Lotta politica, riforme sanitarie e questione razziale negli Stati - TopicsExpress



          

Lotta politica, riforme sanitarie e questione razziale negli Stati Uniti da Truman a Johnson. La National Medical Association, 1945–1968 Il contesto storiografico Nell’arco degli ultimi due decenni, nella storiografia delle politiche sociali americane è cresciuto l’interesse per la questione della razza e del genere, temi a lungo trascurati dalla letteratura precedente 1. Questa corrente di studi, sulla scia delle critiche sollevate dal movimento femminista e da quello per i diritti civili alle tradizionali interpretazioni dell’ordine politico e sociale, concepisce il welfare state come un sistema di stratificazione sociale che può sia ridurre sia accrescere le disuguaglianze che derivano dalle relazioni familiari e dal mercato del lavoro. Non a caso molti studiosi della razza e del genere si sono confrontati col lavoro del grande teorico del welfareGøsta Esping-Andersen 2, criticandolo per non aver considerato nella sua analisi le forme di divisione sociale diverse dalle disuguaglianze socio-economiche. Secondo questi autori, al contrario, la riproduzione delle disuguaglianze fondate sul genere e sulla razza o, viceversa, il tentativo di superarle, sono le reali dinamiche che hanno guidato l’evoluzione delle politiche sociali in America. Se alcuni studiosi mettono in relazione il tema della razza e del genere con quello della struttura istituzionale, evidenziando la capacità delle istituzioni di plasmare l’identità dei gruppi sociali, altri li connettono alla cosiddetta “politica delle idee”, ponendo l’accento sul nesso esistente tra pregiudizio culturale e risultati politici. Gli approcci più interessanti, però, mostrano l’interdipendenza esistente tra i due piani e la relazione della questione razziale e di genere con quella di classe. La tesi si muove all’interno di questo orizzonte, che è in primo luogo storiografico ma necessariamente interdisciplinare: attinge infatti competenze e strumenti dalla scienza politica, dalla sociologia, dall’analisi delle politiche pubbliche, discipline alle quali, peraltro, ricorre frequentemente anche la storiografia di riferimento. Questa comprende, prima di tutto, le opere che hanno analizzato il peso della questione razziale nell’evoluzione delle politiche sanitarie americane; si tratta, in particolare, dei volumi che hanno trattato il tema della segregazione e delle altre forme di discriminazione presenti nel sistema sanitario 3, dei lavori che hanno studiato il movimento degli ospedali di comunità e le altre esperienze di auto-organizzazione degli afro-americani 4, e di varie opere di sintesi e di analisi di più ampio respiro. 5 Più in generale, si fa riferimento alle opere che hanno preso in esame l’evoluzione delle politiche sanitarie americane, con particolare attenzione al peso della dialettica tra attori pubblici e movimenti sociali. Negli Stati Uniti la razza costituisce un fattore decisivo nel campo della salute e delle politiche sanitarie. Secondo David Barton Smith «la sua influenza è stata così permanente e pervasiva da divenire una parte quasi irriconoscibile» della cultura americana. 7 In primo luogo, la razza emerge come una variabile molto rilevante se si osserva lo stato di salute della popolazione americana. Se nel corso del ventesimo secolo le condizioni di salute degli afro-americani sono progredite, e il gap con la popolazione bianca si è ridotto, l’andamento della mortalità e della speranza di vita è stato discontinuo. 