ADRIANO GUERRINI: POETA CONTRO-TEMPO di Luca Ariano La figura - TopicsExpress



          

ADRIANO GUERRINI: POETA CONTRO-TEMPO di Luca Ariano La figura poetica di Adriano Guerrini è difficilmente inquadrabile nel panorama poetico del Novecento; il suo modo di porsi verso la poesia e i poeti ne hanno fatto un “cane sciolto” e forse proprio questo suo essere contro corrente l’ha un po’ penalizzato post mortem, nonostante in vita una sua antologia fosse uscita ne “Lo Specchio” Mondadori (1978) rendendolo molto noto in ambito letterario. Esiste ancora in commercio un’edizione uscita nel 1996 in occasione del decennale della sua morte per De Ferrari Editore (Poesie 1941-1986) a cura di Francesco De Nicola con una testimonianza dell’amico Adriano Sansa, allora sindaco di Genova e della quale ci siamo avvalsi per la scelta dei testi. Fin dai suoi esordi poetici (L’adolescente, Liguria-Sabatelli, Savona, 1980, poemetto scritto tra il 1941 e il 1957) Guerrini si caratterizza per una decisa distanza sia dalla poesia ermetica sia dalla poesia neorealistica imperante in quegli anni; pubblica è la sua avversione ai “fumisti ermetici di un tempo e ai fumisti linguistici”1 e sono chiari sin da subito i suoi modelli pascoliani e crepuscolari. Così scriveva in una lettera inviata ad Antonio Baldini nel 1951: Essa, nelle sue numerose sfumature, si muove intorno a qualche poeta non più giovane (Valeri, Saba, Cardarelli, Govoni e Betti), a qualche altro meno anziano (Fiumi, Capasso) e a movimenti come quello del “realismo lirico”. [...]2 È a questa corrente che Guerrini si sente vicino e alla cui poetica sarà fedele per tutta la vita. I veri maestri furono indubbiamente Sbarbaro, Montale e Caproni. Del primo il poeta romagnolo apprese la grande carica umana ed un certo gusto per versi prosastici, mentre Montale fu indiscutibilmente maestro per tutta la sua generazione, infine con Caproni ebbe un’intensa amicizia durata tutta la vita. Proprio a quest’ultimo si deve la scoperta di Guerrini poeta con una recensione sulla «Fiera Letteraria». Così Caproni scrisse su L’Adolescente: «Una brevissima novella ad un estremo spianamento metrico, e soprattutto all’insistente svolgimento dei versi e delle stesse raccolte più mature, in cui un’erronea impressione di facile discorsività, ha più esatta definizione in raggiunta semplicità espressiva, in una classica scelta, conquistata con rigore stilistico e decantata padronanza dei mezzi.»3 Ne l’Età di ferro (Rebellato, 1958) Guerrini prosegue con la sua poetica contro corrente ed il titolo va inteso come metafora della sterminata periferia industriale genovese o epoca “barbarica” di sopraffazione; questa raccolta mette in evidenza la visione del poeta che prova sgomento di fronte all’uomo che mortifica e rovina la natura portando all’autodistruzione l’uomo stesso. Se si pensa che queste poesie sono state scritte nei primi anni ‘50 ci accorgiamo di come la lezione del nostro sia ancora attuale e precorritrice dei tempi; così scriveva nella poesia che dà il titolo alla raccolta: «Per le strade, nelle città, / sorretti sul girone dei giorni / da futili pretesti e clamori, / fuggiamo precipizi di vuoto. [...] Antico ammonimento! Ecco è giunta / l’età di ferro, la fine dei tempi. / Vuoto il mondo, senza più senso; / cupe strisce s’addensano in cielo.» Un altro filone poetico del Nostro (in fondo collegato al primo) è una vena polemica e satirica contro l’attualità, ma anche contro i poeti e gli intellettuali del periodo. Violenta fu la critica al Gruppo ‘63 e ad uno dei suoi fondatori (A Edoardo Sanguineti). Questa emerge nella raccolta Polemica (pubblicata a cura dell’autore nel 1966) divisa nelle due sezioni dai titoli sintomatici “Satire” e “Polemiche” e in particolare nella poesia Il genio nazionale: Rettorica [sic] e camorra? / Ma in principio era il verbo / ed infine era il furbo: è il genio nazionale.» [...] che potrebbe essere stata scritta nei nostri giorni, oppure in Poeti: «[...] Tra la vita e la pagina. / tra il fare e il predicare, / c’è sempre il nostro mare.» [...]