Componenti del gruppo brigatista e loro dislocazione in via - TopicsExpress



          

Componenti del gruppo brigatista e loro dislocazione in via Fani[modifica | modifica sorgente] Il numero reale dei componenti del gruppo brigatista in via Fani, la loro identità e la loro dislocazione sul luogo dellazione sono stati fin dallinizio elementi fortemente discussi e fonti di grandi diatribe e valutazioni ampiamente discordanti in sede processuale, pubblicistica e storica. I brigatisti, collaboranti o comunque interessati a descrivere i fatti di via Fani, hanno fornito nel corso del tempo informazioni spesso contraddittorie, non del tutto attendibili, ed hanno mostrato una notevole reticenza riguardo a questo argomento decisivo. Inizialmente nessun brigatista direttamente partecipante agli eventi di via Fani collaborò con gli inquirenti e quindi il primo processo, nel 1982, sui fatti del sequestro Moro dovette basarsi su elementi indiziari e sulle testimonianze di alcuni pentiti, tra cui Patrizio Peci, che non essendo stati coinvolti attivamente, riferirono solo informazioni non molto attendibili apprese in via indiretta. Il primo processo condannò dieci terroristi come responsabili materiali dellagguato: Mario Moretti, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari, Barbara Balzerani, Adriana Faranda, Raffaele Fiore, Valerio Morucci, Luca Nicolotti e Bruno Seghetti[160]. Fu Valerio Morucci che, a partire dalla sua testimonianza resa davanti alla Commissione parlamentare dinchiesta del 1983, iniziò a raccontare dettagliatamente i particolari dellagguato pur rifiutandosi inizialmente di fornire i nomi dei partecipanti. Egli in un primo momento disse che i terroristi coinvolti erano stati poco più di dodici, quindi durante il processo dappello del 1985 ridusse il numero a nove partecipanti. In quella sede egli ricostruì le fasi dellagguato; escluse che Lauro Azzolini, Luca Nicolotti e Adriana Faranda avessero fatto parte del gruppo di via Fani e implicitamente invece confermò che gli altri condannati in primo grado avevano effettivamente concorso al fatto criminale; le sue affermazioni furono ritenute attendibili dalla corte[161]. Autorità e forze dellordine in via Fani poco dopo lagguato. Nel corso degli anni i brigatisti confermarono la presenza di Moretti, Bonisoli, Gallinari, Balzerani, Fiore, Morucci e Seghetti e diedero una loro parziale ricostruzione dei fatti e del ruolo dei principali partecipanti in via Fani; inoltre Morucci nel terzo processo sul caso Moro rivelò indirettamente che anche Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri erano stati parte del gruppo con il ruolo di copertura posteriore lungo via Fani[162]. Nel 1993 Mario Moretti nel suo libro di memorie descrisse la presenza di un decimo componente, una donna, identificata in un secondo tempo in Rita Algranati, che avrebbe avvistato per prima le auto del politico democristiano e segnalato larrivo del convoglio[163]; infine nel 1994 comparve anche il nome di Raimondo Etro di cui venne ritenuta probabile la presenza nella zona il 16 marzo con il compito di raccogliere dopo lagguato le armi utilizzate dal gruppo di fuoco[164]. Tuttavia, sulla base delle risultanze processuali e dellinchieste delle commissioni parlamentari, le versioni dei brigatisti, modificate numerose volte durante gli anni, non sono state ritenute del tutto esaurienti; in questa sede, ed anche a livello pubblicistico, si è continuato a ritenere che il numero dei partecipanti in via Fani sia stato più alto. In particolare, oltre ad ipotizzare la presenza di altre persone allincrocio di via Stresa in appoggio della Balzerani e di unaltra persona già a bordo della Fiat 128 blu su cui sarebbero fuggiti Morucci, Balzerani e Bonisoli[165], è stato ritenuto soprattutto altamente probabile che almeno altri due terroristi fossero presenti a bordo di una moto Honda, come riferito fin dallinizio da almeno tre testimoni tra cui lingegnere Alessandro Marini che, a bordo di un motorino allincrocio di via Fani con via Stresa, avrebbe visto i due sulla moto, ricevendo anche dei colpi di mitra che colpirono il suo parabrezza[166]. Anche lagente della Polizia stradale non in servizio Giovanni Intrevado che, con la sua Fiat 500, venne bloccato allincrocio di via Stresa da una donna