8 Inoltre, e ciò è molto rilevante per questa analisi, le variazioni nello stato di salute degli afro-americani sono connesse al peso e alla qualità delle politiche sanitarie adottate dal governo federale, dagli Stati e dalle organizzazioni private. Molte analisi hanno evidenziato i miglioramenti conseguiti dai movimenti di auto-organizzazione 9; la gran parte delle ricerche, tuttavia, evidenzia la centralità dell’azione delle politiche pubbliche, in particolare di quelle federali. In generale, l’ampliamento del ruolo del governo federale nelle politiche sanitarie ha favorito un concreto miglioramento della qualità della vita della popolazione afro-americana. Il periodo 1965–1975 è considerato pressoché unanimemente l’epoca di maggiore progresso, dato che vi si dispiegarono lo sforzo federale per la de-segregazione delle strutture ospedaliere, che favorì un notevole incremento nell’accesso alle cure da parte dei neri, e gli effetti della politica riformatrice della Grande Società. Il 1965, in particolare, fu un anno straordinario per l’evoluzione delle politiche sanitarie, con 29 leggi-chiave approvate in materia. Sebbene la storiografia più “militante”, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, abbia posto l’accento sulla portata “salvifica” dell’integrazione per la salute della popolazione afro-americana, alcuni lavori recenti hanno rivalutato il significato dei provvedimenti precedenti, come l’Hill-Burton Act del 1946, in particolare per le aree del Sud rurale. 10 Parallelamente, come conseguenza del parziale “fallimento” dell’integrazione razziale, è stato riconsiderato il valore delle esperienze di auto-organizzazione della comunità nera, a cominciare dai black hospitals, che proprio la de-segregazione ha condannato ad un processo di inesorabile declino, spesso senza garantire soluzioni alternative agli abitanti dei ghetti urbani. Come osserva Susan Smith, se l’azione del governo federale nella politica sanitaria è sempre stata positiva per gli afro-americani del ceto medio, per i poveri il quadro presenta alcune rilevanti eccezioni, come dimostra, ad esempio, il famigerato Tuskegee Syphilis Study, portato avanti dal Public Health Service dal 1932 al 1972 nella Contea di Macon, in Alabama, per testare gli effetti della sifilide non trattata su 400 afro-americani inermi. 11 Lo studio rappresenta solo uno dei numerosi casi di prevaricazione medica sul corpo degli afro-americani verificatisi dalla schiavitù ai giorni nostri. L’esperienza delle sterilizzazioni forzate delle welfare mothers, le sperimentazioni mediche non volontarie, i limiti posti dal Congresso per l’accesso all’aborto da parte delle pazienti povere e altri casi analoghi dimostrano che per le donne afro-americane meno abbienti il governo federale e l’establishment medico non sono stati sempre “poteri buoni”. Le pazienti afro-americane povere, ricorda Emilie Townes, sono collocate all’incrocio di stereotipi razzisti, sessisti e classisti che, elaborati in forma sistematica col darwinismo sociale di fine Ottocento, hanno influenzato le opinioni mediche e plasmato le politiche socio-sanitarie. La letteratura esaminata riconosce le relazioni esistenti tra razza, genere e classe in materia di salute e di politiche sanitarie: secondo la teoria dell’Intersezionalità, le tre categorie sono costruzioni sociali prodotte simultaneamente che si definiscono reciprocamente. Un approccio di questo tipo ha avuto un peso notevole nell’azione dei movimenti per la salute delle donne afro-americane povere a partire dai primi anni Settanta, con una notevole influenza sul movimento delle donne in generale e sulle politiche pubbliche più recenti. Richiamando gli esempi di abuso riportati sopra, molte opere insistono sulla salute come «produzione culturale e sociale» e definiscono la medicina non un sapere neutrale, ma un’istituzione sociale che «riflette e rafforza valori e convinzioni che si ritrovano nella società più ampia» . Si pensi, solo per fare un esempio, alla definizione di “razza” come dato biologico, e al peso che essa ha avuto e ha ancora sia per la ricerca medica e farmacologica, sia per l’elaborazione delle politiche sanitarie. La tendenza a vedere nella razza una categoria biologica e genetica (definita essenzialismo), infatti, comporta l’attribuzione delle disparità esistenti tra i gruppi razziali (in termini di mortalità e rischio di malattia) a caratteristiche intrinseche ai gruppi stessi. Un ulteriore corollario è la “medicalizzazione” o “biologizzazione” dei problemi sociali, economici e politici, con il ricorso al dato biologico e genetico (o a quello