato dai petrodittatori in funzione antiraniana, delle bombe nei mercati e nelle moschee, che si sovrappone, pervertendone gli obiettivi, all’ancora non doma resistenza saddamista. Uguale terrorismo è affiancato in Yemen e in Pakistan, a sostegno dei fantocci filo-Usa, dai droni obamiani che giornalmente da tre anni compiono massacri di civili (ultimo bersaglio: 4 supposti alqaidisti e 33 tra donne e bambini). In Libano, l’internazionale sunnita ha appena rivendicato, coprendo gli autori israeliani, l’ennesima strage bombarola nei quartieri sciti di Beirut controllati da quell’Hezbollah che a Israele ha inflitto le due clamorose sconfitte del 2000 e del 2006. Nel Sinai egiziano, tragicamente sostenute da Hamas che, insieme alle altre dirigenze palestinesi vendutesi ai referenti di Israele nel Golfo, ha sotterrato la prospettiva della liberazione palestinese, bande di jihadisti assaltano le forze di sicurezza e destabilizzano una regione strategica sulla quale Israele non ha cessato di esercitare le sue mire. I Fratelli Musulmani sono, insieme ai comandos salafiti, wahabiti e takfiristi, riuniti nella brigata Cia detta Al Qaida, espressione di quel mondo sunnita che, liberatosi dalle “degenerazioni” laiche e moderne dei governi nati dal nazionalismo arabo, Libia, Iraq, Yemen, Algeria, Olp, si presta volentieri alla strategia imperialista della contrapposizione intra-islamica tra sunniti e sciti, arabi sunniti e Iran scita. L’incubo occidentale è la prospettiva, non del tutto implausibile, di un’intesa tra la potenza regionale iraniana e quella primavera araba che, a partire dal 2011, ha sconvolto gli equilibri geopolitici della regione mettendo a rischio, insieme alla minoranze scite in rivolta di quei paesi (Bahrein, Arabia Saudita, Yemen), la stabilità delle dinastie autocratiche garanti dell’egemonia economica e militare reazionario-imperialista. Come mi ha detto mesi fa a Damasco un grande intellettuale siriano, nella battaglia per la Siria si gioca una parte decisiva dei destini non solo del Medioriente. Gli attori in campo sono il blocco teocratico e totalitario cristiano-ebraico-islamista guidato da Usa e Israele, con l’UE al traino, e il fronte della resistenza costituito da Iran, Siria, masse arabe e turche risvegliatesi al richiamo dell’indipendenza, sovranità, giustizia, a cui Russia, le più importanti repubbliche asiatiche e la Cina offrono profondità strategica e sostegno politico, economico e diplomatico. Per adesso si registra il fallimento, grazie alla primavera egiziana e alla tenuta sociale e militare della Siria, della triangolazione imperialista Turchia-Golfo-Egitto affidata all’integralismo sunnita, che doveva essere la forza trainante della frantumazione della regione in mini-Stati lungo linee etnico-confessionali. In questo quadro si inserisce una contraddizione tra Usa e Israele. Mentre i primi continuano ad affidare il loro recupero della regione ad alcuni Stati forti, come Egitto e satrapie del Golfo, oltre tutto agevolatori della ripresa economica statunitense attraverso i colossali acquisti di armamenti e il campo libero lasciato alle multinazionali, il regime nazisionista preferisce, come programmato dai tempi di Oded Yinon, ma prima ancora dai padri sionisti, che non sopravviva un solo Stato nazionale unitario arabo, Egitto compreso. La disintegrazione della struttura statale e dei rispettivi eserciti è garanzia imprescindibile perché Israele si espanda, annichilisca le aspirazioni palestinesi, mantenga il dominio sull’area. Nel caso dell’Egitto e della Siria ciò comporta, sul modello libico, l’annullamento di un qualsiasi ruolo geopolitico attraverso l’alimentazione di un conflitto interno cronico, con aree sottratte al controllo del governo centrale e il resto infestato da un terrorismo integralista endemico che, con grande soddisfazione di Tel Aviv, qui da noi viene chiamato rivendicazione di democrazia e diritti umani. Prevarrà, con lo stragista filo-sionista al potere a Washington, l’opzione israeliana. Ne è un segno la nomina ad ambasciatore Usa al Cairo del Robert Ford, allievo di quel John Negroponte che si è fatto valere nei genocidi Usa in Centroamerica e Iraq. All’altezza del maestro, Ford si è confermato efficiente organizzatore di squadroni della morte e di guerre dette civili in Iraq e Siria. Seguono due post di Grillo che mi sembrano degni di nota. Per carità di patria e commiserazione per l’abissale ignoranza di politica estera che accomuna Grillo e i suoi seguaci non riproduco l’ ingenua e controproducente missione della commissione esteri del M5S in