armata di mitra senza poter intervenire, riferì di aver visto una moto di grossa cilindrata con due uomini a bordo[167]. La presenza di altri militanti su una moto Honda è invece sempre stata smentita dai brigatisti[168][169]. Inoltre dal racconto di alcuni testimoni, tra cui lo stesso ingegnere Marini, e dalle risultanze delle perizie sui cadaveri, in sede processuale si sono raggiunte conclusioni parzialmente discordanti rispetto alla versione dei brigatisti sulla esatta modalità dellagguato; queste ricostruzioni prevederebbero la presenza di un altro uomo a bordo della Fiat 128 CD accanto a Moretti[170]. Sarebbe stato questuomo, secondo la perizia del processo del 1993, che sarebbe sceso dal lato destro della Fiat 128 CD e avrebbe aperto il fuoco dalla destra della strada colpendo subito mortalmente il maresciallo Leonardi. Questa ricostruzione permetterebbe di spiegare le direzioni dei colpi rilevate dalle perizie sui corpi del maresciallo Leonardi, nove colpi rinvenuti con orientamento da destra a sinistra, dellagente Rivera, cinque colpi da destra a sinistra, e forse dellagente Iozzino e del vicebrigadiere Zizzi, su cui le perizie sono più incerte[171]. Sullidentità di questo ipotetico brigatista in azione sul lato destro della strada non si è giunti a conclusioni realmente attendibili anche se lo scrittore Manlio Castronuovo ritiene che egli fosse Riccardo Dura, brigatista genovese particolarmente determinato, morto nel 1980 nello scontro di via Fracchia a Genova[170]. I brigatisti hanno sempre escluso la presenza di loro militanti sul lato destro della strada e hanno evidenziato che essi aprirono il fuoco solo dalla sinistra per evitare gravissimi rischi di incidenti fortuiti con la possibilità di colpirsi tra loro per errore[172]. In effetti deve essere rilevato che la maggior parte dei testimoni oculari riferirono soltanto di aver visto un numero variabile di avieri sparare dal lato sinistro della strada contro le auto ferme[173]. Riguardo alla eventuale presenza di Riccardo Dura in via Fani, Valerio Morucci la escluse decisamente in sede processuale rivelando che il brigatista genovese effettivamente era stato in un primo tempo compreso nel gruppo con il ruolo di aiutare Barbara Balzerani allincrocio di via Stresa, ed era anche giunto a Roma dove abitava nellappartamento di questultima[174], ma alcuni giorni prima dellagguato si decise di rinunciare alla sua partecipazione[175]. La fuga dei brigatisti[modifica | modifica sorgente] Le circostanze della fuga dei brigatisti hanno suscitato dubbi, e le ricostruzioni fornite dai terroristi non hanno mancato di provocare incredulità e scetticismo negli inquirenti e negli storici e giornalisti. Secondo i racconti dei brigatisti, in via Bitossi sarebbe state parcheggiate preventivamente, senza occupanti a bordo, il furgone su cui era previsto il trasbordo dellostaggio e la Citroën Dyane; questo particolare è sembrato sorprendente perché proprio in via Bitossi stazionava sempre lautoradio del Commissariato di Monte Mario che ogni giorno fungeva da scorta del magistrato Walter Celentano[176]. Inoltre i due agenti dellautoradio, Nunzio Sapuppo e Marco Di Bernardino, dichiararono di non ricordare alcun furgone presente quella mattina in via Bitossi[177]. Posti di blocco della polizia durante il sequestro Moro; i tentativi di intercettare i terroristi non ebbero alcun successo. Il 16 marzo 1978 la centrale operativa della Questura, dopo aver ricevuto il primo allarme, allertò per prima proprio questa autopattuglia che partì subito da via Bitossi e raggiunse in pochi minuti via Fani percorrendo però un percorso via Pietro Bernardini, Piazza Ennio, via della Camilluccia e via Stresa che impedì di incrociare le auto in fuga dei terroristi. Abbandonando via Bitossi, quindi gli agenti non poterono intercettare i brigatisti che furono liberi di salire sul furgone e la Dyane. Non è sembrato molto chiaro perché fosse stata allertata per prima proprio quellautopattuglia in servizio di scorta, dato che, secondo la testimonianza di un agente della Polizia stradale non in servizio presente casualmente, Renato Di Leva, in via Stresa sarebbe stata presente unaltra auto di servizio, che viaggiava con i segnali di allarme accesi, e che avrebbe incrociato le auto dei brigatisti[178]. Non