culturale, a sua volta “biologizzato” e “essenzializzato”) per spiegare l’origine di alcune malattie 15 o alcuni fenomeni connessi alla riproduzione e alla sessualità, negando il peso dei fattori economico-sociali e attingendo agli stereotipi negativi connessi alla sessualità delle donne e degli uomini afro-americani. In generale, negli Stati Uniti l’essenzialismo è prevalso sul costruzionismo, la prospettiva che interpreta la differenza razziale come una costruzione sociale e culturale. Il tema del razzismo scientifico ha stimolato, in anni recenti, la nascita di un nuovo filone storiografico, che ha rivelato uno degli aspetti più oscuri della storia della medicina negli Stati Uniti. Il nesso tra povertà, razza e salute è una sorta di assioma per le riflessioni elaborate sulla salute degli afro-americani, sia perché è l’evidenza dei dati empirici a suggerirlo, sia per l’esistenza di forti stereotipi classisti nella pratica medica bianca. Edward Beardsley, mettendo a confronto le condizioni di salute dei braccianti afro-americani e dei lavoratori bianchi dell’industria tessile in Georgia, North Carolina e South Carolina nel corso del ventesimo secolo, parla di «due storie parallele di abbandono». Secondo Beardsley, fatte salve le differenze tra i due gruppi e la peggiore condizione dei neri, si può affermare che lavoratori poveri bianchi e afro-americani furono «vittime di una società fondata sullo sfruttamento economico e sull’esistenza di gerarchie di classe e di razza» . Al tempo stesso, la storia degli afro-americani nel sistema sanitario rivela la complessità della comunità nera e l’esistenza, al suo interno, di tensioni e conflitti di ordine sociale, economico e politico. La differenziazione sociale all’interno della comunità fu al tempo stesso favorita e tenuta nascosta dalla segregazione razziale: se da un lato la separazione stimolò la crescita di una borghesia nera di limitate dimensioni, dedita alle attività professionali e imprenditoriali necessarie per soddisfare i bisogni della comunità, dall’altro occultò le differenze tra poveri e ricchi, accomunati dal colore della pelle e dal sistema di oppressione sociale imposto dalla maggioranza bianca. Fu in questo contesto che sorsero le organizzazioni e le istituzioni separate, al tempo stesso testimonianza del desiderio di ascesa sociale delle classi medie nere, manifestazione della resistenza al razzismo bianco e forma di adattamento alle condizioni sociali dettate dalla segregazione. Intorno alle istituzioni e alle organizzazioni separate sorsero conflitti non solo sociali ed economici, ma anche politici: la dialettica tra integrazionismo, ricerca del compromesso e separatismo, infatti, fu un elemento centrale del pensiero politico nero nella prima metà del ventesimo secolo, e in ambito sanitario ebbe la sua manifestazione più evidente nella vicenda dei black hospitals. Benché le principali associazioni afro-americane abbiano aderito, fin dai primi anni Quaranta, alle coalizioni sociali a sostegno di politiche sanitarie universali, la storiografia ha trascurato il rapporto tra le richieste più limitate e urgenti espresse dal movimento – come il superamento delle discriminazioni – e le rivendicazioni generali di riforma. Questo fenomeno si inserisce nella generale sottovalutazione dell’agenda sociale del movimento afro-americano, a fronte della ricchezza di studi relativi alle mobilitazioni connesse ai diritti civili. D’altro canto, la differenziazione sociale della comunità afro-americana ha portato ad un’interazione non omogenea, da parte delle diverse organizzazioni, con le agenzie federali. La National Medical Association (NMA), fondata nel 1895 in risposta al rifiuto dell’AmericanMedicalAssociation (AMA) di ammettere i professionisti neri negli Stati del Sud e nel District of Columbia, è stata caratterizzata fin dalle sue origini da una doppia identità: da un lato, quella professionale-sindacale, legata alle rivendicazioni di tipo corporativo, e dall’altro quella politica, connessa alla volontà dell’associazione di presentarsi come legittima