Etica e Biomasse L’inceneritore di Parma Il nuovo - TopicsExpress



          

Etica e Biomasse L’inceneritore di Parma Il nuovo business “politico” sono le centrali a biomasse per la produzione di energia. Prima di discuterne occorre chiarire cosa sono le centrali a biomasse e che cosa si intenda in questo caso con l’aggettivo politico. In una loro famiglia di versioni, le centrali a biomasse sfruttano la generazione naturale di gas dalla putrefazione di vegetali come residui agricoli, sfalci, liquami animali. Il gas che si produce viene bruciato per avere acqua calda ed energia elettrica da vendere. Un’altra famiglia prevede che le biomasse si brucino tout court sempre allo scopo di ricavarne energia. Fino ad ora il business dei nostri politici – politici nell’accezione comune - si era focalizzato sugli inceneritori per i rifiuti o, come vengono chiamati in Italia, “termovalorizzatori” (parola fuorviante che ha indotto la comunità Europea a bacchettarci perché quella combustione non valorizza un bel niente). Per una bizzarria tutta italiana, bruciare rifiuti equivale a ricorrere ad una fonte di energia rinnovabile come quelle del sole, del vento, delle maree e della geotermia. E, allora, lo Stato (noi) finanzia questo processo prendendo i soldi da una componente (7%) che troviamo più o meno evidente nella bolletta energetica che riceviamo a casa: la cosiddetta componente A3. Accade allora che la società proprietaria di un inceneritore ottenga sovvenzioni dallo Stato, dai cittadini con la tassa sui rifiuti e dall’ industria che vuole incenerire rifiuti suoi non di rado più tossici del “solito”. La società costruttrice di un inceneritore vede d’abitudine fra i suoi soci gli enti locali, cioè i politici. Quindi occorre “parlare” con loro, con i politici che da una valanga di denaro possono ottenere i mezzi per reggere una politica tra le più lussuose del mondo. Gli inceneritori costano comunque molto e in questo periodo, si sa, soldi non ce ne sono tanti. Ecco, quindi, che spuntano le centrali a biomassa. Molto meno costose, meno impegnative burocraticamente e di gran lunga meno vistose. Poi, con quel prefisso bio… Ma anche in questo caso il placet lo danno i politici locali. Nel solo Lazio, alla mia ultima verifica, ce n’erano 164 tra quelli funzionanti e quelli in fieri, ma i numeri sono in rigogliosa crescita. Va detto che, se l’impianto sta sotto il megawatt di potenza, può essere costruito e fatto funzionare senza mal di pancia di visti e carte bollate e, in più, ha la certezza di portarsi a casa almeno un milione l’anno garantito dallo Stato. Il che comporta un rientro sicuro dei costi di allestimento entro non più di quattro anni. E poi è tutta una festa. Ma sono così interessanti dal punto di vista energetico queste centrali? E quanto sono bio? Analizziamole brevemente. Una centrale dovrebbe fornire energia tutto l’anno, ma i vegetali hanno dei cicli che vanno con le stagioni e, soprattutto, hanno bisogno di un territorio piuttosto vasto che dia la materia prima. Con i liquami animali che vengono aggiunti una centrale non va certo avanti. Ecco, allora, comparire monoculture, spesso di mais, per uso non più alimentare ma come combustibile per le centrali. Si coltiva, insomma, per poi bruciare il raccolto. In questo momento in cui assistiamo ad esodi biblici di gente che scappa da territori non produttivi per la siccità, noi italiani rubiamo terre fertili per fare energia. Alcune volte gli enti locali non hanno dato il permesso di installare pannelli solari perché si sottrae terreno all’agricoltura, ma si permette, nel contempo, l’insediamento di centrali a biomassa. Alla faccia dell’etica oltre che del più comune buon senso. L’etica è quel ramo della conoscenza che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, vale a dire distinguerli in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati. Io sono convinta che la costruzione di queste centrali non sia moralmente lecita e sia un affronto a quei popoli che soffrono la fame per siccità da inaridimenti dei terreni per mancanza d’acqua dirottata altrove. Credo proprio ci sia di che vergognarsi. Ma ci sono altri aspetti che vanno valutati. Chi allestisce una centrale fa in modo che gli agricoltori che operano entro un determinato raggio convertano le loro coltivazioni a combustibile, cosa che non di rado questi fanno. È fin troppo ovvio che, poi, il loro prodotto si ritroverà con un solo compratore di fatto possibile e quel compratore potrà stabilire il prezzo a suo piacimento. Anche così, però, la fame di combustibili non si soddisfa e, perciò, dopo aver distrutto estensioni di bosco come, ad esempio, è il caso della Calabria, masse di diversa natura vengono importate da paesi lontani con qualche problema aggiuntivo. Arriva legname dal Sudamerica con un carico d’insetti non sempre benvenuti da noi. Arriva olio di palma dall’Estremo Oriente insieme con i pesticidi che contiene, pesticidi da noi vietati, magari, da decenni. Questo senza entrare nelle devastazioni delle