è stata mai chiarita leffettiva presenza nella zona di una seconda auto della polizia nei primi minuti dopo il sequestro[179]. La testimonianza di Francesco Pannofino, presente vicino alledicola in via Fani nei momenti dellagguato, aggiunge ulteriori dubbi; egli riferì che dopo la fine della sparatoria vide unAlfetta bianca (o un Alfa Romeo Alfasud) da cui scesero alcuni uomini in borghese con la paletta della polizia, che sarebbero arrivati nei primissimi minuti sul luogo e avrebbero dato segno di disperazione alla vista dei colleghi morenti. Dalla documentazione fotografica di quella mattina sembrerebbe di identificare unauto Alfasud, parcheggiata sul lato sinistro di via Fani, con una targa del Ministero degli Interni. Non si hanno notizie precise neppure di questa circostanza, né sullidentità di questo personale in borghese che sarebbe giunto ancor prima dellautopattuglia di Monte Mario[180]. Inoltre alcuni scrittori hanno messo in dubbio tutto il percorso di fuga riferito dai brigatisti nei loro racconti; soprattutto la decisiva deviazione su via Casale de Bustis che permise di far perdere le tracce. Inizialmente molti testimoni segnalarono le tre auto in fuga; addirittura un ex agente di polizia, Antonio Buttazzo, trovandosi vicino a via Fani, assistette al conflitto a fuoco e quindi seguì per un tratto con la sua auto la Fiat 132 dei terroristi con il sequestrato a bordo. Giunto in largo Cervinia, Buttazzo vide giungere unauto della polizia a cui indicò la direzione di fuga dei terroristi, ma i poliziotti non riuscirono a riprendere linseguimento, apparentemente proprio perché i brigatisti deviarono bruscamente su via Belli-via Casale de Bustis[181]. In giallo è indicato il quartiere Portuense in Roma dove si trova via Camillo Montalcini. Secondo Sergio Flamigni il racconto dei brigatisti non è credibile; secondo lui sarebbe inspiegabile la presenza di efflorescenze impigliate nella Fiat 132 che vennero repertate nellauto rinvenuta in via Licinio Calvo; inoltre non ci sono testimonianze oculari da via Massimi in avanti. Una donna, Elsa Maria Stocco, che vide unauto da cui discese un uomo in divisa daviere senza cappello (verosimilmente Valerio Morucci) con una valigetta in mano, riferì che in realtà nel furgone sarebbe stata già pronta unaltra persona alla guida. Il trasferimento del sequestrato allaperto in Piazza Madonna del Cenacolo, come asserito dai brigatisti, apparentemente era molto rischioso, essendo presenti nellarea numerosi palazzi, locali pubblici e un forte traffico di veicoli[182]. Si è ritenuto anche poco credibile che durante tutta la lunga seconda parte della fuga, fino al parcheggio sotterraneo di Piazza dei Colli Portuensi, fossero presenti solo tre brigatisti, Moretti, Morucci e Seghetti, insieme al sequestrato nascosto nella cassa; in caso di complicazioni o posti di blocco, un numero così modesto di militanti non sarebbe stato in grado di proseguire lazione. In precedenti sequestri le Brigate Rosse avevano impiegato un maggior numero di autoveicoli e di militanti per assicurare la riuscita delloperazione[183]. Anche lultima parte del percorso di fuga, fino a via Montalcini 8, presenta alcuni punti oscuri. Dai racconti dei brigatisti risulta che ai Colli Portuensi era gia in attesa Prospero Gallinari; non è chiaro però come egli potesse essere già arrivato e con quali mezzi fosse giunto nel parcheggio sotterraneo da Piazza Madonna del Cenacolo dove il gruppo iniziale si era diviso. Ci sono contraddizione inoltre su chi fosse effettivamente presente ai Colli Portuensi, oltre a Gallinari, per il trasbordo finale di Moro sullauto di Anna Laura Braghetti. Secondo Moretti nel parcheggio erano in attesa Gallinari e la stessa Braghetti; secondo questultima invece fu Germano Maccari che si recò allappuntamento mentre lei sarebbe rimasta in ansiosa attesa in casa; Maccari infine riferì che egli non si mosse dallabitazione e che lauto con il sequestrato fu condotta in via Montalcini solo da Moretti e Gallinari[184]. Infine è stato sollevata ancora unaltra questione: secondo il racconto dei brigatisti solo Mario Moretti e Prospero Gallinari conoscevano tutti i dettagli del piano di fuga e soprattutto lubicazione dellappartamento dove sarebbe stato nascosto Aldo Moro. Nel caso in cui fossero sorti