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Giuseppe Moro Bepi Moro.jpg Dati biografici Nazionalità Italia Italia Altezza 185 cm Peso 80 kg Calcio Football pictogram.svg Dati agonistici Ruolo Portiere Ritirato 1956 Carriera Giovanili 1933-193? 193?-1937 Flag of None.svg Fortitudo Treviso Treviso Squadre di club1 1937-1938 600px Bianco e Azzurro con scudo Rosso crociato e due soli.png Treviso Riserve 1+ (?) 1938-1941 Treviso Treviso 38 (-?) 1941 Padova Padova 0 (0) 1941-1942 → Treviso Treviso 30 (-33) 1942-1943 Alessandria Alessandria 12 (-?) 1943-1947 Treviso Treviso 71 (-?) 1947-1948 Fiorentina Fiorentina 38 (-52) 1948-1949 Bari Bari 36 (-47) 1949-1950 Torino Torino 32 (-66) 1950-1951 Lucchese Lucchese 37 (-53) 1951-1953 Sampdoria Sampdoria 72 (-83) 1953-1955 Roma Roma 55 (-64) 1955-1956 Verona Verona 15 (-26) Nazionale 1948-1949 1949-1953 Italia Italia B Italia Italia ? (?) 9 (-10) Carriera da allenatore 1958-1959 Treviso Treviso Vice 1960-1964 Flag of None.svg San Crispino 1964 Flag of None.svg Ebba Ksour 1965 Olympique de Beja Olympique de Béja 1 Dati relativi al solo campionato. Il simbolo → indica un trasferimento in prestito. « Alternò favolose prodezze a errori così madornali da sembrare voluti. In questo sgradevole sospetto lasciò molti che pure lo ammiravano. Finì malamente, giusta la spensierata leggerezza con cui affrontò e assolse il suo lavoro di atleta.[1] » (Gianni Brera) Giuseppe Moro, detto Bepi[2] (Carbonera, 16 gennaio 1921 – Porto SantElpidio, 28 gennaio 1974[3]), è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo portiere. Durante la sua carriera — discussa e controversa per la sfrontatezza con cui stava tra i pali, per i difficili rapporti con allenatori e dirigenti e per fatti legati alla presunta o effettiva vendita di partite — vestì le maglie di nove squadre di club[4] e fece parte della Nazionale italiana ai mondiali del 1950. Considerato uno degli estremi difensori più estrosi e spettacolari della storia del calcio italiano,[5] molto apprezzato per la classe e lappariscenza dei suoi interventi,[6] era dotato di indubbie capacità fisiche e psicologiche[7] che culminavano nei calci di rigore, la sua specialità: in tutte le gare di campionato, anche di serie inferiori, su un totale di 63 tiri dal dischetto subiti, riuscì a neutralizzarne 46, considerando sia quelli parati che quelli sbagliati dagli attaccanti, un record per il calcio italiano.[8][9] È anche ricordato per il suo rendimento altalenante[10] e le sue inspiegabili papere.[6] Indice [nascondi] 1 Biografia 1.1 Infanzia e adolescenza 1.2 La seconda guerra mondiale 1.3 La famiglia e le altre attività 1.4 Una vita disperata 2 Caratteristiche tecniche 2.1 La marionetta 2.2 I calci di rigore 3 Carriera 3.1 Club 3.1.1 Le giovanili (1933-1937) 3.1.2 Gli anni al Treviso, le parentesi a Padova, Alessandria e Venezia (1938-1947) 3.1.3 Lesordio in A con la Fiorentina (1947-1948) 3.1.4 Laffermazione a Bari (1948-1949) 3.1.5 Al Torino per il dopo Superga (1949-1950) 3.1.6 Lucchese (1950-1951) 3.1.7 Sampdoria (1951-1953) 3.1.8 Roma (1953-1955) 3.1.9 Il ritorno in B con il Verona (1955-1956) 3.2 Nazionale 4 Statistiche 4.1 Presenze e reti nei club 4.2 Cronologia presenze e reti in Nazionale 5 Note 6 Bibliografia 6.1 Opere 6.2 Libri 6.3 Riviste 7 Collegamenti esterni Biografia[modifica | modifica sorgente] Infanzia e adolescenza[modifica | modifica sorgente] Giuseppe Moro, figlio di Mosè e Luigia Callegher, nacque il 16 gennaio 1921 a Carbonera, vicino Treviso.[2][11][12] Primo di nove figli, di cui una sola femmina, da bambino odiava tutto ciò che riguardava la scuola, tranne un quaderno sulla cui copertina cera un disegno di František Plánička in tuffo.[11] Tifoso juventino sin da piccolo, con le prime monetine messe da parte comprò un pallone per la somma di dieci lire; andò solo e compiaciuto, visto che nessuno dei compagni volle seguirlo, a calciarlo nel campo del paese.[13] Frequentò i quattro anni di elementari a Carbonera; poi fu iscritto allIstituto San Francesco, dove venne bocciato, perché la sua attenzione non era rivolta a quanto avveniva in aula, ma bensì alle partite di calcio che si svolgevano nel cortile della scuola;[14] inoltre, anziché fare i compiti per casa, si dedicava alla lettura della Gazzetta dello Sport, di cui era appassionato; fu quindi mandato al Collegio Turazza, dove chiuse il secondo ciclo di studi.[15] Terminati gli studi, si iscrisse ad una scuola per corrispondenza e prese lezioni di armonio — attività che trascurò per impegnarsi esclusivamente nel calcio — per volontà del nonno,[16] un importante commerciante del posto.[17] Il padre possedeva dei frutteti, come molti suoi compaesani. Moro, non appagato dagli spazi dei suoi campi, si divertiva girando per gli altri frutteti a rubare frutta, inseguito dai contadini furibondi. Si era procurato una pertica con cui praticava una specie di salto con lasta sui vigneti: gli stessi contadini, che venivano depredati, lo chiamavano cavalletta per i danni che faceva e per i suoi balzi spericolati.[18] Un giorno Giuseppe Moro combinò un guaio e suo padre, furioso, lo inseguì, finché il figlio si trovò bloccato in una stanza, senza possibilità di scappare; erano al secondo piano e cera la finestra aperta: Bepi si gettò nel vuoto, senza riportare alcun graffio, mentre suo padre, emulandolo, si ruppe il femore e rimase immobile per diverse settimane.[17] La seconda guerra mondiale[modifica | modifica sorgente] Quando scoppiò la seconda guerra mondiale Moro fu chiamato alle armi e nel 1942 venne destinato allAutocentro di Alessandria, svolgendo la mansione di autista aggregato in un reggimento di artiglieria.[19][20] A pochi mesi dallinizio del conflitto mondiale, lasciò la caserma di Cristo,[21] dove si trovava, e venne spostato in Sicilia, rimanendovi fino allo sbarco degli alleati. A Licata faceva lautista di un camion dellofficina mobile pesante di assistenza ai carri armati. Gli attacchi aerei dei caccia erano frequenti, anche quando si trovava al volante; così Moro inchiodava il camion, gettandosi dalla cabina e facendo voli improvvisi di diversi metri per mettersi al riparo. A distanza di tanti anni lui stesso reputò questa miscela di terrore, riflessi e atletica un allenamento fondamentale per la sua carriera.[22] Il 9 settembre 1943, giorno seguente allarmistizio, scappò da Alessandria, dove era rientrato, travestendosi in borghese e indossando un cappellino per coprire i capelli rasati. Saltò su un treno, ma fu riconosciuto da alcuni tedeschi a Mortara, durante una sosta; mentre i tedeschi, distratti, raggruppavano altri italiani, lui si allontanò e balzò sul treno non appena questo ripartì, senza che i tedeschi se ne accorgessero. Grazie allaiuto di un ferroviere arrivò prima a Milano, da dove successivamente raggiunse una famiglia di conoscenti a Lissone, trovando nascondiglio per un mese e mezzo. Quando si decise ad abbandonare il rifugio si vestì come gli operai adetti allo scarico dei pacchi di giornali alle stazioni e con il treno giunse a Treviso.[23] La famiglia e le altre attività[modifica | modifica sorgente] Moro con due dei suoi figli Nel 1944 Giuseppe Moro si fidanzò con Maria Tolot,[24] una ragazza di Vittorio Veneto che lanno venturo divenne sua moglie[25] e dalla quale ebbe tre figli maschi e una femmina. La primogenita Mirella, nacque nel 1946; i figli Alberto e Maurizio, nati rispettivamente nel 1947 e nel 1952, sono stati calciatori a livello dilettantistico. Lultimo figlio Flavio, nacque nel 1967.