IL MARCHIO DELL’USURA “MADE IN ISRAEL” E’ dal 1967 che - TopicsExpress



          

IL MARCHIO DELL’USURA “MADE IN ISRAEL” E’ dal 1967 che Israele occupa illegalmente i territori palestinesi della Cisgiordania (che è che è parzialmente sotto amministrazione militare da parte d’Israele e parzialmente sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese), della Striscia di Gaza e delle Alture del Golan (che sono sotto amministrazione civile israeliana), costruendo in questi territori occupati militarmente colonie civili e insediamenti. Attualmente sono 135 gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati da 562.000 residenti ebrei israeliani, dei quali 282.000 in Cisgiordania (esclusa Gerusalemme), 260.000 in quartieri costruiti nella Gerusalemme araba o annessa a Gerusalemme, e 20.000 nelle Alture del Golan. Le costruzioni in corso comprendono complessi residenziali, nonché progetti di infrastrutture come strade e sistemi idrici ad uso esclusivo dei coloni israeliani, sulle terre confiscate illegalmente – La Corte internazionale di giustizia ha confermato l’illegalità degli insediamenti israeliani, che violano l’art. 49.6 della Quarta Convenzione di Ginevra: «La potenza occupante non potrà mai procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della propria popolazione civile sul territorio da essa occupato». Così come in violazione del Regolamento dell’Aja - ai Palestinesi o dichiarate “terre di stato” in vari modi. Un recente rapporto di ricerca (scaricabile a fondo pagina) della Coalition of Women for peace, un’ong femminista israeliana, pubblicato da Whoprofit.org, analizza le diverse forme di coinvolgimento diretto delle banche israeliane nel sistema di occupazione, o attività di colonizzazione, della Cisgiordania e del Golan. Insieme con i vari interessi politici, religiosi e nazionali, l’occupazione israeliana è alimentata da interessi corporativi perpetuati da compagnie israeliane che sviluppano infrastrutture nei territori palestinesi occupati, contribuendo alla costruzione e all’esercizio di un sistema di separazione etnica, tra posti di blocco, muri e strade, per la progettazione di strumenti utilizzati nel controllo e nella repressione della popolazione civile sotto occupazione. Ecco come avviene il supporto finanziario delle banche all’occupazione… In primo luogo, le banche forniscono due tipi di mutui agevolati: il primo riguarda i singoli individui, che desiderano acquistare unità abitative nelle colonie illegali della Cisgiordania. Il governo israeliano infatti prevede incentivi economici per quelle che vengono definite Aree Prioritarie e cioè le zone periferiche di Israele come il Golan e gli insediamenti sul territorio palestinese. Sei banche elargiscono mutui agevolati a futuri coloni: nel caso gli acquirenti non riescano a ripagare il mutuo, la banca diventa a tutti gli effetti proprietaria dell’immobile. Lo stesso avviene per i mutui garantiti alle imprese di costruzione che operano nelle colonie. La maggior parte dei progetti edilizi in Cisgiordania non vedrebbe la fine senza il supporto finanziario delle banche: questo tipo di prestiti viene regolamentato secondo “accordi di accompagnamento” (Heskemay Livuy). Accordi che garantiscono cioè che la banca sia direttamente e interamente responsabile del progetto edilizio: la banca infatti è proprietaria del progetto e degli immobili, fino a quando tutte le unità abitative non vengano vendute. E’ la banca che fissa i prezzi degli appartamenti e detta legge sui tempi di costruzione; una vera e propria partnership tra la banca e l’impresa edile, in cui è la prima a trarne i maggiori benefici: anche in questo caso se l’impresa dichiara bancarotta, la banca diventa l’unica proprietaria di terreni e immobili. Non è stato facile ottenere le informazioni relative a questo tipo di relazioni bancarie: quando Whoprofit, in base al Freedom Act, ha chiesto al Ministero delle Costruzioni, i nomi delle banche che forniscono tali programmi di “accompagnamento”, il Ministero ha risposto di non esserne al corrente. I ricercatori hanno dovuto pertanto ottenere le informazioni direttamente dalla industrie edili. Un esempio del coinvolgimento di tali banche risulta dal rapporto annuale del gruppo Hadar, il maggiore responsabile dei progetti residenziali all’interno di Ma’aleh Adumin. Tra i progetti