problemi durante lazione in via Fani con il ferimento o la morte di questi due brigatisti non è sembrato chiaro come i militanti superstiti avrebbero potuto proseguire loperazione. In realtà altri due brigatisti, Valerio Morucci e Bruno Seghetti, pur ignorando la base di via Montalcini, erano a conoscenza dellultimo appuntamento nel parcheggio dei Colli Portuensi dove sapevano che sarebbero stati in attesa i militanti destinati a custodire lostaggio[185]. Secondo la Braghetti in caso demergenza era anche stato previsto che questi due brigatisti avrebbero potuto momentaneamente trasferire il sequestrato in un altro luogo in attesa che un nuovo componente del Comitato Esecutivo scendesse dal nord per prendere la direzione delloperazione al posto di Moretti[186]. Altre questioni materia di discussione[modifica | modifica sorgente] Indizi precedenti lagguato[modifica | modifica sorgente] Dalle informazioni raccolte dopo i fatti e dalle testimonianze posteriori di una serie di personaggi, sembrerebbe che prima del 16 marzo 1978 fossero stati rilevati alcuni segni inquietanti per la sicurezza dellonorevole Moro. Una moto e appostamenti sospetti furono notati nelle vicinanze dello studio delluomo politico[187], il maresciallo Leonardi sembra che avesse manifestato forti preoccupazioni, le minacce delle Brigate Rosse verso la Democrazia Cristiana erano ormai sempre più esplicite, nellambiente del Movimento e dellestremismo di sinistra romano erano diffuse voci di un imminente, spettacolare, azione delle BR nella capitale; un equivoco studente russo, Sergeij Sokolov, risultato poi un agente del KGB, ebbe contatti con Moro nellambito universitario[188]. Un oscuro personaggio statunitense, Ronald Stark, avrebbe fornito ai carabinieri informazioni sul possibile sequestro di un importante uomo politico a Roma, apparentemente senza provocare alcun allarme. Inoltre durante la stessa giornata del 16 marzo alcuni testimoni segnalarono che Renzo Rossellini avrebbe annunciato lagguato ed il sequestro di Aldo Moro, dallemittente radiofonica Radio Città Futura, intorno alle ore 08:15-08:20, quindi ancor prima dello svolgimento dei fatti; uno dei testimoni ricordò di aver ascoltato la frase: forse rapiscono Moro[189]. Rossellini ha sempre smentito questa circostanza ed ha affermato che egli effettivamente aveva parlato nelle sue trasmissioni, sulla base di considerazioni personali e di voci diffuse negli ambienti estremistici, solo di un prevedibile incremento dellattività terroristica in corrispondenza con la nuova fase politica, senza fare alcun nome. Non essendo disponibili registrazioni della trasmissione di Radio Città Futura, non si è potuto giungere a conclusioni definitive[190]. Nel corso degli anni sono state svolte approfondite indagini su tutti questi fatti senza riscontrare alcun collegamento con gli eventi del sequestro e con le Brigate Rosse; risultò che Sokolov era stato anche controllato dai servizi segreti italiani ma senza riscontrare nulla. Stark invece era un personaggio torbido e la sua storia rimane di dubbia attendibilità. In pratica, tutti i cosiddetti segnali premonitori sul momento non sembrarono molto allarmanti, nel quadro della situazione reale italiana degli anni settanta, e solo a posteriori, dopo i tragici fatti, sono stati considerati potenzialmente importanti per prevenire lattacco eversivo[191]. Possibili interferenze esterne[modifica | modifica sorgente] Alcune circostanze sorprendenti hanno favorito il sorgere di sospetti sulla possibile presenza in via Fani di componenti estranee alle Brigate Rosse e sulleventualità che i servizi segreti italiani fossero a conoscenza in anticipo dellagguato ed avessero evitato di intervenire per prevenirlo. Nel 1990 lagente del SISMI Pierluigi Ravasio rivelò per la prima volta che il suo superiore diretto allinterno del servizio segreto militare, colonnello Camillo Guglielmi, era stato presente in via Fani nel momento dellagguato il 16 marzo 1978; dalle indagini subito espletate risultò in effetti che il colonnello Guglielmi quella mattina si stava recando in via Stresa 117 verso le ore 09:30. Lufficiale peraltro disse di aver seguito vie laterali e di non essersi affatto accorto dellagguato di cui avrebbe avuto notizia solo dopo essere arrivato a casa del collega, colonnello