[5][26][27] Suo cugino, Ruggero Moro, è stato un ciclista professionista tra la fine degli anni 30 e linizio degli anni 40.[28] Trasferitosi a Roma nel 1953, si rovinò la vita, cadendo nelle tentazioni che la città gli offrì. Si comprò una fuoriserie, cominciò a frequentare i night e a giocare a poker, sperperando soldi.[29] A Porta Pia comprò per otto milioni e 500 mila lire un bar, la cui gestione fu fallimentare: trovatosi costretto a lasciarlo in conduzione ad un amministratore, perché rientrato in Veneto, la vigilia di Natale 1956 scoprì che limmobile era stato affittato e poco dopo il locale chiuse per una truffa, portando a Moro un buco complessivo di oltre quindici milioni.[30] Il suo uso poco accorto del denaro lo portò a ritrovarsi, poco dopo il termine della carriera professionistica, con soli cinque o sei milioni di lire e una casa a Treviso, che fu costretto a vendere, dovendo mantenere moglie e figli senza un lavoro. Nello stesso periodo trovò una squadra di terza divisione fuori Treviso dalla quale percepiva 25 mila lire mensili, ricoprendo i ruoli di giocatore (attaccante) e allenatore.[31] Nel 1958 Arturo Silvestri, allenatore del Treviso, gli propose di fare il suo secondo per trenta mila lire mensili, incarico che accettò. Nella stessa stagione 1958-1959 fece anche losservatore per il compaesano Gipo Viani, direttore tecnico del Milan, su concessione del presidente del Treviso Tesser;[32] esperienza che non durò a lungo per alcune incomprensioni sugli acquisti.[33] Nuovamente senza lavoro, si rassegnò a vendere caramelle nei paesini della provincia; in quel periodo giocò anche per il Matteotti, squadra dilettantistica di Ponte di Piave, dove parò lultimo rigore della sua vita.[34] Nel 1960, tramite amicizie, andò a Porto SantElpidio, nelle Marche, per allenare il San Crispino in quarta serie, scendendo in campo in tredici occasioni, percependo cinquanta mila lire mensili. La stagione successiva gli fu raddoppiato lo stipendio.[34] Al termine della seconda annata non fu riconfermato. Quindi nellestate 1962 decise di dare lesame per allenatore al Centro tecnico di Coverciano. Dopo la prova di educazione fisica, passò a quella tecnica, dove trovò Alfredo Foni, suo allenatore alla Sampdoria, mentre allesame di medicina non si fece trovare preparato e fu rimandato. Moro, depresso, in grandi difficoltà economiche, pensò al suicidio: scrisse una lettera ad Aldo Bardelli, confidandogli che voleva spararsi; questultimo gli rispose subito, scongiurandolo di non fare pazzie, promettendogli che avrebbe parlato con il presidente della federazione. Nel frattempo il San Crispino, dopo quindici giorni di sommosse dei tifosi e firme raccolte, decise di reingaggiare Moro per altri due anni; non godendo di ottimi rapporti con giocatori e dirigenti, Moro accettò controvoglia, solo per estrema necessità di denaro.[35] Nellagosto 1964, in preda alla disperazione, si rivolse alla Federazione a Roma e alla stessa AS Roma, in cerca di lavoro, senza fortuna. Il segretario federale Bertoldi, comprendendo le sue difficoltà, gli donò subito cinquanta mila lire, con cui pagò lalbergo[36] e spedì un contributo per la famiglia. Nei giorni successivi la moglie, tramite missiva, lo informò che in Tunisia erano disposti a offrirgli un posto da allenatore; Monaldi, allenatore italiano a Kef, aveva fatto il suo nome. Ricevuta la conferma dalla Tunisia, Moro fece ritorno a casa, grazie ad altri cinquanta mila lire avuti da Bertoldi. Il 28 settembre 1964 si ripresentò da Bertoldi che gli consegnò 75 mila lire e il biglietto per il viaggio aereo.[37] Allenò per un anno la squadra locale di Ebba Ksour, piccolo villaggio di cinque mila abitanti, per 150 dinari al mese, pari a circa 200 mila lire di allora, dovendo soffrire la solitudine. Al secondo anno in Africa passò allOlympique Béja, dove incontrò molti italiani e si trovò meglio. Teneva gli allenamenti della prima squadra e anche delle quattro giovanili, fino ai più piccoli, per un totale di 120 giocatori al suo seguito. Inoltre si occupava anche delle pratiche societarie. Per il suo grande impegno e sacrificio venne apprezzato e seguito da tutti.[38] Nel 1965 fece ritorno in Italia, nelle Marche, riprendendo la professione di rappresentante di dolciumi,[27] mentre in seguito lavorò, insieme alla moglie, anche in uno stabilimento per la produzione di scarpe.[5] Morì il 28 gennaio 1974, a 53 anni, nella sua casa di Porto SantElpidio, a causa di una malattia incurabile di cui soffriva da oltre un anno.[5][39] Una vita disperata[modifica | modifica sorgente] Nellautunno 1965, di ritorno dalla Tunisia, Moro si presentò alla redazione del Corriere dello Sport per incontrare il direttore Antonio Ghirelli, che lo affidò a Mario Pennacchia, il quale accolse il suo sfogo. Per giorni narrò la sua vita e la sua carriera, nel bene e nel male, svelando parecchi particolari scomodi,[40] molti dei quali riguardanti la facilità con cui le partite venivano truccate negli anni Cinquanta. Da questi incontri lo stesso Pennacchia pubblicò conseguentemente un racconto autobiografico in dieci puntate, fra il 16 novembre e il 1° dicembre, dal titolo Una vita disperata, uscito in terza pagina sullo stesso quotidiano, che riscontrò lapprezzamento da parte dei lettori, i quali dimostrarono solidarietà nei confronti dellex portiere;[41] tutte le puntate furono riprese fedelmente e racchiuse nella biografia La vita disperata del portiere Moro, uscita nel 2011. « Giuseppe Moro da dieci ore sta raccontando la sua vita assurda, eroica e disperata e il polso ci duole per lininterrotto, febbrile manoscritto. La commozione e la nausea, lindignazione, lo spasso e la vergogna confluiscono in una sensazione sola: siamo sconvolti.[42] » (Mario Pennacchia, autunno 1965) Caratteristiche tecniche[modifica | modifica sorgente] Moro, in porta per i viola, esegue una parata plastica. Moro è stato uno dei portieri più estrosi e spettacolari della storia del calcio italiano,[5] disponeva di un repertorio inconfondibilmente personale, non ispirandosi a nessun altro collega italiano del passato.[43] Il suo particolare stile coniugava acrobazie e teatralità:[44] nei suoi interventi non si limitava allefficacia del gesto tecnico, ma cercava gli applausi delle platee, anche sulle palle più insidiose.[45][46] Quando i tiri non erano troppo impegnativi, invece, compiva salti vistosi, facendo apparire le sue parate più difficili di quanto non lo fossero realmente.[43] Calma,[47] coraggio,[5] sicurezza,[39] freddezza,[48] intuito,[44] senso di posizione,[6] rapidità di riflesso[49] e il suo formidabile scatto[17] ne facevano un portiere dal talento fuori del comune, che era in grado di salvare la propria porta nelle situazioni peggiori.[6][10][50] Talvolta, fidandosi troppo delle proprie abilità, eccedeva nella sua spavalderia, compiendo errori e sviste clamorose.[5] A tal proposito Silvio Piola, che ebbe modo di sfidarlo in parecchie occasioni, disse di lui «Mi impressiona la sua sicurezza quando sbaglia».[51] Non era portato per le uscite sugli attaccanti lanciati a rete, circostanze in cui frequentemente mostrava indecisione, sbagliando la scelta dei tempi.[52] Le sue prestazioni erano frutto anche di meticolosa applicazione; infatti, studiava approfonditamente gli attaccanti e il loro modo di calciare, prestando attenzione a quale fosse il loro punto preferito della porta dove indirizzare il pallone. Durante un allenamento in Nazionale dimostrò ripetutamente di conoscere le intenzioni di quasi tutti i migliori tiratori, come se fosse lo stesso portiere a «comandare i loro piedi», disse scherzando.