Un viaggio di lavoro, in treno, per raggiungere Milano o Bologna, - TopicsExpress



          

Un viaggio di lavoro, in treno, per raggiungere Milano o Bologna, è occasione gradita per ritrovare quei luoghi e le vie, attorno alla Stazione Termini di Roma, dove vent’anni fa si è ambientata la propria adolescenza scolastica. E’ grazie a questo balzo indietro nel tempo e alla complicità della nostalgia e dei ricordi sbiaditi (…oltre un discreto margine di tempo a disposizione prima della partenza) che si riesce a respirare un passato vissuto in questo quartiere, l’Esquilino, fino alla sua storia recente che lo vede ormai “preda dei cinesi, dei bangladeshi e del degrado”, slogan questo tornato di moda dopo i ben noti fatti di Via Sarpi a Milano. La giornata di sole, poi, consente una passeggiata fino all’istituto scolastico di Via Pianciani, arrivando da Piazza Vittorio, qualche anno fa sede del ben noto mercato; nei ricordi questo itinerario era il preteso per far passare il tempo prima della campanella scolastica, anche se le riflessioni di allora, che spaziavano tra gli amori mancati o alle interrogazioni imminenti, sono cancellate da questa realtà “ribelle” che per certi versi contrasta le aspettative di una globalizzazione votata al riassetto urbanistico delle città, nel tentativo chissà di riconvertirle in sedi, uffici, snodi finanziari e centri direzionali dell’economia cosiddetta globale. Un po’ lo scenario (evitato a Roma, per il momento) di ciò che accadrà invece a Milano, dove politica e interesse hanno avallato il recupero dell’area della vecchia Fiera…con la probabile costruzione di un grattacielo, in barba alle promesse di riconversione in spazio pubblico e verde per il cittadino. Eppure qui nelle strade la realtà non è poi così diversa e peggiore di allora, non è poi così degradata e degradante come viene descritta e, al di la delle proprie convinzioni ed emozioni, la storia e i suoi numeri sono indicativi, a dimostrazione di come la presenza massiccia di immigrati stranieri all’ Esquilino sia solo una delle conseguenze, e comunque non la causa, di un costante malessere, che sa più di discriminazione che d’altro. Infatti le cifre dell’Ufficio Statistiche e Censimento del Comune di Roma ( che nel 1961 stimava 42.000 residenti, nel 1971 33.000 e nel 1991 24.000) evidenziano al meglio un fenomeno di generale abbandono dell’ Esquilino prim’ancora dell’arrivo dei cinesi, “colpevoli” semmai di aver raccolto e riutilizzato al meglio il degrado altrui, ridefinendo la geografia umana e economica di un quartiere storicamente area di residenza delle famiglie appartenenti al ceto medio, ma da tempo terra di nessuno.. Inoltre questa nuova caratterizzazione urbana è stata spesso messa in relazione con la presunta illegalità delle attività commerciali che negli ultimi anni ha richiesto, soprattutto da parte della “minoranza” italiana residente, interventi urgenti da parte della Autorità locali, confondendo però le problematiche legate al continuo flusso incontrollato (grazie alla presenza nei pressi della Stazione Termini di centri accoglienza e ostelli) e quindi ad episodi di criminalità anche organizzata di cittadini extracomunitari senza fissa dimora, che spesso e volentieri hanno poco a che vedere con le comunità di immigrati residenti. Tra l’altro, quando si parla di presunti commerci illegali della comunità cinese, spesso si dimentica (volutamente) che molte filiere del commercio all’ingrosso e al dettaglio, sia romano che nazionale, attingono a questo mercato dai costi competitivi, quindi bisognerebbe essere più cauti e soprattutto più onesti quando si dichiara di voler “tutelare le attività dei negozi italiani”, come afferma qualche assessore capitolino, viste le complicità che riguardano a buon bisogno gli stessi commercianti che rinnegano il made in China. Di fronte ad una realtà che esige sempre più uno sforzo concreto all’integrazione e alla solidarietà, infatti risulta discutibile, sicuramente ritardataria e forse inutile la delibera comunale che fino al 2009 non consentirà nel quartiere l’apertura e il cambio di destinazione d’uso di negozi di abbigliamento, calzature, pelletteria, bigiotteria e accessori vari; adottare strumenti del genere probabilmente servirà a poco, dal momento che il provvedimento è poco chiaro e soprattutto i tempi strettissimi non potrebbero consentire un qualche risultato (ma quale, poi?), a meno che non sia un modo come un altro di assestare, nel nome della