Kazakistan, a sostegno del complotto imperialista imperniato sulla marionetta Shalabajeva. Né mi soffermo sulle cazzate che lo stesso Grillo, in perfetta sintonia con tutti coloro che giustamente ci invita a prendere a calci nel culo, ha scritto sui Fratelli Musulmani difensori della democrazia egiziana. Son ragazzi… ahinoi) Chi state proteggendo? Dico a voi, nelle istituzioni, nel governo, nei partiti, oltre a voi stessi. Di sicuro non l’Italia. Un condannato per frode fiscale non può essere interlocutore della presidenza della Repubblica e del presidente del Consiglio, anche se Napolitano e Letta Nipote devono a lui l’elezione. Di quante divisioni dispone Berlusconi? Quanti pennivendoli ha a libro paga? Quanti parlamentari del pdmenoelle sono ai suoi ordini, oltre ai suoi impiegati, perché altro non sono, fatti eleggere nel pdl? Quante televisioni possiede? Quante persone possono essere ricattate da quest’uomo? In questo Paese se non sei ricattabile non puoi fare politica, quanti scheletri ci sono nei suoi armadi? Lagrazia, la si chiami come si vuole: agibilità politica o clemenza non gli può essere concessa. L’Italia è una repubblica parlamentare, il popolo dovrebbe essere sovrano, ma non conta nulla. Chi state proteggendo insieme a Berlusconi? Quali poteri economici? Il vostro pericolante futuro, le vostre sconfitte, i corrotti? Avete ridotto il Paese a un deserto economico e sociale e vi aggrappate a un delinquente per sopravvivere. Non vi fate almeno un po’ schifo? Non dite una parola di sostegno al giudice Esposito attaccato dal partito del Padrone e dai suoi giornali? Se Berlusconi sarà salvato, moriranno le istituzioni. Napolitanouscirà di scena nel peggiore dei modi. Il mio consiglio è che rassegni ora le dimissioni. Il mutismo del pdmenoelle è quello dei complici, degli ignavi, di chi più prosaicamente non vuol perdere la pagnotta, la poltrona, il potere che si è autoconferito insieme al suo sodale di Arcore. Il MoVimento 5 Stelle non resterà a guardare, questo è certo. Prepariamoci all’autunno. Siamo a Ferragosto. Il sole brilla, ma il cielo ci appare plumbeo, grigio, spento come nei pomeriggi di smog d’inverno in città. Cosa sono quelle facce? Quelle smorfie da depressi? Non fate così. Non buttatevi giù. Cambiare si può. Siamo dentro un incubo, ma dagli incubi ci si sveglia al mattino. Dopo la notte arriva sempre l’alba, Queste maschere di cartone che popolano la nostra vita sono destinate a sbiadirsi, a scomparire persino nel ricordo. “Berlusconi chi? Letta chi? Finocchiaro chi? Brunetta chi?” ci chiederemo tra pochi anni. Cambiare si può. Costruire una nuova Italia solidale, una comunità di persone senza privilegi si può. Un luogo dove i diritti civili valgono per tutti, indistintamente. Nessuno rimarrà indietro. Un reddito di cittadinanza e il diritto a un tetto saranno garantiti per legge. Utopie? Cosa sarebbe la nostra vita senza utopie che possono realizzarsi? Un luogo miserabile dove passare la nostra esistenza. Il dopoguerra ci ha lasciato solo macerie e distruzione, ma ci siamo risollevati. E ora dovremmo temere per quattro cialtroni che hanno occupato lo Stato? Li cacceremo a calci nel culo. Ogni voto un calcio alle prossime elezioni. L’Italia ha bisogno di rinnovamento, di aria fresca, di nuove idee, di giovinezza. Cambiare si può. Partecipare si può. Siamo stati esclusi dalla gestione dello Stato, come ospiti mal sopportati a casa nostra, da un’oligarchia supponente e arrogante. E’ tempo di riprenderci le nostre vite, la nostra Patria, di cercare di essere felici. Strano sentire queste parole “Patria, Felicità“. Sono riusciti, questi osceni rappresentanti vestiti a festa, a farle diventare impronunciabili, come le parole “Popolo“, “Onestà“, “Dovere“, “Futuro“. Nel film “Ricomincio da capo” il protagonista era condannato a rivivere sempre la stessa giornata, così succede agli italiani. Sempre gli stessi nomi, le stesse “emergenze nazionali“, gli stessi problemi irrisolti da vent’anni. Ci hanno fatto credere che non esistono alternative., ma cambiare si può. Questa lunga agonianon è più tollerabile. Napolitano, il garante dello status quo, si dimetta, si elegga un nuovo presidente della Repubblica e si vada alle elezioni. Cambiare si può.Sorrideremo, rideremo come bambini quando ci sarà la nuova liberazione, come i nostri nonni in un lontano 25 aprile, alla fine della guerra. Presto sui nostri schermi. Fonte: fulviogrimaldi.blogspot.it/2013/08/fratelli-musulmani-e-fratelli-ditalia.html#more
Posted on: Fri, 23 Aug 2013 22:58:36 +0000

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