[53] Moro aveva un fisico strano; soffriva di unanomalia costituzionale che al minimo graffio o disturbo gli faceva venire la febbre.[54] « Giuseppe Moro rimane un grande artista della porta, un vero e proprio mito. Lho visto giocare poche volte e solo quando era già alla fine. Quando seppi della morte di Moro, mandai a Treviso, in segno di stima e di riconoscenza, la mia maglia della Nazionale. Fu un gesto istintivo, da parte mia, perché nel gennaio del 74 quella era una maglia imbattuta da anni e Giuseppe Moro, che laveva onorata, era degno di indossarla come nessun altro.[55] » (Dino Zoff) La marionetta[modifica | modifica sorgente] Lucca, 24 settembre 1950, Lucchese-Juventus (0-1). Due fermi-immagine dellundicesimo minuto. John Hansen si appresta a battere un calcio di rigore contro il portiere Bepi Moro. Prima che il danese colpisca il pallone, Moro accenna uno spostamento laterale sulla sua sinistra, inducendo lattaccante a scegliere laltro angolo (sopra), dove immediatamente si piomberà, per respingere il tiro (sotto). Non erano rare le occasioni in cui assumeva atteggiamenti stravaganti, sconfinanti, secondo la stampa sportiva, nella follia. Quando decideva di voler umiliare gli attaccanti si esibiva nelle vesti della marionetta[56] (o burattino[6]) — come lo avevano nominato gli stessi giornalisti, notando indifferenza e impassibilità, per i movimenti che eseguiva simulando quelli di un pupazzo — le cui leziose abitudini erano bloccare i tiri violenti con una sola mano ed evitare tutti i tuffi che non fossero indispensabili; altresì, rimaneva spregiatamente fermo, con aria distratta, mentre lavversario si trovava pochi metri di distanza, non muovendosi nemmeno dopo che il tiro era partito se aveva calcolato — ed era bravissimo in questo — che il pallone avrebbe sfiorato il palo. Altre volte, invece, le scene erano opposte: il frenetico ed eccentrico Moro si impegnava nelle più impensabili irrazionalità, la principale delle quali era recuperare il suo berrettino da ciclista che perdeva durante le uscite, dimenticandosi del gioco.[39] I calci di rigore[modifica | modifica sorgente] La caratteristica per la quale divenne famoso era la sua bravura nel parare i rigori. Avvalendosi della sua eccezionale muscolatura e del suo singolare sistema nervoso, riservava situazioni stupefacenti. Moro sosteneva che se i rigoristi segnano, ingannando i portieri con le finte, allora i portieri possono parare se sono loro a ingannare con le finte i rigoristi; e così faceva sul campo, quando si gettava da un lato per ricadere dallaltro.[39] Anche gli specialisti dagli undici metri erano oggetto di studio e preparazione, conoscenza che sfruttava al momento dei tiri. Inoltre, la componente psicologica non era un aspetto secondario: con la sua audace personalità sapeva suggestionare i tiratori dal dischetto e quando ciò non bastava cercava di distrarli, attraverso atteggiamenti provocatori, facendoli innervosire e inducendoli a sbagliare.[57] Riguardo questo, secondo quanto affermato dal portiere trevigiano, «in Italia si era diffusa una sorta di psicosi che finì per favorirlo, a volte in modo decisivo». A suo dire «per avere molte probabilità di neutralizzare un rigore bisogna innanzitutto conoscere a fondo le caratteristiche del giocatore chiamato a batterlo, saperne la base tecnica e conoscerne gli spostamenti del tronco e delle gambe. Poi occorrono intuizione e uno scatto tremendo da fermo».[58] Carriera[modifica | modifica sorgente] Club[modifica | modifica sorgente] Le giovanili (1933-1937)[modifica | modifica sorgente] Nelle partitelle tra amici dinfanzia Moro, non particolarmente dotato con i piedi, si trovava sempre in porta, perché costretto dai compagni.[59] Resosi conto dei suoi limiti e non essendo portato per nessun altro ruolo, decise quindi di fare il portiere.[60] Alletà di dodici anni cominciò a giocare nel Fortitudo, una squadra di Treviso, che chiedeva ai propri giovani calciatori una quota di una lira a settimana, regolarmente pagata dal nonno.[61] Una volta arrivato al Treviso, dopo qualche anno in cui militò nelle giovanili, fece il debutto in prima squadra nel 1937, a soli sedici anni, nella partita Treviso Riserve-Arsa (5-1) di Prima Divisione, gara in cui fu anche promosso capitano.[62] Gli anni al Treviso, le parentesi a Padova, Alessandria e Venezia (1938-1947)[modifica | modifica sorgente] Il diciannovenne Giuseppe Moro difende i pali del Treviso (1940). Nella stagione 1938-1939, arrivato nella squadra maggiore,[39] nonostante le poche presenze, fu uno dei migliori giovani portieri del campionato di Divisione Nazionale.[63] Nellagosto 1941 Moro, senza apporre nessuna firma, venne ceduto, in cambio di tre calciatori[64] e un conguaglio di trenta mila lire, al Padova che, trovandosi in abbondanza di portieri, lo rigirò in prestito alla squadra trevigiana.[17][19][65] Mentre si trovava ad Alessandria per ragioni militari, con la squadra locale disputò il suo primo campionato di Serie B: fu unesperienza breve, terminata con lo spostamento impostogli in Sicilia.[22] Fece il suo debutto in Coppa Italia il 20 settembre 1942 nei sedicesimi di finale Modena-Alessandria (2-0), mentre esordì in Serie B il 4 ottobre nell1-1 sempre contro il Modena, gara in cui si mise in luce per diversi salvataggi.[66] Di seguito, nelle restanti undici gare, fu protagonista, parando tre rigori.[20] Nel 1944, durante il pieno svolgimento della guerra, non essendo vincolato a nessuna squadra per sua scelta, ritornò a giocare con il Treviso il campionato dellItalia Settentrionale, che per i veneti terminò anzitempo a seguito del bombardamento di Venerdì Santo 7 aprile.[67] La devastazione del capoluogo trevigiano rese impossibile praticare ogni tipo di sport e quindi Moro si spostò a Venezia per giocare con i neroverdi alcune partite amichevoli, tra le quali la Coppa Petron[68] contro il Padova.[69] Nella stagione 1945-1946, con la ripresa effettiva dei campionati, Moro tornò a Treviso e in tutte le gare casalinghe fu battuto solamente due volte, in entrambe le occasioni da autoreti dei suoi compagni.[69] Al termine del campionato era intenzionato a lasciare il Treviso, tra il dispiacere della società e dei tifosi. Tuttavia, avendo personalmente falsificato alcuni documenti societari per suoi capricci, fu costretto a rimanere con i trevigiani per unaltra stagione, accordandosi per 250 mila lire totali, in cambio del silenzio dei dirigenti.[70] Fu questo il primo contratto della sua carriera.[71] I rapporti non idilliaci con il Treviso si ruppero definitivamente il 6 aprile 1947, quando si giocò Treviso-Lucchese (1-2). Pochi giorni prima uno zio di Mario Barluzzi informò Moro circa linteressamento della Lucchese nei suoi confronti e la sera della vigilia lo presentò ad Aldo Olivieri, allenatore della squadra toscana; questi manifestò il suo apprezzamento per il portiere veneto e gli confidò di averlo voluto in squadra lanno venturo; Moro rispose che sarebbe stato di suo gradimento il trasferimento, anche perché la Lucchese, prima in classifica, era fortemente indiziata a giocare in Serie A la stagione successiva ed ebbe la promessa di un premio di cento mila lire, dietro assicurazione — da lui stesso ribattezzato «acconto del disonore» — che sarebbe andato a giocare a Lucca. I suoi compagni seppero immediatamente del colloquio — Moro non riuscì mai a spiegarsi come e da chi — così lo stesso 5 aprile si sparse la voce che Moro si era venduto la partita del giorno dopo. La sconfitta casalinga del Treviso, che era imbattuto nel proprio campo da quasi sei anni, secondo lo stesso Moro fu lepisodio dal quale iniziò la sua fama di giocatore corrotto che lo accompagnò per tutta la sua vita.