1Lo storio russo Ivan Dujcev, intervenendo nel 1969 al Convegno - TopicsExpress



          

1Lo storio russo Ivan Dujcev, intervenendo nel 1969 al Convegno interecclesiale di Bari, presentava al mondo accademico dell’Occidente la traduzione in italiano dii un testo, sia pure non inedito, che essendo conservato in tre manoscritti in paleoslavo aveva fino a qual momento destato l’attenzione solo nell’ambito della storiografia ecclesiastica russa. Il testo, un typicòn monastico ritenuto frammentario, conosciuto solo in tre esemplari2 in due manoscritti conservati a Mosca e e uno alla Biblioteca Bodleiana di Oxford3, si è invece rivelato di interesse esorbitante rispetto ai confini della storiografia del monachesimo russo. Portando nell’intestazione il riferimento a “Patelara” e una attribuzione ad un “San Giovanni presbitero ed egumeno”, tale testo si rivela, a detta dello stesso Dujcev,, un “legame particolarmente interessante fra la Sicilia e il mondo slavo ortodosso”4. Le due indicazioni hanno permesso, vicendevolmente, di identificare il luogo con l’isola di Pantelleria a sud della Sicilia. Fu lo storico della Chiesa russa E. E. Golubinskij a dare notizia5 del typicòn, citandolo secondo i due manoscritti di Mosca, menzionò l’incipit nella traduzione e poi precisò l’identificazione dell’isola con Pantelleria6, mentre l’autore della Regola è da identificare con un San Giovanni egumeno di Pantelleria7, di cui fanno menzione il Sinassario Sirmondiano alla data del 4 agosto con il titolo di “omologhetes” e i Menei veneti alla data del 3 agosto8. La storiografia russa aveva già aperto addirittura un credito di ricerche nei confronti di questa figura di santo monaco. Il Dujcev riferiva: “Quel benemerito erudito che fu P. Ivan Martinov ha menzionato, fra gli altrti santi e beati, anche un nome poco conosciuto: “Joannes Confessor egumenus monasterii Patelarae” Scrive il Martinov: “Joannem, egumenum Patelarae, silentio praetereunt fere omnes, ut notatum est post Raderum et Bollandianis in praetermissin ad hanc diem (…) Attamen confessoris Siculus sane non qualemqumque nec obscurum sanctum indicat; nec magis aboscurum est monasterium Patelarae quod memni me alibi etiam offendisse in operis hujus decursu”. Il gesuita Russo P. Ivan Martinov ha dunque il merito particolare di avere attirato l’attenzione degli studiosi sulla persona di Giovanni, egumeno del monastero di “Patelara”. I nomi del monastero e del suo santo erano ormai da tempo familiari all’agiografia slava e bizantina, nessuno però di era occupato di essi in modo specialistico. Tuttavia al momento la stessa figura di “San Giovanni presbitero ed egumeno”9 e “Confessore”10 rimane avvolta nell’oscurità. Secondo Morini “la qualifica di “omologhetes” (…) fa pensare che sia vissuto al tempo dell’iconomachia”11. Il riferimento al tempo dell’iconoclastia è doveroso trattando di Pantelleria poiché i testi bizantini ci attestano come l’isola fosse luogo di esilio per gli iconoduli: In particolare, nel bios composto da San Metodio (secondo l’attribuzione del Gouillard12) si narra come l’imperatore Niceforo abbia relegato nell’isola per ventinove anni il vescovo Eutimio di Sardi con altri compagni, in un’isola che l’autore del bios definisce “le porte dell’Occidente”13. Ma non si può dimenticare che questa parte della cattolicità, ben prima del VII secolo fu sottoposta ad un’altra lotta e ad altre persecuzioni. E facciamo riferimento alla controversia sulla grazie e la predestinazione che in Africa vide in Fulgenzio di Ruspe uno dei campioni dell’ortodossia militante, sottoposta alle pressioni dei monarchi e all’esilio. E proprio fra le lettere teologiche di Fulgenzio di Ruspe vi è la Lettera XV, conosciuta come “Epistula episcoporum”, scritta dal santo vescovo africano dopo il suo rientro a Ruspe dall’esilio cagliaritano, negli anni 519-520, e che ha come primo destinatario un “Giovanni presbitero e archimandrita”. La sede vescovile di Ruspe, nell’attuale Tunisia, è nel