rappresentante dei bisogni sanitari della comunità nera. Da un profilo così poliedrico non potevano non sorgere incoerenze e conflitti: i bisogni dei professionisti, infatti, non sempre coincidevano con quelli delle masse afro-americane. Sebbene la storia della NMA racchiuda in sé la complessità e le contraddizioni che hanno segnato la relazione tra afro-americani e sistema sanitario, l’organizzazione non è stata oggetto di analisi sistematiche. Il lavoro di Thomas Ward sui medici afro-americani nel Sud segregato, ad esempio, affronta solo marginalmente il tema delle associazioni professionali, e comunque è limitato ad un’area degli Stati Uniti. 19 Anche nelle ricostruzioni più ampie sulla storia degli afro-americani nella sanità, nelle opere dedicate alle iniziative di auto-organizzazione e nei volumi sulla storia delle discriminazioni, la NMA compare sullo sfondo, ma non è mai l’oggetto d’analisi principale. L’unica monografia interamente dedicata all’organizzazione, il volume di Charles Wright The National Medical Association Demands Equal Opportunity: Nothing More, Nothing Less, per quanto ricca di spunti interessanti, ha un taglio più divulgativo che scientifico, e si concentra prevalentemente sul caso di Detroit, città nella quale l’autore ha operato come medico e attivista. 2 La ricerca e le fonti Questo lavoro tenta di colmare una lacuna nel panorama storiografico, con l’auspicio di poter contribuire alla comprensione sia del peso della salute nell’agenda dei movimenti per i diritti civili, sia del ruolo della borghesia nera nella “lotta per la libertà afro-americana”, intendendo con questa espressione l’emancipazione non solo dall’oppressione civile e politica, ma anche dalla malattia e dalla povertà. La scelta dei termini a quo e ad quem (1945–1968) è strettamente legata all’evoluzione della comunità medica afro-americana e delle politiche sanitarie federali. La seconda guerra mondiale e la partecipazione afro-americana al conflitto, infatti, incoraggiarono una forte domanda di democratizzazione delle relazioni razziali, che influenzò anche i medici; la sfida alla segregazione razziale nelle strutture sanitarie destinate alle cure dei veterani rappresentò il primo atto del movimento per i medical civil rights. Nel 1945, inoltre, per la prima volta nella storia del paese, Truman inviò al Congresso un messaggio dedicato alla salute della nazione, nel quale raccomandava l’istituzione di un’assicurazione sanitaria federale; l’anno successivo, l’Hill-Burton Act, che stanziava ingenti risorse federali per l’espansione e l’ammodernamento della rete ospedaliera,cambiò il destino della campagna integrazionista, contribuendo a spostare gli ospedali dalla sfera privata a quella pubblica, assoggettandoli in prospettiva al potere regolatore dello Stato. D’altra parte, il 1968, con l’assassinio di Martin Luther King e la sconfitta democratica alle elezioni presidenziali di novembre, segnò la fine dell’epoca di riforme civili e sociali che aveva contraddistinto la Grande Società di Johnson e, al tempo stesso, il tramonto della coalizione sociale e politica sorta all’epoca del New Deal. La trattazione combina l’analisi di documenti originali con la ricostruzione del dibattito storiografico. In generale, con l’ausilio delle fonti primarie, la narrazione parte da eventi specifici, ricorrendo alla bibliografia di riferimento per la loro contestualizzazione. Nella bibliografia, oltre ai testi richiamati sopra, sono comprese anche biografie e opere di memorialistica, testi di storia politica, sociale e culturale afro-americana e volumi di storia del pensiero politico afro-americano . Le fonti primarie includono il «Journal» della National Medical Association, la rivista ufficiale del gruppo, e i materiali provenienti dagli archivi personali di alcune figure-chiave nella storia della NMA nel periodo 1945–1968, in particolare: William Montague Cobb, Louis T. Wright, Peter Marshall Murray, Dorothy B. Ferebee (documenti conservati presso la Divisione manoscritti del Moorland-Spingarn Research Center, Howard University, Washington, D.C.) e