[72] Lesordio in A con la Fiorentina (1947-1948)[modifica | modifica sorgente] Moro con la divisa della Fiorentina La Lucchese, con cui era in parola, non si fece più viva; Moro ebbe quindi dal Treviso il nulla osta per cercarsi una squadra, purché fosse disposta a sborsare sei milioni di lire.[73] Un giorno venne a Treviso Duilio Rallo per definire la pratica del passaggio, avvenuto lanno precedente, di Raoul Bortoletto dai biancocelesti alla Fiorentina. Rallo convinse anche il portiere: a metà luglio 1947 i due partirono per Milano, dove Moro si accordò con il presidente Ardelio Allori per un ingaggio di due milioni, oltre ai sei pattuiti con la società trevigiana.[73][74] La falsa trattativa con lArsenal Moro veniva definito e si definiva matto, per i suoi atteggiamenti nel terreno di gioco,[6][75] ma anche per i comportamenti al di fuori del campo. Nel marzo 1948 ebbe la trovata di presentarsi in una redazione di un giornale, dicendo che avrebbe lasciato a breve la Fiorentina. Aveva ricevuto unofferta molto vantaggiosa dallArsenal, alla quale non avrebbe rinunciato: questo fu quello che affermò ai giornalisti, i quali non esitarono a pubblicare la notizia, che ebbe eco anche fuori dallItalia. Il giorno seguente tutti sapevano del suo trasferimento a Londra e la sede della società viola venne assalita, tra lo stupore di un Ugolini alloscuro dei fatti, per avere informazioni in merito alla cessione del portiere. Poi si scoprì che era uno scherzo, che Moro ingegnò per prendersi gioco dei giornalisti, per il quale fu punito dalla società con tre settimane in panchina.[43] Con i suoi nuovi compagni e con lallenatore Ferrero ebbe subito ottimi rapporti, invece non entrò nelle simpatie del direttore sportivo Ugolini.[73] Lesordio con i viola, il 14 settembre in Fiorentina-Roma 1-0, coincise con il debutto assoluto in Serie A, in cui fu determinante ai fini della vittoria.[76] Moro apparì subito un acquisto indovinato,[77] spesso figurando il migliore in campo[78][79][80][81] e colpendo per il suo stile esteticamente piacevole;[45] una delle rivelazioni del campionato[82] e uno dei migliori portieri in assoluto della A,[83] al punto di entrare nel giro della Nazionale a dicembre.[84] Nella seconda parte della stagione, pur continuando a fornire prestazioni molto pregevoli, alle volte superlative,[85][86][87][88] Moro mostrò in alcune circostanze la sua propensione verso inspiegabili amnesie e incertezze,[89][90] che costarono punti alla sua squadra. Il 6 giugno 1948, allorché la Fiorentina perse in casa 4-2 contro la Juventus, fu autore di una papera inverosimile: su un colpo di testa di Kincses bloccò agevolmente la palla, per poi lasciarsela sfuggire dentro la propria porta.[91][92] Moro, insultato in occasione del primo gol bianconero da Ugolini, che era appostato dietro la porta, dichiarò di aver volutamente scagliato il pallone in rete pochi minuti dopo, ancora irritato dalle insolenze ricevute. La società lo mise fuori rosa e gli comminò una multa di trenta mila lire per il suo evidente calo di forma e il suo comportamento, ritenuto sospetto.[93] Il procedimento, giudicato eccessivo dai quotidiani, per il quale il portiere presentò ricorso alla Federazione,[94] durò una sola settimana e Moro rientrò tra i pali il 20 giugno nella partita Lazio-Fiorentina 5-0, palesando deconcentrazione e una pessima condizione, manifestatesi in interventi goffi.[95][96][97] A stagione conclusa, nonostante lincompatibilità con Ugolini, la società gli allungò il contratto di un anno, per la somma di un milione e 350 mila lire. I rapporti erano sempre tesi e, nonostante la conferma, la Fiorentina tentò di sostituirlo, cercando di trarne vantaggio economico. Una volta saputa la possibilità di uno scambio con Leonardo Costagliola, a pochi giorni dallinizio del nuovo campionato,[98] Moro si trasferì al Bari per lingaggio di un milione e 600 mila lire promessogli per la stagione 1948-49.[99] Laffermazione a Bari (1948-1949)[modifica | modifica sorgente] Firenze, 30 gennaio 1949. I portieri Costagliola e Moro, protagonisti di uno scambio di calciomercato pochi mesi prima, si ritrovano in campo. Con i pugliesi, Moro terminò il campionato al terzultimo posto, dando un contributo fondamentale alla salvezza della squadra,[100] attraverso numerose prestazioni esemplari, apprezzate dal pubblico e omaggiate altresì dalle ovazioni dei sostenitori delle squadre avversarie.[101][102] Nelle 36 partite disputate, con 47 reti al passivo, non mancarono le indecisioni e gli svarioni, comera sua consuetudine.[48][103][104] Mise subito in mostra la sua dote di pararigori, neutralizzandone tre consecutivi nelle prime tre giornate. Fece il suo esordio con la squadra gigliata al primo turno di campionato, il 19 settembre 1948, nella gara Bari-Milan (0-2), in cui ben figurò, non solamente per aver parato un rigore calciato da Annovazzi.[105] A distanza di sette giorni il copione fu lo stesso: Bari battuto nuovamente, a Genova contro la Sampdoria, e una gara da protagonista per il portiere veneto, che chiuse la sua ottima partita negando la rete dagli undici metri a Giuseppe Baldini, sulla cui violenta esecuzione riuscì a deviare in angolo grazie ad un volo formidabile.[106] Infine, completò la serie il 3 ottobre, quando nemmeno Blason riuscì a trasformare il penalty in Triestina-Bari (2-0).[7] Trieste, 3 ottobre 1948 Moro, Cavone, Lucchi (Triestina-Bari 3 ottobre 1948).jpg Triestina e Bari chiudono il primo tempo sullo 0-0. Moro (a sinistra), festeggiato dai compagni Sabino Cavone e Renato Lucchi, ha appena parato un rigore a Ivano Blason, il terzo consecutivo nelle prime tre giornate di campionato. Il 3 aprile 1949 disputò una gara memorabile nella vittoria per 2-1 contro la Juventus, al punto che la stampa sportiva lo decretava superiore al suo rivale Sentimenti IV, allora in forza proprio ai bianconeri. Furono due gli interventi considerevoli; il primo quando sventò un calcio di punizione di Rava indirizzato nellangolo basso con un volo che, secondo Giuseppe Melillo, «di umano aveva ben poco» e con un notevole scatto di reni, guadagnandosi due minuti di incessanti applausi dal pubblico, che aveva in un primo momento avuto la percezione del gol; il secondo, a pochi minuti dalla fine, quando respinse in tuffo un rigore molto teso, calciato sempre da Rava.[107] Nel turno successivo, nonostante avesse la febbre a 39, scese in campo e fu decisivo nello 0-0 contro il Modena, parando un rigore a Maino Neri.[108] Nel finale di campionato fece unaltra ottima partita contro il Grande Torino, il 24 aprile a Bari, opponendosi da solo agli attacchi dei granata, che non andarono oltre l1-1, pochi giorni prima della tragedia di Superga;[109] per la sua prova lodevole fu scelto a difendere i pali del Torino Simbolo, la selezione dei migliori calciatori del campionato italiano, nella sfida commemorativa del 26 maggio contro il River Plate.[110] Linteresse da parte delle società sul portiere trevigiano aumentava sempre più, anche grazie alle sue prime due pregevoli apparizioni in Nazionale.