foreste equatoriali che vengono perpetrate per darci quei combustibili, e dalle foresta arriva una frazione tutt’altro che trascurabile dell’ossigeno che, ci piaccia o no, dobbiamo respirare. Non ci se la dovesse fare anche così, resta l’extrema ratio: quegli impianti, per legge, possono utilizzare normalissimi rifiuti urbani o, tanto per fare un esempio di follia, pneumatici fuori uso. Bio? Fate voi. Anche se non ci aggrada, l’Universo funziona secondo regole sulle quali noi non possiamo intervenire. Una di queste prevede che sia impossibile distruggere la materia e si possa solo trasformarla in altra materia di pari massa. Insomma, tanto si brucia o, comunque, si tratta e altrettanto si ottiene. E, se ciò che esce da quelle centrali è pari a ciò che è entrato per massa, ben diverso è per tossicità. Di fatto i prodotti trasformati da quei processi sono quanto mai aggressivi per la salute e l’ambiente. A questo punto una domanda non marginale: qual è il grado di sicurezza di quegli impianti? La risposta non può altro che essere poco rassicurante. La Germania denuncia ogni anno centinaia d’incidenti, alcuni dei quali con qualche morto e tutti con più o meno gravi conseguenze ambientali. Uno studio del prof. Helge Böhnel dell’Università di Göttingen dimostra perfino che nelle aree che circondano gli impianti sono denunciati casi di malattie, soprattutto di tetano e di botulismo, parecchio superiori all’atteso. Ora la domanda naturale è: abbiamo bisogno di energia? Risposta: secondo l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas l’Italia è autosufficiente. La richiesta di punta fu toccata nel luglio 2005 con 56,8 GW (gigawatt, cioè miliardi di watt), mentre oggi siamo a25-30 GW con tendenza in calo. Ma l’installato, cioè la capacità dei nostri impianti, è oggi di 121 GW in crescita. Va detto, poi, in aggiunta, che il gas prodotto dalle centrali è povero di energia ed è pieno d’inquinanti mai analizzati compiutamente e, comunque, diversi da impianto ad impianto e perfino di occasione in occasione. Il 25 giugno 2013, durante la sua relazione annuale, il presidente dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ing. Guido Bortoni ebbe a comunicare che la domanda di energia in Italia è retrocessa ai livelli del 1998, aggiungendo che il dato, riferito al 2012, non mostra segnali di ripresa con una richiesta domestica in leggero aumento ed una industriale, vale a dire la domanda quantitativamente preponderante, in vistosa diminuzione. Chiunque può constatare, allora, che è strategico per l’Italia smettere di produrre energia. Questo, dati ufficiali alla mano, in barba alle informazioni del tutto fuorvianti che vengono correntemente diffuse. Se vogliamo proprio analizzare a fondo il perché dell’esistenza di queste centrali dobbiamo arrivare alla abitudini della politica nostrana, perché dal punto di vista etico, dal punto di vista di un vero businessman alla Adriano Olivetti di antica memoria, dal punto di vista non di un politico come lo concepiamo oggi ma di uno statista e dal punto di vista scientifico non se ne capisce la ragione. Quello di solido e semiliquido che rimane della fermentazione, il cosiddetto digestato, viene poi sparso nei campi spacciandolo per concime o ammendante perché non si sa dove metterlo e, quindi, si può produrre un ulteriore inquinamento sia chimico sia biologico per la presenza di patogeni. Chi ha detto che il digestato è sicuro? Al momento non c’è nessun controllo da parte delle agenzie dell’ambiente e nel digestato può finire di tutto, e questo tutto può inquinare l’ambiente, dal terreno alle falde acquifere. Per triste esperienza ho constatato che la politica arriva a negare le leggi della Fisica, se fa questo comodo. A quanto pare fra politica e etica il divario si fa di giorno in giorno più vasto e colmarlo diventa un miraggio. La politica attuale non riconosce i principi etici di base che dovrebbero governare la nostra società e di questo paghiamo tutti le spese. Ma a pagarle fino ad una sempre più probabile insostenibilità sarà la generazione in arrivo. * Antonietta Gatti, fisico e bioingegnere di formazione, ha deciso molti anni fa di fare ricerca direttamente dentro la Facoltà di Medicina, convinta che i problemi clinici dovessero essere risolti direttamente a contatto col paziente. Da più di 10 anni si occupa esclusivamente di malattie misteriose, di nanopatologie, acronimo inventato per il progetto europeo “Nanopathology” che diresse dal 2002 al 2005. Ha sviluppato una nuova tecnica diagnostica con cui verifica se nei campioni biologici patologici ci sono corpi estranei micro e nano dimensionati (polveri esogene) che testimoniano l’esposizione che il paziente ha avuto, e rintracciarne la sorgente. Sta collaborando con la Commissione Uranio Impoverito, con il Ministero della Difesa per le malattie dei nostri soldati in missioni di pace e nei poligoni e con il Dipartimento di Stato a Washington.
Posted on: Mon, 04 Nov 2013 19:48:28 +0000

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