DAmbrosio, da cui aveva ricevuto, a suo dire, un invito a pranzo. La circostanza della presenza di un ufficiale del SISMI nei pressi di via Fani il mattino del 16 marzo 1978 ha sollevato notevoli dubbi; alcuni hanno ritenuto che questo fatto confermasse che i servizi segreti erano preventivamente a conoscenza delle intenzioni dei brigatisti o addirittura che personale dei servizi fosse direttamente coinvolto. Si è inoltre affermato che Guglielmi avrebbe anche espletato il ruolo di addestratore del personale di Gladio a Capo Marrargiu in Sardegna[192][193]. In realtà non esistono elementi concreti di conferma ed inoltre deve essere rilevato che al momento dei fatti il colonnello Guglielmi non era ancora alle dipendenze del SISMI ma era a disposizione della Quarta brigata carabinieri e prestava servizio a Modena; lo stesso Ravasio allepoca non era ancora un agente del SISMI né di Gladio[194]. Un altro elemento di sospetto è risultato dalla singolare vicenda di Bruno Barbaro, cognato del colonnello Fernando Pastore Stocchi, dirigente della base di Capo Marrargiu e collaboratore del generale Vito Miceli. Barbaro possedeva un ufficio nel palazzo ad angolo tra via Fani e via Stresa; poco prima del 16 marzo 1978 egli avrebbe ceduto questo locale a dei giovani non meglio identificati che vi sarebbero rimasti fino a dopo il sequestro; è stata ventilata lipotesi che si trattasse di personale dei servizi; peraltro non è stato trovato alcun riscontro documentale per avvalorare questi sospetti[195]. Esiste inoltre il sorprendente racconto di Antonino Arconte, ex agente della cosiddetta Gladio delle centurie, struttura segreta denominata anche SuperSID allinterno dellorganizzazione Gladio, comandata dal generale Vito Miceli. Arconte ha rivelato che il 2 marzo 1978 ricevette lordine di recarsi in Libano per organizzare insieme ad un altro agente, colonnello Mario Ferraro, trattative segrete tramite i palestinesi, con le Brigate Rosse per favorire la liberazione di Aldo Moro. Il responsabile del progetto sarebbe stato il colonnello Stefano Giovannone, persona conosciuta anche dallo stesso Moro che lo citò nelle sue lettere dalla prigionia come possibile intermediario. Da questo racconto si evincerebbe quindi che quindici giorni prima di via Fani i servizi erano già a conoscenza delle intenzioni delle Brigate Rosse ma non avrebbero fatto nulla per bloccare il loro piano[196]. Deve tuttavia essere evidenziato che il racconto di Arconte, persona con condanne per calunnia e traffico di stupefacenti, presenta contraddizioni ed aspetti inattendibili. In primo luogo il colonnello Ferraro nel 1978 non era affatto presente in Libano, dove giunse solo nel 1986; la procedura che sarebbe stata adottata per eseguire la missione, viaggio in nave fino a Beirut, sembrerebbe molto lenta e poco pratica ai fini di un compito così urgente e importante; le disposizioni di segretezza dei documenti da consegnare, lettera scritta non in codice, sembrerebbero molto superficiali; lautenticità dei documenti presentati da Arconte non è stata confermata con certezza; non esistono altre fonti che possano confermare il racconto[197]. I brigatisti avieri[modifica | modifica sorgente] I quattro brigatisti travestiti da avieri nella finzione cinematografica del film Il caso Moro, regia di Giuseppe Ferrara. I quattro brigatisti, Matteo, Marcello, Giuseppe e Luigi, incaricati di eliminare gli uomini della scorta erano travestiti da avieri Alitalia con lunghi impermeabili azzurri e berretti con visiera dello stesso colore. Questa particolare circostanza fu subito rilevata da numerose persone presenti sul luogo dellagguato e riferita nelle diverse testimonianze rese agli inquirenti; numerosi testimoni videro prima dellagguato questi uomini vestiti con divise azzurre e berretti con visiera camminare nelle vie circostanti via Fani o ferme davanti al bar Olivetti[198]. Sul motivo di questa singolare travestimento sono sorte quindi discussioni e interpretazioni discordanti. Si è ritenuto che i quattro indossarono questo travestimento per riconoscersi tra loro, soprattutto perché qualcuno dei componenti sarebbe stato estraneo al gruppo brigatista e non appartenente allorganizzazione. I brigatisti invece hanno sempre sostenuto che le divise Alitalia servivano soprattutto