[111] A partire dal mese di maggio Moro fu oggetto di unasta, tra Lazio, Roma e Torino — le cui quotazioni, inizialmente fissate a 30 milioni di lire,[112] salirono fino a superare i 50 milioni — conclusasi il 25 giugno, giorno in cui il presidente granata Novo, seguendo i consigli del direttore tecnico Copernico,[113] si accordò con il collega Annoscia sulla cifra complessiva di 53 milioni,[114][115] un sacrificio finanziario che non aveva precedenti nel calcio italiano,[116] sul quale la stampa espresse indignazione e disgusto.[117] Al Torino per il dopo Superga (1949-1950)[modifica | modifica sorgente] Venezia, 11 settembre 1949, Venezia-Torino (0-1). Giuseppe Moro respinge un rigore calciato da Pietro Degano. Delle tre possibilità presentategli, lopzione granata era la meno desiderata da Moro, perché era chiamato a prendere il posto del compianto Valerio Bacigalupo nella stagione post-Superga, compito per il quale non si riteneva allaltezza.[118] Esordì il 3 luglio 1949 a Barcellona, nella finale per il 3° posto della Coppa Latina Torino-Stade de Reims (5-3), disputando una buona gara, nonostante le tre reti subite.[119] Di ritorno dalla Spagna, appena integrato in squadra, ebbe modo di creare attriti con Copernico e lallenatore Bigogno per futili motivi.[120] Lingaggio di Moro, che pretendeva dieci milioni,[121] fu definito solamente pochi giorni prima dellinizio del campionato: quattro milioni e mezzo.[122] Linizio di stagione, simile a quello dellannata precedente a Bari, fu caratterizzato dalla parata di due penalty consecutivi nelle prime due partite. L11 settembre 1949 il Torino vinse di misura per 1-0 contro il Venezia, allo Stadio SantElena, grazie anche al rigore che Moro respinse a Pietro Degano, il quale fu messo in imbarazzo dalla pantomima del portiere: Moro cominciò buttando via il berretto; poi, appoggiato a un palo, si sfregò accuratamente le scarpe sul terreno; infine, eseguì gesti propiziatori con le dita rivolte al pallone, scandendo parole poco comprensibili. Il suo intervento fu molto difficile, nonostante il tiro dellattaccante fosse centrale; infatti, essendo scattato alla sua sinistra, Moro, dovette sfruttare a pieno i suoi riflessi e il suo colpo di reni per bloccare lo scatto, piegarsi sulla destra e, aiutandosi con la mano e il piede, sventare il pericolo. Nella gara successiva, Torino-Novara (5-1), Piola si presentò dal dischetto e riuscì a spiazzare Moro grazie ad una finta, ma questultimo, alzando istintivamente la gamba, deviò il tiro con il ginocchio. Nei giorni seguenti alla gara contro il Novara, Moro, seduto ad un tavolino del Bar Vittoria,[123] bloccò la circolazione di via Roma, nel centro di Torino, tale fu la partecipazione dei torinesi. Si discuteva di rigori parati e se fossero merito dei portieri o demerito dei tiratori: a tal proposito il trevigiano disse quanto segue.[7][124] Un allenamento di Bepi Moro a Torino. « Quando tirano dal dischetto degli undici metri sono molto più tranquillo io che non il rigorista, tanto è vero che in due stagioni ho neutralizzato sette penalty su nove e un decimo lho visto volare sopra la traversa » (Giuseppe Moro, settembre 1949) Secondo i racconti del portiere, avvenuti a distanza di tanti anni, fu accusato dai dirigenti granata di essersi venduto due partite. La prima delle quali il 30 ottobre 1949, Roma-Torino (3-1). In quel periodo Moro si svegliava spesso la mattina presto, perché gli era difficile dormire prolungatamente durante la notte; così quella domenica, levatosi alle sei, andò a fare una passeggiata, non volendo disturbare i compagni di stanza Santos e Nay, i quali invece informarono il presidente Novo della fuga di Moro. Lesito negativo della gara e un suo errore, derivato dalla sua voglia di strafare su una palla rischiosa, che originò uno dei gol, indussero Novo a pensare che il suo portiere fosse andato a trattare la vendita dellincontro.[54][125] Il 19 febbraio 1950, quando il Torino perse 6-1 a Busto Arsizio, contro la Pro Patria, fu Copernico a colpevolizzarlo. Al quarto minuto, con già due gol al passivo, fu offeso dal direttore tecnico, collocato dietro la porta, esattamente come avvenne due anni prima con Ugolini a Firenze. Si vendicò a modo suo, smettendo completamente di giocare e prendendo altre quattro reti, anche banali e secondo la stampa sportiva in maniera incomprensibile.[126][127][128] Moro rivelò di avere ricevuto due offerte per vendersi la partita Bari-Torino, allandata e al ritorno. Prima della gara del 13 novembre venne a trovarlo un amico che aveva conosciuto a Bari lannata precedente, proponendogli 600 mila lire per aggiustare lincontro a favore dei pugliesi. Moro rifiutò e il Torino vinse 5-1. Il 23 marzo, tre giorni prima della gara di ritorno, la cifra aumentò, arrivando a un assegno pari a un milione di lire. Moro, ancora molto legato a Bari, si lasciò tentare e si fece consegnare il denaro. La domenica mattina però ci ripensò; andò da Copernico, chiedendo di essere tolto dalla formazione per ragioni affettive, evitando che, in caso di prova negativa, potessero nascere sospetti. La richiesta fu accolta e senza Moro il Torino pareggiò 1-1. Moro poi restituì i soldi.[129] Inoltre, sempre nel periodo di permanenza a Torino, gli fu affidato il compito di rintracciare un giocatore del Como che abitava a Torino per offrirgli un premio perché perdessero con il Bari nella sfida del 21 maggio 1950. Ci fu una vera e propria trattativa, progettata da altri e conclusa da Moro, che concretizzò laffare. Moro affermò di avere preparato una cresta da un milione e mezzo di lire, imbrogliando anche il giocatore. Laffare non si concretizzò, visto che il Bari, andato in vantaggio, perse per 4-1.[130] Roma, 14 maggio 1950, Lazio-Torino (2-2). Moro risolve una mischia. La stagione fu segnata da continui alti e bassi; tra febbraio e aprile ebbe il periodo più opaco,[131] perdendo anche il posto di titolare in Nazionale, a favore di Sentimenti IV,[132] con cui cera unaccesa rivalità.[133] Il 19 marzo nel derby della mole commise diversi errori da principiante, risultando suo malgrado il responsabile della sconfitta per 4-3. Quando Muccinelli depositò in rete nei primi minuti, deviando un tiro di Præst indirizzato fuori dallo specchio della porta, Moro, fece da spettatore, sicuro che avrebbe rimesso dal fondo. La sua complicità fu decisiva nel terzo gol bianconero, quando bloccò un tiro di Boniperti con una sola mano, per poi buttarlo dentro la propria porta con laltra. La serie di interventi infelici, comprendente anche un paio di uscite sbagliate e rimediate solo grazie allapporto dei difensori, terminò al 67, allorché un tiro svirgolato, senza pretese, di un Boniperti che scivolava, passando tra le gambe del portiere, mentre questi, anziché tentare la presa, lo fissava immobile, oltrepassò la linea di porta.[134] Al termine del campionato, concluso con un sesto posto, Novo radunò tutti i suoi calciatori, per salutarli e ringraziarli; Moro — le cui brillanti prestazioni nel mese di maggio[135] gli consentirono di mantenere uno dei tre posti per i mondiali in Brasile —, a differenza dei compagni, non ricevette un trattamento benevolo, come regolarmente avvenne nel corso della stagione: fu aspramente criticato, reo, secondo le convinzioni del presidente, di aver rovinato la società. Fu deciso quindi di metterlo in vendita.