Leonidas Berry (conservati presso la Divisione di storia della medicina della National Library of Medicine, Bethesda, Maryland). Specialmente gli archivi di Cobb, messi a disposizione recentemente, rappresentano una fonte preziosa, in grado di contribuire in modo significativo all’innovazione della storiografia del settore. Purtroppo, benché il Moorland-Spingarn Research Center della Howard University sia stato individuato dalla NMA come depositario ufficiale degli archivi dell’associazione, il Centro non ha ad oggi ricevuto alcuna documentazione. L’associazione, inoltre, non dispone attualmente di archivi accessibili al pubblico presso la propria sede. I risultati Nei primi decenni del ventesimo secolo, la classe media nera si trovò stretta in un dilemma: da un lato, la segregazione le garantiva un controllo monopolistico sulle attività economiche e sociali della comunità; dall’altro, le discriminazioni imposte dalla maggioranza bianca limitavano le sue opportunità di espansione e frustravano le sue ambizioni di ascesa sociale. I medici afro-americani erano quasi completamente dipendenti dalla comunità per la loro sopravvivenza. Questo determinava, al tempo stesso, prestigio sociale e scarse risorse economiche, autonomia personale dai bianchi e isolamento professionale dalla medicina ufficiale, ansia di difendere il proprio monopolio dalla concorrenza dei colleghi e necessità di individuare una strategia cooperativa per superare le discriminazioni razziali, a cominciare dagli ostacoli che impedivano la formazione specialistica e la pratica ospedaliera. In questo contesto, le associazioni professionali risposero alle necessità di promuovere occasioni formative, sostenere il prestigio dei professionisti davanti ai loro pazienti e, soprattutto, creare reti sociali. Fin dalle origini, tuttavia, la NMA e le sue società affiliate ebbero anche l’ambizione di rappresentare i bisogni sanitari della comunità afro-americana, rivendicando quindi un obiettivo prettamente politico accanto a quello sindacale-professionale. Per essere una race organization – secondo la categoria coniata da Myrdal nel suo An American Dilemma – la NMA avrebbe dovuto anteporre ai suoi interessi particolari i bisogni di una popolazione gravata dalla povertà, dall’assenza di cure mediche adeguate e, quindi, dalla malattia. Non si trattava di un obiettivo semplice, dato che per garantire un accesso universale alle cure mediche era necessario riformare i meccanismi di retribuzione dei professionisti e di erogazione dei servizi e, soprattutto, modificare la concezione della salute, da bene di mercato a diritto fondamentale di ogni persona. Solo l’autorità di regolamentazione e le risorse economiche del governo federale potevano riuscire in questo compito. Ma l’intervento pubblico si scontrava con il desiderio della comunità medica nera di preservare un controllo esclusivo sui servizi sanitari destinati gli afro-americani. Per questa ragione, negli anni Venti e Trenta la NMA si mostrò particolarmente ostile a quegli interventi pubblici che, assicurando l’erogazione dei servizi sanitari alla fascia media dei pazienti – coloro che percepivano un reddito, ma non erano sempre in grado di sostenere il costo delle cure –, avrebbero sottratto ai professionisti di colore una fetta consistente della loro clientela, dirottandola verso le istituzioni bianche che negavano ai medici afro-americani opportunità d’impiego. Diverso era l’approccio nei confronti dei poveri che, non potendo pagare per le loro cure, erano considerati pazienti particolarmente sgraditi: per loro l’intervento diretto delle agenzie pubbliche fu rivendicato fin dall’inizio. In questa fase, malgrado l’aspirazione a mostrarsi come i difensori degli interessi della razza, i medici afro-americani lasciarono che i propri privilegi di classe prevalessero nettamente sui bisogni della stragrande maggioranza della loro comunità. Considerazioni simili guidarono anche l’orientamento della NMA sugli ospedali separati, i black hospitals. L’integrazione razziale era considerata un obiettivo