ad evitare di insospettire gli abitanti della zona. Nel caso che si fosse dovuto rinviare più volte lazione, la presenza ripetuta di alcuni sconosciuti nello stesso punto avrebbe potuto suscitare curiosità e segnalazioni alle forze delordine; al contrario presentandosi come dipendenti in uniforme dellAlitalia, apparentemente in attesa del pulmino per recarsi sul luogo di lavoro, i quattro sarebbero certamente stati notati ma non avrebbero insospettito le persone sul posto[199]. La scelta di via Fani[modifica | modifica sorgente] Nel corso degli anni è stata spesso riproposta la questione della perfetta scelta da parte brigatista del luogo giusto per effettuare lattentato, ventilando la possibilità che fossero stati favoriti da poteri oscuri che li informarono dellesatto percorso delle auto del presidente. Alcuni scrittori hanno asserito che il percorso seguito dalle auto variava continuamente e che non era affatto prevedibile che quel 16 marzo lonorevole Moro sarebbe transitato proprio in via Fani. In realtà le testimonianze degli uomini della scorta delluomo politico che erano in turno di riposo quel giorno e di alcuni suoi collaboratori non confermarono queste affermazioni e riferirono cose molto differenti[200]. Questi militari, i brigadieri Pallante e Gentiluomo, gli agenti Pampana e Lamberti e lappuntato Riccioni, affermarono che lonorevole Moro era molto metodico e nella maggior parte dei casi trascorreva la prima parte della mattinata secondo orari precisi e seguendo sempre le stesse attività; da circa quindici anni egli, quando non aveva impegni straordinari, usciva quasi sempre alle ore 09.00 dalla sua abitazione in via del Forte Trionfale e si faceva portare alla Chiesa di Santa Chiara. Il percorso seguito per raggiungere la chiesa era sempre lo stesso tranne in casi particolari legati a problemi di traffico; di regola seguiva via del Forte Trionfale, via Trionfale, via Mario Fani, via Stresa, via della Camilluccia. Quindi i brigatisti, avendo svolto unapprofondita indagine preliminare sulle abitudini del presidente, furono in grado di prevedere con ragionevole certezze che in via Mario Fani si sarebbe presentata lopportunità di organizzare lagguato[201]. Il ritrovamento delle auto in via Licinio Calvo[modifica | modifica sorgente] Secondo le ricostruzioni fornite dai brigatisti, le tre auto impiegate per lattacco di via Fani e il sequestro dellonorevole Moro furono abbandonate tutte insieme nello stesso momento in via Licinio Calvo, una strada secondaria a senso unico nel quartiere Trionfale, dopo il completamento del trasbordo dellostaggio in Piazza Madonna del Cenacolo. Effettivamente la Fiat 132 blu venne rinvenuta lungo quella strada dalle forze dellordine fin dalle ore 09:23, ma le altre due non furono individuate subito: la Fiat 128 bianca venne ritrovata alle ore 04:10 del 17 marzo e la Fiat 128 blu solo alle ore 00:30 del 19 marzo, sempre in via Licinio Calvo[202]. Dalle indagini effettuate sembrerebbe che la versione dei brigatisti non sia veritiera; alcune testimonianze affermerebbero che le altre due auto non erano presenti nei primi minuti dopo il sequestro; da alcune riprese televisive sembra di poter escludere che le due Fiat 128 fossero sul posto al momento del ritrovamento della Fiat 132 blu. Secondo gli inquirenti, dopo il primo ritrovamento venne effettuato un accurato controllo di tutte le auto parcheggiate lungo la via e non fu trovata traccia delle altre macchine del sequestro[203]. Viene quindi ritenuto probabile che le due Fiat 128 furono abbandonate dai brigatisti in via Licinio Calvo solo in un secondo momento. Rimane da chiarire se effettivamente gli inquirenti effettuarono tutti i controlli necessari lungo la strada dopo il ritrovamento della Fiat 132 blu e soprattutto il motivo per cui i brigatisti lasciarono tutte e tre le auto, verosimilmente in tempi diversi, nello stesso punto, correndo notevoli rischi di essere individuati. È stata ventilata lipotesi che i brigatisti disponessero di una base logistica nei pressi di via Licinio Calvo, dove le macchine sarebbero state nascoste dopo il sequestro e da dove sarebbero state spostate di notte lungo la strada[204]. Le foto mancanti[modifica | modifica sorgente] Non esistono fotografie o filmati effettuati durante lagguato di via