[136] Lucchese (1950-1951)[modifica | modifica sorgente] Di ritorno dal Brasile Moro cercò di accordarsi con la Juventus, trovandosi di prima persona con il presidente Gianni Agnelli, il quale però non era intenzionato a spendere i 15 milioni che il Torino chiedeva.[137][138] Lasciatosi alle spalle lidea bianconera, per il portiere veneto, dopo gli interessamenti non troppo convinti di Genoa[139] e Milan,[140] ci fu unazione seria da parte del Palermo. Consapevole di essere già stato ceduto alla società siciliana, Moro, ricevute le disposizioni da Novo, si trovò a Vicenza con il Principe Raimondo Lanza di Trabia e con il suo compaesano Gipo Viani, rispettivamente presidente e allenatore dei rosanero; poi si spostarono a Venezia, dove discussero e trovarono lintesa, tralasciando solo alcuni dettagli da definire il giorno seguente, allorquando Viani raggiunse Moro a Treviso, comunicandogli però che nel frattempo Novo lo aveva venduto alla Lucchese.[141] Era il 13 agosto 1950.[142] Otto milioni al Torino[143] e cinque milioni di ingaggio al calciatore.[144] Firenze, 1° ottobre 1950, Fiorentina-Lucchese (3-1). Moro (Lucchese) in tuffo. La difesa della Lucchese, considerata una delle migliori del campionato,[145] si rinforzò significativamente, avendo in Moro il punto di forza,[146] il cui apporto risultò fondamentale per la permanenza in Serie A della squadra.[147] Linizio di stagione del trevigiano fu contrassegnato da partite di pregevole livello, con un rigore parato al danese John Hansen; malgrado ciò la Lucchese collezionò un solo punto in tre gare, per le sconfitte con Genoa[146] e Juventus[148] e un pareggio con la Pro Patria.[149] La sua serie di prestazioni positive terminò presto; infatti il 1° ottobre 1950, nella quarta giornata Fiorentina-Lucchese (3-1), causa due grandi sviste, fu responsabile della sconfitta.[150] Lestremo difensore tornò in forma nei mesi di novembre e dicembre;[151] il 26 novembre, nella partita Lucchese-Torino (2-0) si segnalò per una parata da fuoriclasse: al 35 del primo tempo un veloce contropiede granata mise in seria difficoltà la difesa rossonera; Moro, nel tentativo di liberare in extremis, uscì di porta, mentre Antonio Giammarinaro, precedendolo, servì laccorrente Carapellese che indirizzò molto preciso e angolato nello porta, rimasta scoperta. Dalla distanza di circa cinque metri Moro arrestò la sua corsa e si tuffò allindietro, con uno slancio tale che lo fece sbattere contro la base del montante, riuscendo a deviare in angolo.[47][152] Nella seconda parte di stagione commise altri errori decisivi nella sconfitta contro il Bologna, quando fu complice in entrambe le reti dei rossoblu,[153] nel 5-1 subito dal Milan, palesando uno stato confusionale, [154] e nella rete presa contro il Napoli.[155] Complessivamente la stampa giudicava comunque più che positiva la stagione di Moro e della retroguardia lucchese in generale.[156] Moro asserì di essere stato direttamente coinvolto in due tentativi, distinti, di combinare la partita Roma-Lucchese del 29 aprile 1951, rifiutandosi in entrambe le occasioni: nel primo episodio, verificatosi circa due settimane prima della data dellincontro, gli venne avanzata da un compagno la possibilità di guadagnare la somma di cinque milioni di lire, pari al suo stipendio annuale; il secondo frangente, compiutosi il giorno precedente alla partenza della squadra per Roma, riguardava invece favori sessuali che alcuni calciatori ricevettero, fatto denunciato dallo stesso Moro e dal compagno Bortoletto.[157] Sampdoria (1951-1953)[modifica | modifica sorgente] Come accaduto lestate precedente, Moro cercò nuovamente di trovare unintesa con lavvocato Agnelli, andando a Torino sin dalla fine di maggio, mentre la sua squadra cercava gli ultimi punti per la salvezza, e svolgendo anche degli allenamenti con la Juventus.[158] Le trattative con la società bianconera durarono una ventina di giorni, finché il 22 giugno 1951 venne ufficializzato il suo passaggio alla Sampdoria,[159] che pagò 20 milioni alla Lucchese, garantendone quattro e mezzo come ingaggio annuale al calciatore.[160] Le polemiche con Sárosi Moro conosceva lastuzia di György Sárosi, con il quale ebbe modo di polemizzare e litigare già ai tempi del Bari e della Lucchese, quando era suo allenatore. Il 23 novembre 1952, prima della partita Juventus-Sampdoria, Moro fece notare al direttore di gara Jonni che il pallone con cui si doveva iniziare a giocare era irregolare e quindi lo stesso arbitro lo fece prontamente sostituire con uno regolamentare. Il portiere blucerchiato sapeva che la Juventus giocava con un pallone più piccolo per trarre ulteriore vantaggio dalla superiorità tecnica dei suoi giocatori. Successivamente, Præst, alla battuta di un calcio dangolo, mostrò il pallone sgonfio allarbitro, ottenendo il cambio del pallone. Moro scatenò una rissa, sostenendo animosamente che il pallone era stato bucato volontariamente dallallenatore dei bianconeri, il quale preferiva quello usato nel prepartita. Le proteste di Moro – che per loccasione fu anche deriso dai giornali – e dei suoi compagni furono inutili. Solamente dopo, unindagine portò alla conclusione di Moro.[75][161][162] Il 9 settembre 1951 Moro fece lesordio con i blucerchiati nel 4-0 interno contro la Lazio. Nella prima parte di stagione alternò diverse ottime prestazioni[163][164] a partite in cui i suoi errori costarono la sconfitta alla squadra: su tutte, le più negative furono Milan-Sampdoria (2-1)[165] e Atalanta-Sampdoria (2-1).[166] Nei mesi successivi continuò il suo stato di forma,[167] al punto di essere considerato il migliore portiere italiano;[168] fece anche ritorno stabile in Nazionale, da cui da cui mancava dai mondiali brasiliani. Il 3 febbraio 1952 allo Stadio Nazionale, con il risultato fermo sullo 0-0, la Lazio ebbe la possibilità di sbloccare la partita con un tiro dal dischetto di cui si incaricò il turco Şükrü Gülesin. Moro, percependo la rabbia dellattaccante, cominciò una sceneggiata: buttò i guanti in fondo alla rete e poi li riprese, poi buttò il berrettino e fece lo stesso, mentre Şükrü scalpitava e si innervosiva; per tre o quattro volte Moro fece finta di essere pronto e poi gli girò le spalle; quando anche larbitro Carpani non ne poteva più, gli impose di stare in porta, Şükrü prese una rincorsa di una decina di metri e scagliò il pallone altissimo.[169] Da quel giorno per il turco iniziò un vistoso calo di rendimento, dal quale non riuscì più a riprendersi.[6] Il 20 aprile 1952 nella gara Sampdoria-Bologna (2-1), a undici minuti dallo scadere, venne concesso un calcio di rigore ai rossoblu, i quali potevano quindi pareggiare.[170] Nessuno voleva assumersi la responsabilità di sfidare Moro dagli undici metri, nemmeno lo specialista Gino Cappello, e quindi si misero a fare la conta. Lincombenza toccò a Ballacci che calciò abbondantemente fuori, mentre Moro non si era nemmeno mosso.[6] In questultima gara Moro confessò di aver percepito il suo primo premio illecito — promessogli per vincere la partita — corrispondente a 60 mila lire, recapitategli per conto di una squadra impegnata nella lotta salvezza, diretta concorrente della società rossoblu.[171] Pochi giorni prima della partita Sampdoria-Lucchese (1-1) dell11 maggio 1952, Moro fu raggiunto da un suo amico, conosciuto la stagione precedente a Lucca, che gli chiese di aiutare la società toscana, in forte difficoltà. Il portiere veneto, a sette giorni esatti dallimpegno azzurro contro lInghilterra, declinò ogni proposta, non volendo rischiare nulla.