contesto geografico in cui è compresa l’isola di Pantelleria e riteniamo almeno suggestiva l’ipotesi che il “san Giovanni Presbitero ed egumeno” del typicòn sia da identificare con il “Giovanni presbitero e archimandrita” destinatario della “Epistula episcoporum” e che il nostro San Giovanni di Pantelleria sia da qualificare come “Confessore” nell’ambito della controversia antipelagiana. Ottenere questa certezza permetterebbe di poter retrodatare in maniera veneranda il nostro testo tra le regole monastiche del IV-V secolo e costituirebbe anche una tappa preziosissima in vista della ricostruzione della storia cristiana dell’isola di Pantelleria. Il testo attuale, in paleoslavo, mostra una dipendenza da un testo greco, di cui rimangono tracce, ad esempio, nel calco “simantron”14 per indicare lo strumento di legno per dare il segnale delle attività monastiche. Evidentemente la retrodatazione del testo al contesto ecclesiale del IV-V secolo imporrebbe di ipotizzare che a sua volta il testo greco provenisse da un testo in lingua latina, tradotto in un’epoca in cui al monachesi di lingua latina si sostituisce il monachesimo di lingua greca, dopo la conquista o meglio la riconquista dell’isola da parte dell’Impero. Il nostro testo è considerato frammentario poiché non contiene, come ad esempio il typicòn del Monastero del SS.mo Salvatore di Messina, studiato da Arranz, precise e dettagliate indicazioni sulle letture e sugli inni. Tuttavia non tutti i typicà sono liturgici. Il nostro testo è abbastanza coerente e completo per quanto riguarda la disciplina monastica con indicazioni sui tempi di preghiera, di lavoro, la mensa, la disciplina penale e deve essere annoverato tra i typicà cosiddetti “ktorikà”, cioè tra quelli a contenuto disciplinare, e non liturgico, come il typicòn di S. Bartolomeo di Trigona15. Sorprendente, per noi latini abituati alla Regola di San benedetto, il fatto che non vi sia alcuna menzione dell’abate. Tuttavia questo particolare è interessante per individuare la possibile derivazione del nostro typicòn dalla regola monastica di San Pacomio, fondatore del monachesimo egiziano. Di quella regola, il nostro typicòn ha una connotazione orizzontalistica, con un governo assegnato ai “presbiteri” o “anziani” e la menzione di due sovrintendenti. Non pochi contatti presenta inoltre con la “Regula orientalis”, che dagli studiosi è riconosciuta ugualmente di derivazione pacomiana, e con la “Regola di Macario”, proveniente sempre dall’ambito del monachesimo egiziano16. : Ivan D. Mansvetov, Tserkovnii ustav (tipik), ego obrazovanie i sudba v greceskoi i russkoi tserkvi (Moscow, 1885), pp. 441–45; cf. Ivan Dujcev, “Il Tipico del monastero di S.Giovanni nell’isola di Pantelleria,” BBGG, n.s., 25 (1971), 3–17 Acconcia Longo, Augusta, Analecta hymnica Graeca e codicibus eruta Italiae inferioris, vol. 10: Canones Iunii (Rome, 1972), pp. 163–76, 375–81. ujcev, Ivan, “Riflessi della religiosità italo-greca nel mondo slavo ortodosso,” in La chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo. Atti del Convegno storico interecclesiale (Bari, 30 apr.–4 magg. 1969), vol. 1 (Padua, 1973), pp. 181–212. Falkenhausen, Vera von, “Patellaria,” ODB, p. 1594. ———, “Il monachesimo greco in Sicilia,” in La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee: Atti del sesto Convegno Internazionale di studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d‘Italia (Catania-Pantalica-Ispica, 7–12 settembre 1981) (Galatina, 1986), pp. 135–74, esp. 152–57. Odorico, Paolo, “La sanzione del poeta: Antioco di S. Saba e un nuovo carme di Arsenio di Pantelleria,” BS 49 (1988), 1–21, esp. 11–13. Rougeris, Petros, “Ricerca bibliografica sui ‘Typika’ italogreci,” BBGG, n.s., 27 (1973), 11–42, esp. 14. Scalia, Giuseppe, “Le Kuriate e Pantelleria. Osservazione onomastico-etimologiche,” Bulletin Du Cange 43 (1981–82, pub. 1984), 65–100.
Posted on: Thu, 26 Sep 2013 09:35:32 +0000

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