legge, un sonoro calcio nel sedere a chi, è bene ricordarlo, opera con regolare partita iva, iscrizione alla Camera di Commercio, e che ha avuto libero accesso a immobili regolarmente acquistati o affittati per la libera intrapresa. Tanto più che le stesse amministrazioni locali hanno “contribuito” con la loro scarsa lungimiranza, anni addietro, (grazie ai primi provvedimenti di limitazione del traffico nelle aree del Centro) all’allontanamento delle molte aziende all’ingrosso presenti, soprattutto d’abbigliamento, già in preallarme e alla ricerca di locali più adeguati e spaziosi per i loro commerci e soprattutto più facilmente raggiungibili dagli automezzi dedicati al trasporto merci. Con il bel risultato di ritrovarsi nel quartiere molti locali vuoti, non riutilizzabili a breve termine, e abbandonati al loro destino, che porta ai cinesi e ai nostri giorni. Per non parlare poi della cosiddetta “riqualificazione delle città” verso il finire degli anni 70, che ha visto Roma ed altre città smembrate di un tessuto sociale consolidato, soprattutto nei centri cittadini, per relegarlo poi ai margini, nelle periferie, in strutture abitative nuove ma enormi, uniformi, monocolore, senza servizi, senza circoli e luoghi d’incontri, addirittura senza piazze, o senza un albero a tal punto da far avere una crisi di identità anche al proprio cane. Praticamente il concetto di convivenza urbana stravolto in un uso abitativo da vivere quasi come detenzione. Oltretutto, con segnali di questo genere prima, non si è riusciti ad organizzare poi neanche a livello di Polizia Municipale, una qualsiasi forma di controllo all’Esquilino, garantendo così la speculazione dei “palazzinari”, cioè di quei proprietari che hanno trovato più conveniente recuperare il loro patrimonio immobiliare, in una zona ormai considerata senza interesse, attraverso le rendite degli affitti agli extracomunitari, trasformando poco alla volta il quartiere in un immenso dormitorio, poiché una cultura della rendita incontrollata ha generato a sua volta uno sfruttamento del subaffitto più indiscriminato, per cui in uno stesso appartamento vivono, anche a turno, più di dieci persone, anche di diverse etnie, arrivando pure a pagare 300 euro per un posto letto. E proprio su questa ultima riflessione, di ritorno verso la Stazione Termini passando per Via Buonarroti e schivando qua e la i senzatetto seduti sotto i portici di Piazza Vittorio, un treno in partenza comunque non distoglie il pensiero dalla bengalese Mary Begum e il suo bimbo Hasib che lo scorso gennaio hanno perso la vita costretti a lanciarsi, stretti in un abbraccio, da una finestra del quinto piano a causa di un incendio che non consentiva loro altre vie di fuga. Proprio qui, in uno di questi palazzoni in stile sabaudo, in uno di questi appartamenti-dormitori dove vivevano con quindici persone in tre camere. Perché oltre ai cinesi, i bangladeshi, e le loro attività delle quali si parla tanto, l’Esquilino è fatto anche di tragedie umane che però meritano evidentemente solo un piccolo trafiletto di giornale, dove in una Roma nel 2007 si può ancora morire gridando aiuto (possibilmente in un italiano corretto) da un balcone, mentre le fiamme ti corrono dietro insieme a una disperazione giornaliera culminata (così sembra) in una candela lasciata accesa durante il sonno,…perché a due passi dal Centro sfarzoso di negozi e di mondanità esistono ancora strutture abitative dove la luce elettrica è ancora un lusso oppure arriva a malapena alla lampadina del citofono condominiale. Ora che il treno è lontano, come questi pensieri, un viaggio di lavoro è diventato motivo di ricordi e speranze, di momenti di pause e paragoni, quasi una illusione dell’animo distratto a simboleggiare un percorso e un orizzonte, pieno di aspettative dettate dalla compassione, ma anche dalla incredulità. Ritornando in serata, però, Roma la ritrovi uguale a prima. Probabilmente non basta solo un viaggio per immedesimarsi nella disperazione di una umanità distesa sulle banchine dei treni, o di una intimità rapita dalle necessità di vivere, con più persone, sullo stesso letto, per cambiare le cose; anche se è gia un ottimo esercizio per la tolleranza. Chissà, forse la soluzione al problema dell’integrazione multietnica non viaggiava con lo stesso treno. O forse non esiste ancora un treno in grado di trasportarla fino alla Stazione Termini.
Posted on: Sun, 04 Aug 2013 11:38:07 +0000

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