auspicabile, ma difficile da raggiungere; costruire una rete di istituzioni sanitarie parallele sembrò alla NMA l’unica soluzione possibile per offrire opportunità di formazione e occupazione immediate ai professionisti e per garantire ai pazienti afro-americani cure ospedaliere adeguate in un contesto accogliente e dignitoso. Il movimento dei black hospitals, tuttavia, incarnò tendenze contraddittorie: accanto alle ragioni puramente professionali, comparvero gli appelli al self-help e all’orgoglio razziale, che anticiparono temi destinati a ritornare nel separatismo degli anni Sessanta, e quelli alla resistenza contro le discriminazioni e la segregazione, che prepararono il terreno per il movimento dei diritti civili nel sistema sanitario. Temi e pratiche di resistenza coniati nei primi decenni del Novecento non scomparvero: come un fiume carsico, protesta, compromesso e self-help hanno attraversato la vita della comunità medica nera, per manifestarsi differentemente a seconda delle circostanze. In base a questa sostanziale prevalenza degli elementi di continuità su quelli di frattura, il concetto di «lungo movimento per i diritti», recentemente coniato da Jacquelyn Dowd Hall, è stato applicato al contesto del sistema sanitario. Questo non significa affermare la staticità della comunità medica afro-americana; al contrario, proprio sui black hospitals il cambiamento di prospettiva tra i professionisti neri è stato rilevante: dal Black Hospital Movement degli anni Venti e Trenta, che rappresentò il più importante tentativo di garantire lo sviluppo e la modernizzazione degli ospedali separati, alla crisi economica e soprattutto politica a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta, per tornare ad una nuova fase di fortuna – più ideale che concreta – dalla fine degli anni Sessanta. Negli anni Trenta, la scelta della NMA di sostenere la creazione degli ospedali separati nel Nord, dove la segregazione razziale non era imposta de iure, causò la dura opposizione del settore più politicizzato della comunità medica afro-americana, quello legato alla NAACP. Per risolvere il problema dell’accesso alle cure, gli integrazionisti rivendicavano il superamento delle discriminazioni sia nelle cliniche pubbliche, sia in quelle private volontarie, che beneficiavano di esenzioni fiscali e contributi governativi, statali e municipali; il sostegno economico, infatti, veniva interpretato come un segno della funzione pubblica demandata agli ospedali. Non a caso, fu dall’anima integrazionista della comunità medica nera, guidata da Louis T. Wright e William Montague Cobb, che giunsero i primi segnali di apertura nei confronti dell’intervento federale. Solo politiche sanitarie universali, amministrate uniformemente sul territorio nazionale, avrebbero infatti permesso il superamento di un sistema di cure frammentate, con strutture e servizi distinti per i diversi gruppi razziali e sociali. Inoltre, un flusso costante di denaro federale avrebbe imposto alle cliniche una vigilanza governativa permanente sulle ammissioni dei pazienti e l’assunzione del personale. Sul finire degli anni Trenta, pertanto, nacque la coalizione di riformatori sociali e integrazionisti che, dopo pochi anni, avrebbe sostenuto l’istituzione di un’assicurazione sanitaria federale: una coalizione che riconosceva nei diritti civili la condizione essenziale per garantire ad ogni persona il diritto alle cure sanitarie e, al tempo stesso, vedeva nella lotta alla malattia e alla povertà il presupposto fondamentale per il pieno godimento dei diritti civili. A questa alleanza si contrappose un’aggregazione di interessi esattamente contrari: quella della medicina bianca e dei razzisti del Sud che, tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, rappresentò lo zoccolo duro dell’opposizione alle riforme sanitarie federali. In questo scenario, la ricerca ha evidenziato la presenza di un nucleo consistente di medici afro-americani ostili all’intervento pubblico nella sanità, in particolare all’assicurazione sanitaria obbligatoria, di fatto alleati di