[160] Un altro episodio dillecito, durante il periodo blucerchiato, narrato da Moro è quello consumatosi nel quartultimo turno di campionato, Padova-Sampdoria (2-1) del 1° giugno. Qualche sera prima della partita, mentre Moro si trovava a Treviso da giorni, si presentò a casa sua un amico che lo convinse ad andare a una riunione in un ristorante della zona, dove lo attendevano alcuni padovani. Essi chiesero al portiere di favorire i loro prossimi avversari, offrendo la somma di mezzo milione di lire per ognuno dei cinque sampdoriani che si sarebbero resi complici, quattro dei quali a scelta dello stesso Moro. Tornato a Genova, Moro coinvolse quattro compagni, che vollero come pegno quattro assegni da duecento mila lire, prontamente consegnati dallo stesso portiere. Sempre seguendo il racconto di Moro, egli disputò unottima partita e fu insultato dai suoi quattro compagni per aver parato anche un rigore; la sua prova non fu comunque sufficiente ad evitare la sconfitta e il Padova vinse per 2-1. In passivo di 800 mila lire, si ripresentò dai padovani, i quali prima si opposero duramente e poi diedero solamente due milioni di lire a Moro, sotto la minaccia che questultimo avrebbe fatto uscire i loro nomi. Un altro milione dovette darlo allamico, tornando a Genova con solo un milione che tuttavia riuscì a conservare, convincendo i suoi compagni che si accontentarono delle duecento mila lire già avute.[172] Per la penultima gara Udinese-Sampdoria venne a sapere che cerano dei premi da mezzo milione di lire che alcune società avrebbero elargito qualora i blucerchiati avessero battuto i friulani, impegnati nella lotta per non retrocedere. I compagni di Moro rifiutarono, ma fu ricompensato di cento mila lire, nonostante la vittoria dei bianconeri per 2-0, per evitare che potesse parlare.[173] Genova, 5 aprile 1953, Sampdoria-Pro Patria (1-0). Moro in una curiosa, ma non rara, situazione: mentre si svolge una pericolosa mischia davanti alla sua porta, si preoccupa di recuperare il cappellino che ha appena perso. La stagione per la Sampdoria si concluse con un settimo posto in campionato e Moro disputò tutte le 34 partite. Nella seconda stagione doriana Moro raggiunse un livello notevole di classe e di forma, meravigliando ripetutamente il pubblico,[53][174][175][176] primeggiando nonostante la concorrenza di molti validi portieri, quali Giorgio Ghezzi (Inter), Giovanni Viola (Juventus), Lorenzo Buffon (Milan), Giuseppe Casari (Napoli), Costagliola (Fiorentina), Ottavio Bugatti (SPAL), Sentimenti IV (Lazio).[177] Tra le tante partite, memorabile, fu Sampdoria-Napoli (0-0) del 21 settembre 1952: in quella gara, la seconda del campionato, Moro compì diverse parate in situazioni compromesse, annullando il centravanti svedese Hasse Jeppson, che il Napoli aveva appena acquistato per la cifra record di 105 milioni, tra lo stupore degli spettatori che lo omaggiarono abbondantemente al termine dellincontro.[178] Moro fu incaricato di addomesticare la partita Sampdoria-Milan (2-1) del febbraio 1953: doveva fare perdere il Milan, avendo a sua disposizione un milione e mezzo di lire. Nessuno dei suoi amici rossoneri volle collaborare, ma assicurò comunque che la combine era fatta. Nonostante la sconfitta del Milan, al momento di riscuotere il denaro concordato, gli fu contestato il fatto che gli avversari ce lavevano messa tutta e quindi non ebbe nulla.[179] Il 3 maggio 1953 nella gara Sampdoria-Udinese, si rese protagonista di una stravaganza, trasformatasi in prodezza, inventandosi attaccante. A pochi minuti dallo scadere, con lUdinese avanti per 1-0, stanco della sterilità offensiva dei suoi compagni, anziché battere la rimessa da fondo campo, chiamò a gran voce il centravanti Alberto Galassi, per dargli la sua maglia nera da portiere e indossare la numero 9, posizionandosi ala destra; subito dopo fu proprio Moro a propiziare, con unazione personale, la rete del pareggio di Oliviero Conti.[180][181] Tra le tante rivelazioni di Moro cè anche un premio girato agli avversari. Il 31 maggio 1953, allultima giornata, fu promesso ai sampdoriani un premio salvezza, i quali di loro iniziativa lo proposero ai loro avversari del Palermo, affinché li lasciassero vincere. Terminò 4-1 per la Sampdoria che evitò il rischio della Serie B.[182] Come avvenuto nella stagione precedente, non mancò a nessuna delle 38 gare di campionato. Roma (1953-1955)[modifica | modifica sorgente] Roma, 27 settembre 1953. Roma-Udinese 3-0. Giuseppe Moro neutralizza un rigore di Johannes Pløger. A fine giugno 1953 il 32enne Moro passò alla Roma per 40 milioni di lire, trovando un accordo con la società capitolina per un contratto biennale da nove milioni complessivi.[183][184] Appena arrivato, partì con i nuovi compagni per il Venezuela dove disputarono una breve tournée contro Corinthians, Caracas e Barcellona.[185] Moro, già conosciuto in Sudamerica per aver partecipato ai mondiali brasiliani, fu molto apprezzato, aumentando la sua popolarità grazie anche a queste partite.[186][187] Ottimo fu il suo inizio del campionato: parò un rigore a Pløger (Udinese) e uno a Busnelli (Spal), fornì prestazioni di spessore; la retroguardia romanista appariva molto più sicura;[188][189] era nuovamente il miglior portiere del campionato.[190] Il 7 febbraio 1954, in Roma-Fiorentina (1-2), disputò la sua 108esima partita consecutiva di campionato.[191] Quel giorno – dopo diverse partite opache in cui dimostrò la sua incertezza e inaffidabilità con i suoi atteggiamenti spavaldi e troppo confidenziali, che costarono punti alla squadra[192][193] – la serie si interruppe, perché lallenatore Carver decise di metterlo fuori squadra, preferendogli il giovane Albani;[194] fu esplicitamente accusato di essersi venduto la partita.[195] La stessa notte di Roma-Fiorentina, mentre era a letto, gli fu rubata lAlfa 1900 che aveva appena comprato; svegliato da una telefonata, si mise alla ricerca con un amico a bordo di unaltra vettura, riuscendo anche a trovarla, ma il tentativo di inseguimento dei due ladri fu vano.[195][196] Demoralizzato dalla sua esclusione per sette partite consecutive,[197] valutò anche la possibilità di ritirarsi dal calcio professionistico per passare al Chinotto Neri, squadra romana di categorie inferiori, potendosi anche occupare del bar che aveva aperto a Roma.[198] Moro rivelò che in realtà non si trattò di unesclusione così prolungata, ma di un suo rifiuto di giocare, perché affranto da diverse delusioni, tra le quali anche il furto dellautomobile.