Fani, ma una persona, il carrozziere Gherardo Nucci, scattò una serie di fotografie immediatamente dopo lo scontro a fuoco. Rientrando alle ore 09:00 a casa, in via Fani 109, percorrendo via Stresa, questuomo arrivò sul luogo della strage, salì nella sua abitazione e dal quinto piano effettuò le riprese fotografiche. Il rullino con queste foto fu poi consegnato agli inquirenti che lo trattennero. Tuttavia tutte queste foto sono scomparse; il magistrato Infelisi affermò che, essendo di nessuna rilevanza, non furono acquisite agli atti per il processo e quindi furono riconsegnate a Nucci che peraltro ha invece sostenuto che gli furono restituite solo le foto professionali presenti nel rullino insieme a quelle di via Fani[205]. La scomparsa di queste foto ha fatto sorgere nuovi interrogativi; si è ritenuto che in queste immagini avrebbero potuto essere presenti indizi importanti per le indagini, che fossero riconoscibili personaggi, estranei alle Brigate Rosse, coinvolti nellagguato. Si è parlato di un presunto interesse da parte di ambienti malavitosi calabresi per queste foto; infine alcuni hanno ritenuto che dalle foto sarebbe stato possibile individuare altri brigatisti di supporto, presenti in zona in funzione di osservatori, dopo lattentato[206]. Le borse di Moro[modifica | modifica sorgente] Aldo Moro aveva nella Fiat 130 cinque borse, tra cui una, contenente apparentemente documenti di grande importanza, che egli portava sempre con sé; unaltra borsa conteneva medicinali, mentre nelle ultime tre cerano tesi di laurea dei suoi studenti e bozze di lavoro. I brigatisti affermarono di aver sottratto due di queste cinque borse; Valerio Morucci le recuperò dallauto e le caricò prima sulla Fiat 128 blu e quindi sul furgone; quindi queste borse, che, secondo i terroristi, contenevano medicinali e documenti delluniversità, sarebbero finite in un primo tempo in via Montalcini, da dove Moretti le avrebbe poi fatte uscire per analizzare il materiale in sede di Comitato esecutivo. Il contenuto appantemente venne ritenuto di scarso rilievo e distrutto[207]. È sorto quindi il problema della sorte della borsa contenente, a dire anche della moglie del presidente, documenti di grande importanza, forse interessanti anche lo scandalo Lockheed. Dopo lagguato gli inquirenti recuperarono prima due borse nei sedili posteriori della Fiat 130, la mattina del 16 marzo, e quindi una terza borsa, nel bagagliaio posteriore dellauto, cinque giorni più tardi; tutte queste borse non contenevano documenti di rilievo. Non è chiaro quindi il destino della borsa, a cui lo stesso Moro fece riferimento in alcune delle sue lettere durante il sequestro, con i documenti più riservati. Dalle testimonianze oculari dellagguato, in particolare quella di Pino Rauti, sembra che Moro avesse in mano una borsa quando fu fatto scendere dai brigatisti e trascinato nella Fiat 132 blu; è stato ritenuto possibile che fosse questa la borsa più importante e che sia caduta a terra durante il trasbordo dellostaggio. Un fotografo, giunto dopo circa quindici minuti dallagguato, scattò unimmagine di una borsa di pelle nera a terra. Si è ventilata la possibilità che qualcuno, nella confusione dei primi minuti, abbia raccolto la borsa dal piano stradale facendola sparire inizialmente e ricomparire in un secondo momento, privata dei documenti più importanti[208]. La moglie del presidente, che osservò le auto e inizialmente non vide alcuna borsa, ha affermato di ritenere che qualcuno in un primo tempo si sarebbe impossessato della borsa con i documenti riservati e poi lavrebbe rimessa allinterno della Fiat 130 poco prima dellarrivo della polizia scientifica dopo aver sottratto i fogli più importanti[209]. Conclusioni[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Caso Moro e Cronaca del sequestro Moro. « Quel gruppo armato aveva compiuto una vera prodezza, unazione militare perfetta, come non ne avevo mai viste prima » (Affermazione di Steve Pieczenik, consulente statunitense del ministero degli Interni durante il sequestro Moro[210]) Lapide in ricordo dei cinque uomini delle forze dellordine uccisi in via Fani il 16 marzo 1978. In sede di consuntivo permangono indubbiamente alcuni elementi poco chiari riguardo agli avvenimenti del 16 marzo 1978 anche se, nel complesso, la