quelle forze sociali che negavano loro l’uguaglianza delle opportunità. I medici neri conservatori dovettero elaborare una narrativa che tentasse una conciliazione tra le loro istanze particolaristiche e le domande generali della comunità afro-americana. In primo luogo, criticarono più duramente della loro controparte il principio dell’assicurazione sanitaria, che escludeva dalle tutele la parte della comunità nera più bisognosa di aiuto (anche se, nei fatti, abbracciarono le assicurazioni private volontarie). Inoltre, usarono i diritti civili in maniera esattamente opposta agli integrazionisti: poiché la medicina socializzata avrebbe comportato l’esercizio di un controllo governativo sui professionisti, i conservatori individuarono nell’intervento federale un ostacolo alla mobilitazione dei medici afro-americani contro le discriminazioni razziali. Almeno fino a metà degli anni Quaranta, la maggioranza della NMA faticò ad affrancarsi dalla subalternità culturale nei confronti dell’AMA, elemento denunciato in varie occasioni dagli integrazionisti. Fino alla fine della seconda guerra mondiale, sia sul terreno delle riforme, sia su quello dei diritti civili, la NMA mantenne un atteggiamento collaborativo con l’AMA, sperando in un graduale e consensuale superamento delle discriminazioni razziali che ostacolavano l’ammissione dei professionisti di colore alle società mediche del Sud. La guerra, tuttavia, determinò un progressivo incremento della militanza nella comunità nera: la lotta contro il nazi-fascismo all’estero e la massiccia partecipazione della comunità nera allo sforzo bellico nazionale incoraggiarono gli afro-americani a sfidare il cosiddetto “hitlerismo a casa”, cioè la segregazione e le discriminazioni razziali. Le migrazioni verso le città del Nord, l’aumento del peso elettorale degli afro-americani e l’evoluzione del quadro politico e giudiziario contribuirono in modo determinante alla definitiva affermazione dell’integrazionismo come strategia egemonica per il progresso della comunità. Il fenomeno riguardò anche il sistema sanitario: paradossalmente fu la guerra, la negazione per eccellenza del diritto alla vita, la leva per rivendicare un sistema di cure libero dalle discriminazioni, che contribuisse a garantire la tutela dei diritti fondamentali inscritti nelle radici della nazione – alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità – per i quali gli afro-americani avevano combattuto. D’altra parte, il movimento per la riforma dei black hospitals andò incontro ad un sostanziale fallimento; a metà degli anni Quaranta, era chiaro che l’integrazione nelle principali istituzioni sanitarie, per i professionisti neri, costituiva l’unica soluzione possibile. La prospettiva di un’assicurazione pubblica che, secondo il progetto di Truman, avrebbe finanziato l’accesso alle cure della maggioranza della popolazione nelle principali istituzioni sanitarie rese l’integrazione una necessità urgente. La nomina di Cobb alla carica di direttore della rivista della NMA, nel 1949, simboleggiò la volontà della maggioranza del gruppo di instaurare una rapporto più stretto con la NAACP e, dunque, di accrescere il suo profilo politico. Malgrado le tensioni provocate dalla nomina, Cobb rappresentò una figura centrale nell’evoluzione della NMA: nel corso degli anni Cinquanta, le chiare prese di posizione contro le strutture sanitarie separate, la creazione della rubrica “The Integration Battlefront” sul «Journal» e, soprattutto, l’organizzazione delle Imhotep Conferences dedicate all’integrazione degli ospedali collocarono Cobb e l’associazione all’avanguardia del movimento per i medical civil rights. Nel corso del decennio, la battaglia per i diritti civili fu condizionata dall’intervento pubblico nella sanità: l’ingente flusso di denaro federale immesso nel sistema grazie all’Hill-Burton Act, infatti, se da una parte alimentò la costruzione di nuove strutture separate, dall’altra accrebbe il potere di regolamentazione dello Stato sugli ospedali. Questo fornì agli integrazionisti nuove argomentazioni contro la