più recenti c’è quello tra la B.Yair Building Corporation e la Bank Discount per la costruzione di 55 appartamenti a Har Homa (tra Gerusalemme e Bethlemme). Quasi tutte le banche poi forniscono servizi finanziari alle autorità e ai municipi locali degli insediamenti illegali, sia nel Golan che in Cisgiordania, elargendo prestiti utilizzati per sviluppare nuove infrastrutture, costruire edifici pubblici come pure per la gestione della fornitura di servizi che il municipio mette a disposizione dei coloni. Per esempio la Banca Hapoalim ha fornito nel 2010 prestiti al consiglio municipale di Giv’at Ze’ev e a quello di Megilot nel 2009. Vi sono inoltre 34 filiali operative nelle colonie illegali: la maggior parte delle banche israeliane ha aperto nel corso degli anni diverse filiali all’interno degli insediamenti israeliani, filiali che forniscono ogni tipo di servizio finanziario ai coloni e alle imprese commerciali che vi hanno sede. Come per esempio l’apertura di prestiti e conti bancari alle imprese che sono presenti nelle aree industriali, vedi l’area Barkan o la Top Greenhouses, una compagnia che produce serre, nella zona di Ariel, che ha ricevuto prestiti negli ultimi 10 anni dalle banche Discount, Leumi, Hapoalim e Mizrahi Tefahot. O il consorzio CityPass, quello che sta realizzando il contestato progetto della rete tranviaria a Gerusalemme, che riceve finanziamenti sia da Leumi che Hapoalim. Due istituti finanziari beneficiano infine dell’accesso al mercato monetario palestinese; in seguito alle regolamentazioni previste dagli Accordi di Oslo, e sottoscritte sia da parte palestinese che israeliana, il mercato palestinese non utilizza una propria valuta. Ne deriva che le banche palestinesi sono dipendenti da altri istituti bancari per accedere ai mercati finanziari. Nonostante nei mercati palestinesi siano attualmente in uso 4 valute (oltre allo shekel israeliano, l’euro, il dollaro americano e il dinaro giordano), è in realtà lo shekel a dominare i mercati, dal momento che il sistema di occupazione ha creato una stretta dipendenza (sottomissione) finanziaria del mercato palestinese a quello israeliano. Questa interdipendenza fa si che le politiche monetarie decise dalla Banca di Israele si applichino in modo assolutamente non democratico nella Palestina occupata, generando un sistema distorto. Qualche dato che dimostra il disequilibrio commerciale tra Israele e Palestina: su 20 miliardi di shekel di trasferimenti annuali, l’80% (16 miliardi) sono trasferiti da Israele al mercato palestinese e solo il 20% riguarda il contrario. Anche nei rapporti con banche non-israeliane, le banche palestinesi devono appoggiarsi (dal momento che trattano lo shekel) agli istituti israeliani, che funzionano per il trasferimento fondi. In questo caso, secondo fonti palestinesi, le banche israeliane chiedono dei tassi di interesse altissimi e garanzie in cambio dei servizi offerti. Inoltre le commissioni applicate alla fornitura di tali servizi sarebbero enormi e imporrebbero limitazioni (in termini di quantità) sul trasferimento di denaro. Le banche israeliane hanno inoltre rapporti commerciali solo con alcune banche palestinesi: negli accordi attuali ad esempio non sono incluse le banche costituitesi recentemente nei Territori, la cui operatività risulta ampiamente ridotta, dal momento che non possono trasferire denaro alle banche israeliane e devono appoggiarsi ad altri istituti palestinesi. Il risultato è che il mercato monetario palestinese non potrà mai crescere e svilupparsi autonomamente. Senza considerare Gaza: alla fine del 2008, Israele ha interrotto qualsiasi relazione con le banche di Gaza, cessando la fornitura di tutti i servizi, causando il totale collasso del mercato finanziario della Striscia. Le banche israeliane non solo forniscono il supporto finanziario alla costruzione delle colonie ma anche alla sostenibilità e al mantenimento dell’intero sistema che vi ruota attorno. Nessuna delle attività portata avanti da individui, organizzazioni, governo e compagnie commerciali in Israele, potrebbe andare avanti senza il supporto attivo delle banche, che sono pertanto gli attori principali del ritorno economico delle attività di colonizzazione della Cisgiordania e del Golan.
Posted on: Wed, 02 Oct 2013 22:07:23 +0000

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