maggior parte dei particolari fondamentali dellagguato è ormai stata accertata con buona approssimazione[211]. Secondo Andrea Colombo le dichiarazioni dei brigatisti sono sostanzialmente concordanti e in pratica non cè alcun elemento per ritenere che fatti sconosciuti di rilievo esistano e possano modificare la ricostruzione tecnica o la valutazione storico-politica dellagguato di via Fani[212]. Peraltro non mancano scrittori che invece continuano a considerare inattendibile lintera ricostruzione giudiziaria dellagguato di via Fani e screditano completamente le testimonianze dei brigatisti; Rita Di Giovacchino è giunta ad ipotizzare che in realtà Aldo Moro non sarebbe stato sequestrato in via Fani ma in un altro luogo in precedenza e che lattentato cruento fu solo una montatura per sviare le indagini e le ricerche[213]. I dettagli più importanti che meriterebbero un chiarimento sono: leventuale presenza di una moto Honda sul luogo della strage e lidentità delle due persone a bordo; il numero effettivo dei componenti del gruppo brigatista presente in via Fani, è possibile infatti che il nucleo fosse più numeroso e che almeno altre tre persone fossero coinvolte, tra cui almeno una che avrebbe sparato da destra contro la Fiat 130 allinizio dello scontro a fuoco; la questione delle borse di Moro e del loro effettivo contenuto; la scomparsa delle foto scattate da un abitante della zona subito dopo lagguato e mai ritrovate; la dinamica esatta del trasbordo finale della cassa con Moro e del percorso compiuto dai brigatisti fino in via Montalcini 8[214]. Resterebbe inoltre da chiarire leventualità, che sembrerebbe di riscontrare da alcune circostanze singolari, che i servizi segreti fossero a conoscenza in anticipo dellattacco brigatista[211]. Tuttavia nonostante la presenza di questi elementi ancora oscuri, in conclusione secondo il magistrato Carlo Nordio, consulente della Commissione Stragi, dal punto di vista tecnico, lesito dellagguato, con lannientamento completo della scorta in pochi secondi, non presenta aspetti importanti inspiegabili ma derivò sostanzialmente dalla sproporzione tra lefficienza operativa del gruppo di fuoco brigatista e lincauto dilettantismo della scorta e di chi laveva istruita[215]. Alle stesse conclusioni erano già giunti i consulenti della Commissione Moro che sottolinearono limportanza decisiva del fattore sorpresa, descrivevano le capacità tecnico-militari dei brigatisti come di livello medio e valutavano lagguato come abbastanza agevole anche per individui non addestrati in modo speciale. I consulenti evidenziarono soprattutto laccurata pianificazione dei brigatisti e la loro approfondita conoscenza dei luoghi e delle abitudini dellobiettivo; infine sottolinearono come la criminale efficienza dei brigatisti derivò dalla loro forte determinazione e dalla grande motivazione. Essi conclusero smentendo decisamente la tesi che, per le sue modalità e i suoi risultati, lagguato di via Fani avrebbe richiesto il contributo di esperti militari e di particolari addestramenti specifici[216]. Dal punto di vista dei brigatisti, Valerio Morucci, che definisce gli uomini della scorta vigili e pronti[217], ha evidenziato come anche la fortuna aiutò i terroristi e come il mattino del 16 marzo non si verificarono imprevisti significativi, tranne linevitabile inceppamento di alcune armi[218]. Franco Bonisoli e Raffaele Fiore hanno parlato della grande coesione del gruppo dei brigatisti superiore a quella di un normale commando; Bonisoli in particolare, ha minimizzato le carenze degli agenti di scorta e ha evidenziato la rapidità di esecuzione della complessa operazione[219]. I brigatisti, la cui capacità militare non era superiore a quella degli agenti della scorta e che disponevano di armi antiquate, avevano studiato un piano efficace che, sfruttando leffetto sorpresa e la velocità, raggiunse il pieno successo[220]. Nelle condizioni reali del 16 marzo 1978, nei pochi secondi dellagguato di via Fani, fu quindi impossibile per gli uomini della scorta sopravvivere allimprovviso attacco a sorpresa a distanza ravvicinata dei quattro brigatisti del gruppo di fuoco, e salvaguardare lincolumità dellonorevole Moro. Filmografia
Posted on: Thu, 07 Nov 2013 19:59:02 +0000

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