. Lo stile è caratterizzato da versi brevi, anafore e forme chiuse. Così scriveva in una lettera ad Adriano Sansa riferendosi al Gruppo ‘63: «la volontà dell’avanguardia è di conquistare potere là dove polemizza contro la letteratura come potere.»4 La sua polemica prosegue anche nella raccolta Poesie politiche (Scheiwiller, 1976) dove le strofe si fanno discorsive e il ritmo appare lento e riflessivo proprio degli ipermetri5 ed evidente è qui l’influsso stilistico di Sbarbaro. Nel 1974 sempre per Scheiwiller era uscita la raccolta Jon il Groenlandese in cui l’autore descrive la catastrofe ecologica del pianeta. Il titolo gli fu ispirato dalla lettura del libro di Jones: Antichi viaggi di scoperta in Islanda, Groenlandia e America (Bompiani, 1966) e il poeta romagnolo di nascita, ma ligure d’adozione s’immagina “la terra senza di noi” dopo appunto un disastro ecologico. Così si esprime il poeta nella poesia Siamo vissuti: «Siamo vissuti quando coloro / che volevano mutare il mondo / offrivano, contro, il presente, / solo un volto inumano dell’uomo.» [...] In quindici poesie a qualcuno (Sabatelli, 1981) il poeta non perde la sua verve e il suo tono polemico ma si avverte un tono crepuscolare, quasi a presagire la propria fine che di lì a qualche anno lo avrebbe colto come evidente in questa lettera al poeta Biagio Marin: L’8 aprile compio sessant’anni e a questa bella età quasi tutto quello che ho fatto è ancora nei cassetti, la frustrazione si aggiunge alla musoneria, e mi cresce sempre più forte la tentazione di smettere ormai, non solo la comunicazione orale coi miei simili, ma anche quella in prosa e in versi.6 Come si evince da questo passo il poeta si sente sempre più distaccato da un mondo che non gli appartiene più, da una società che sente lontana. Importante, oltre all’attività poetica, fu il suo percorso critico ed intellettuale che lo portò, oltre che a collaborare con numerose riviste, a fondare e dirigere le riviste «Resine» e «Diogene». Nella poesia Epitaffio (dicembre 1983) uscita sulla rivista «Resine» e poi ripresa nel volume a cura di Francesco de Nicola nella sezione Ultimi versi, così si congedava: «Visse nel tempo in cui la storia tornava a sembrare / il caos originario. / Sapeva di morire. [...] Torbida la sua vita, ma sempre limpida la pagina: / tra preziosi ed oscuri destinata a fallire.» [...] Così ci lasciava il poeta e noi ci auguriamo che la sua opera venga riscoperta e valorizzata a livello nazionale come lo fu quando il poeta era in vita e le sue poesie erano conosciute anche dagli studenti delle scuole liguri.7 in Il Foglio Clandestino, n. 61, 2007. 1 In Giovanni Cattanei, La Liguria e la poesia italiana del Novecento, Milano: Silva, 1966, p. 368. 2 In Francesco De Nicola, a cura di, Poesie (1941-1986), De Ferrari, Genova 1996, p. XVII. 3 In G. Cattanei, op. cit. p. 373. 4 In ibidem, p. XX. 5 Cfr. Davide Puccini in Poesia italiana: Il Novecento, Garzanti, Milano 1988, p. 901. 6 In F. De Nicola, op. cit. p. XXI. 7 In Ibidem, p. XI.
Posted on: Wed, 07 Aug 2013 09:00:35 +0000

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