[195] Giuseppe Moro fu tirato in ballo nel tentativo di truccare lincontro Roma-Juventus (1-1) del 25 aprile 1954. Prima della partita la classifica vedeva i bianconeri al comando con 41 punti, seguita da Inter e Fiorentina a quota 40. Con un successo la Juventus avrebbe potuto allungare, poiché i nerazzurri avevano una trasferta difficile a Udine; occasione ideale per una frode sportiva. Pochi giorni prima che i bianconeri partissero un certo signor Bianchi si presentò a Gianni Agnelli come il cognato di Moro, dicendo che il portiere aveva urgente bisogno di denaro per coprire le spese del bar che aveva appena avviato. Assicurò che per un milione e 250 mila lire il portiere veneto avrebbe cercato di favorire gli avversari. Al momento della proposta era presente, invitato in qualità di testimone, il signor Zambelli, membro della Lega. Agnelli, che precedentemente si era finto interessato allinterlocutore, si affrettò a denunciare il fatto alla Lega e alla Roma. La domenica, negli spogliatoi della Roma, poco prima del calcio dinizio, entrò improvvisamente il presidente Sacerdoti, esprimendosi così ai suoi giocatori: Giuseppe Moro durante un allenamento allo Stadio Torino nellinverno 1953. « Ragazzi, io vi dico una cosa sola: tra di voi cè un traditore. Uno di voi ha cercato di vendere la partita alla Juventus. Ma badate: in tribuna ci sono tutti i maggiori dirigenti federali. Perciò state attenti a quello che fate! » Moro giocò la partita in modo da annullare ogni sospetto, risultando tra i migliori in campo. Nei giorni seguenti Sacerdoti radunò tutti a casa sua, rivelando che lindiziato era proprio Moro, tra lo stupore del diretto interessato. Dopo alcuni mesi e approfondite indagini, la vicenda fu archiviata dalla Lega, non ritenendo colpevole nessun tesserato, attribuendo la responsabilità dellaccaduto a elementi estranei che non agivano per conto di società. Moro rivelò in seguito di ricordarsi che durante quella settimana, sia lui in ritiro, sia la moglie a casa, ricevettero diverse strane telefonate, alle quali non diede importanza, da parte del segretario della Lega Pierangeli, che chiedeva loro: «Moro, cè un tuo cognato che vuole un biglietto per la partita. Debbo darglielo?» Solamente dopo comprese che era sotto controllo.[199][200][201] Moro confessò di aver ricevuto due offerte per vendersi i due derby Roma-Lazio della stagione 1953-1954, rispettivamente per un milione e mezzo di lire e due milioni; senza intascare nulla perché in entrambe le occasioni la Lazio non vinse. Allandata fu ricompensato comunque di cento mila lire, a suo dire perché temevano che potesse aprire bocca. Analogamente, fallì il tentativo di truccare Roma-Sampdoria (3-1) del 2 maggio 1954, avanzato da due calciatori sampdoriani che gli avevano fatto visita.[182] Moro non godeva più della fiducia della società e quindi cercava unaltra sistemazione. Secondo i suoi racconti la Lazio era disposta ad ingaggiarlo, così la Roma lo confermò, temendo il suo passaggio in biancoceleste.[202] Nella stagione 1954-1955 Carver decise di tenere in competizione i suoi due portieri Moro e Albani, preferendo alle volte questultimo.[203] Tra le sue prodezze contro i rigoristi si ricordano il rigore parato al capitano del Bologna Ballacci,[204] che non riuscì quindi a riscattarsi dallerrore di tre anni prima, e il secondo rigore parato a Liedholm del Milan in meno di un anno.[205][206] Il 15 maggio 1955 nella partita Udinese-Roma (1-0) subì lunico infortunio della sua carriera e fu costretto ad abbandonare il campo a venti minuti dalla fine per uno strappo muscolare.[207][208] Lultima apparizione di Moro con i colori giallorossi fu Roma-Vojvodina (4-5) del 4 luglio 1955, valida per la Coppa Europa, partita in cui la difesa fece una pessima prova. Nel secondo tempo la Roma, in vantaggio per 4-1, subì nellultima mezzora quattro reti da Zdravko Rajkov, un attaccante intelligente che aveva capito che quel giorno nella porta di Moro si poteva tirare da tutte le posizioni. Su tutti, evidente fu la responsabilità del portiere che fu fischiato e assalito da lancio di proiettili dai tifosi e multato dalla società per 300 mila lire.[202][209] Nel frattempo era stato acquistato dal Modena il portiere Luciano Panetti, facendo intendere che Moro non avrebbe giocato la stagione seguente.[210] Il ritorno in B con il Verona (1955-1956)[modifica | modifica sorgente] Moro durante la stagione al Verona. Lasciata Roma, Moro firmò un contratto di due anni con il Verona, in Serie B, per cinque milioni annui, ma dopo la prima stagione in cui fu impiegato poco non venne riconfermato, ricevendo una buona uscita di un altro milione.[211] Nazionale[modifica | modifica sorgente] Moro ricevette la prima convocazione in Nazionale A in occasione di una seduta di allenamento tenutasi il 5 dicembre 1947 a Vercelli.[84] Vittorio Pozzo lo convocò per la prima volta nellItalia B nel febbraio 1948, allorché la selezione azzurra disputò unamichevole contro il Bellinzona.[212] Diverse furono le chiamate nella Nazionale cadetta anche nel 1949, quando per lo più partecipò ad allenamenti e partite non ufficiali. Lesordio in maglia azzurra fu il 12 giugno 1949 a Budapest, Ungheria-Italia (1-1). Alla vigilia fu diramata la formazione, con la novità Moro tra i pali, scelta che fu dettata dallottimale stato di forma del portiere, ritenuto dai componenti della Commissione Tecnica in grado di compiere gesti tecnici pregevoli.[213] Il portiere del Bari si mise in mostra, risultando il migliore in campo e facendo parlare di se positivamente.[111] Il 30 novembre 1949 fu la volta della seconda partita in azzurro, contro lInghilterra, considerata in quel momento la squadra nazionale più forte del mondo. A Londra Moro resistì per 76 minuti ai numerosi e pericolosi attacchi dei britannici, capitolando solo nel finale, quando, complice la scarsa visibilità dovuta dalloscurità e dallimprovvisa nebbia,[214] fu battuto due volte.[75][147] Lo stesso portiere raccontò di avere compiuto, secondo il suo parere, la parata più inverosimile della sua carriera, respingendo un tiro violento e preciso di Stan Mortensen eseguito a pochi metri dalla linea di porta.[215] Negli appuntamenti successivi, validi per la preparazione al mondiale sudamericano, causa la non brillante condizione, fece la riserva a favore di Sentimenti IV.[147] Sentimenti fu titolare anche in Brasile, ma dopo la prima sconfitta contro la Svezia e con lItalia già eliminata alla prima fase fu schierato Moro nella seconda, ultima e ininfluente gara contro il Paraguay. Dopo il Brasile i componenti della Commissione Tecnica, i quali nutrivano dubbi sulla moralità del portiere trevigiano, preferirono puntare sul più giovane Casari.[216] Grazie alle ottime prestazioni con la maglia blucerchiata ritornò regolarmente il portiere titolare, finché nellottobre 1953 un suo rifiuto alla convocazione del commissario tecnico Czeizler per lItalia B ne decretò laddio in azzurro.[217] Statistiche[modifica | modifica sorgente] Presenze e reti nei club[modifica | modifica sorgente] Stagione Club Campionato Coppe nazionali Coppe continentali Totale Comp Pres Reti Comp Pres Reti Comp Pres Reti Pres Reti 1937-1938 Italia Treviso Riserve PD 1+ ? ? ? ? - - - 1+ ? 1938-1939 Italia Treviso C 4 ? ? ? ? - - - 4+ ? 1939-1940 C 8 ? ? ? ? - - - 8+ ? 1940-1941 C 26 ? CI 1+ ? - - - 27+ ? agosto 1941 Italia Padova - - - - - - - - - - - 1941-1942 Italia Treviso C 30 -33 ? ? ? - - - 30+ ? 1942-1943 Italia Alessandria B 12 -25 CI 1 -2 - - - 13 -27 1944 Italia Treviso CIS 11 -9 – – – - - - 11 ? 1945-1946 BAI 21 ? – – – - - - 21 ? 1946-1947 B 40 -41 – – – - - - 40 -41 Totale Treviso 140 ? 1+ ? - - - 141+ ? 1947-1948 Italia Fiorentina A 38 -52 – – – - - - 38 -52 1948-1949 Italia Bari A 36 -47 – – – - - - 36 -47 1949-1950 Italia Torino A 32 -65 – – – CL 1 –3 33 -68 1950-1951 Italia Lucchese A 37 -53 – – – - - - 37 -53 1951-1952 Italia Sampdoria A 38 -40 – – – - - - 38 -40 1952-1953 A 34 -43 – – – - - - 34 -43 Totale Sampdoria 72 -83 - - - 72 -83 1953-1954 Italia Roma A 27 -35 – – – - - - 27 -35 1954-1955 A 28 -29 – – – - - - 28 -29 Totale Roma 55 -64 - - - 55 -64 1955-1956 Italia Verona B 15 -26 – – – - - - 15 ? Totale ? ? ? ? - - - ? ? Cronologia presenze e reti in Nazionale[modifica | modifica sorgente] ▼ mostra Cronologia completa delle presenze e delle reti in Nazionale - Italia Italia Note[modifica | modifica sorgente]
Posted on: Thu, 14 Nov 2013 00:03:30 +0000

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