segregazione razziale, specialmente dopo la sentenza Brown vs. Board of Education del 1954, e permise di mettere in discussione la concezione privatistica delle istituzioni sanitarie. Soprattutto, l’Hill-Burton Act accelerò l’evoluzione della filosofia dell’attivismo medico nero, dalla richiesta di parificazione dei servizi per i diversi gruppi razziali nel quadro della segregazione alla domanda di integrazione completa. Se da un lato l’affermazione dell’integrazionismo, a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta, stimolò la domanda, da parte dei movimenti afro-americani, di politiche sanitarie universalistiche, dall’altro i tentativi del governo federale di occupare un ruolo progressivamente più ampio nella sanità spinsero la comunità medica nera a rivendicare la propria integrazione nelle istituzionimainstream. Questo porta a due temi, strettamente connessi, che trovano spazio nella tesi: da una parte, l’interdipendenza tra diritti civili e diritto alla salute e, dall’altra, la relazione tra politiche pubbliche e mobilitazione dei movimenti sociali, coinvolti nei processi di riforma sanitaria attraverso la rappresentanza dei bisogni e la lotta politica. La tensione tra identità razziale e istanze di classe nella NMA non si sciolse nell’immediato dopoguerra. Se sul tema dell’integrazione gli interessi particolari dei professionisti si intersecarono con le domande generali della comunità nera, sull’organizzazione dei servizi sanitari prevalse la solidarietà professionale con l’AMA e, dal 1950, la NMA revocò ufficialmente il proprio appoggio alla riforma sanitaria di Truman. Solo sul finire degli anni Cinquanta, la NMA si decise a ridiscutere la questione dell’assicurazione sanitaria pubblica, benché limitata ai pensionati. I primi anni Sessanta videro quindi una rapida evoluzione della NMA, sia sul fronte della campagna per i diritti civili, sia su quello della riforma sanitaria, con uno spostamento su posizioni sempre più radicali. In questa fase, il nuovo profilo militante dell’associazione e l’impegno per la medicina di comunità incarnarono sia il clima di rinnovamento che contrassegnò il decennio, sia la necessità, per la NMA, di ridefinire la propria missione nella società che cambiava: a metà degli anni Sessanta, l’organizzazione fu capace di proporsi come la rappresentante della medicina progressista, aperta a professionisti di ogni gruppo razziale. Tuttavia, la scarsa attenzione prestata a Medicaid, l’incapacità, salvo alcune eccezioni, di cogliere le conseguenze negative della frattura tra assicurazione sociale e assistenza e, più in generale, la debolezza delle critiche ad un sistema sanitario imperniato su una logica privatistica mettono in luce la difficoltà, per la NMA, di abbandonare il vecchio approccio middle-class ai problemi sociali, dimostrando che la tensione tra razza e classe ha costituito una fonte insanabile di contraddizioni per l’associazione. Per finire, occorre sottolineare come le ricerche svolte per questo lavoro abbiano consentito di mettere in rilievo lacune e incongruenze in quella che Karen Kruse Thomas ha definito «storiografia militante», da parte degli studiosi vicini agli attivisti medici integrazionisti. In primo luogo, nonostante le ricostruzioni recenti, spesso di parte, abbiano delineato una NMA tradizionalmente progressista e riformatrice, da sempre impegnata per i diritti civili, nella quale gli elementi della rappresentanza politica sarebbero prevalsi sull’espressione delle istanze corporative, l’associazione fu, per lungo tempo, un gruppo essenzialmente professionale e conservatore, con le implicazioni viste. Un secondo elemento emerso dalle ricerche è la resistenza a riconoscere il ruolo dei medici afro-americani nel Tuskegee Syphilis Study, che avrebbe intaccato l’immagine della NMA davanti alle comunità povere nella fase in cui l’associazione stava promuovendo la medicina di comunità, tra gli anni Sessanta e Settanta. (cercaunavoltalamerica.blogspot)
Posted on: Sun, 01 Dec 2013 08:55:29 +0000

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