E questo sarebbe il Grande Inquisitore? Lo hanno dipinto così. Un - TopicsExpress



          

E questo sarebbe il Grande Inquisitore? Lo hanno dipinto così. Un uomo quadrato e gelido. Invece riempirà il mondo di musica, il Vangelo sarà pronunciato con semplicità, sì sì, no no, la parola gioia tornerà spesso insieme ad un’altra: verità. [...] Quello sguardo di duemila anni fa proprio così doveva essere, Benedetto XVI ce l’ha gettato giù da quel balcone altissimo, con ineffabile cortesia. Si è affacciato dietro le pesanti tende rosse e sembrava un bambino. Era candido. Ha detto le parole più semplici che gli siano mai uscite dal cuore. Si è impappinato. Ma i suoi occhi si sono allargati e sono rimasti incantati dal popolo che stava giù. C’era anch’io laggiù. La speranza del mondo in quel momento stava in quei vestiti troppo larghi, e c’era la maglia scura che spuntava sotto le maniche bianche. Allargava le braccia, ha cercato per un istante un gesto che non aveva mai fatto, di trionfo timido, di possesso della folla, impossibile, non è da lui, e allora ha stretto le mani poi le ha allargate appena. Non è Wojtyla il Grande, uno che faceva forza al destino e ha spezzato le reni anche al mutismo dei suoi ultimi anni. Lui è Joseph il Servo, l’operaio che viene dopo il conquistatore dei continenti. Giovanni Paolo II ha abbattuto i muri, lui riparerà la vigna, curerà le piante avvizzite. Ma un altro stile. Joseph Ratzinger ha scelto il nome Benedetto. Si chiamerà Benedetto XVI. Quante cose dice quel nome. È un nome gentile, evoca gioia, grazia che viene giù dal cielo in un mondo affranto. Il Papa che prima di lui si chiamò così fu un porto di pace nell’Europa in tempesta. Non è ricordato. La sua tomba sta in San Pietro ma non la venera nessuno. Pareva fragile. Tenne il timone da operaio. Benedetto però è anche san Benedetto, il fondatore del monachesimo, colui che da Norcia salvò l’Europa. Promuovendo il cristianesimo, in isole di civiltà e di amore dentro l’orrore barbarico, preservò insieme con il Vangelo l’umanesimo dei romani e dei greci. Ecco, Benedetto XVI: la fede come pace del cuore. E culla di civiltà. Non ci inventiamo niente. Le frasi virgolettate messe in fila poco sopra sono tratte dalle ultime tre omelie pronunciate nel giro di due mesi davanti a milioni di persone. E la difesa benedettina del nostro continente, come crinale decisivo dell’intero pianeta, nel tempo dell’ossessione della morte, è spiegato nel libro scritto in dialogo con Marcello Pera ed intitolato . Bisogna ritrovarle. Tornare all’origine. Altro che reazione o conservazione. Bere alla fonte del . Rifondare così il cristianesimo insieme come risposta esistenziale per il singolo e risorsa insostituibile perché permanga la libertà nel mondo. La prima delle tre prediche intensissime, tra la morte e la vita, l’ha pronunciata il 24 febbraio in Duomo a Milano, per i funerali di don Giussani. Si capì lì chi il Papa volesse come successore: Ratzinger. Mandava lui a rappresentarlo dall’amico “Gius”. Non avrebbe dovuto predicare, Ratzinger: c’era a Roma il concistoro dei cardinali di cui è decano, ma il suo pensiero e quello del Papa furono identici: tocca a te, Joseph. Il cardinale Tettamanzi, furente per la sostituzione, perse lì la sua corsa, trascinata da Sant’Egidio e meno dallo Spirito Santo, al Papato. Il tedesco arrivò di corsa, parlò senza prepararsi, gli bastò immaginarsi il volto profondo del prete milanese fondatore di Cl, si appartò un quarto d’ora in arcivescovado con una fotografia mentre il brianzolo si abbracciava a Wojtyla e c’erano quegli occhi. Descrivendo il vecchio Gius, propose la sua idea di cristianesimo. Parlava del nostro tempo: "Solo così l’Europa la scamperà e si aiuteranno i poveri". Non propone una teoria, ma la, il vecchio e fragile Ratzinger. Parlò quindici minuti, quel pomeriggio, da un pulpito tremendo, con la bara sotto, quel 24 febbraio, senza un appunto. Italiano perfetto. E ieri invece non sapeva dove mettere la Madonna , a destra, alle spalle, in realtà la vorrebbe vicino e basta. Trascrivo le parole, ce le faranno risentire chissà quante volte. Ma non possiamo saltarle via, sono un documento evangelico: «Cari fratelli e sorelle, dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno scelto un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti. E soprattutto mi affido alle vostre preghiere!». Qui ha guardato ancora noi giù, eravamo duecentomila. Lo sguardo spaventato si è placato. Ha smesso di avere paura. Ratzinger sa benissimo che cosa vuol dire essere Papa, essere il successore di Pietro. Non c’è nessuno che ha studiato come lui queste faccende. Ed è una cosa tremenda. Gli è chiesto di essere il punto su cui si appoggia la fede di un miliardo di persone. Lui su chi può poggiare? Sugli amici. Ne ha alcuni tra i cardinali, ma da adesso siamo noi, con le nostre miserie, quando diciamo il Credo. Gli amici i quali riconoscono quella presenza misteriosa, e gli testimoniano non essere un inganno questo dire fino agli estremi confini. Non soltanto. Questo lo ammettono persino i filosofi e poi ci sono tante religioni. Ma no: garantire con la propria vita, fino all’ultimo respiro e anche dopo, quando sei un corpo fotografato e trapassato dai flash, e ti portano in giro su una barella cadavere tra una folla innamorata, che è vero, è proprio vero che risorgeremo, e che io, io papa Benedetto sono infallibile. Non perché il più colto e intelligente, ma perché questo popolo di Dio, questa Chiesa è il luogo della verità e della civiltà. Immaginiamolo in questi due giorni alla Cappella Sistina. Aveva fatto di tutto per non essere scelto, Joseph Ratzinger. Aveva rifiutato la politica degli accomodamenti. Se mi volete, prendetemi così, ma è impossibile sia io. Ed i cardinali hanno visto che questo loro fratello, con la voce delicata, con tre ictus alle spalle, amava Gesù più di tutti, aveva più fede di tutti. L’hanno scelto perché è innamorato. Ci credeva quando diceva quelle parole in Duomo a Milano, e poi mentre piangeva sulla bara del Papa e ripeteva che ora . Lui che ha scritto forse settecento tra saggi e libri ha la fede di un bambino della prima comunione, è vestito di bianco non come un Papa ma come un fanciullo portato a ricevere i sacramenti, la veste immacolata del battesimo. La maturità è nascere di nuovo come fu detto a Nicodemo. Tornare al battesimo. Wojtyla ha buttato giù i muri, Benedetto XVI si chinerà sui germogli avvizziti, proverà a soffiare con leggerezza su noi di cui scriveva Thomas Stearn Eliot. Un po’ di rugiada, l’acqua benedetta sulla nostra terra desolata. Non vuole per forza un cristianesimo di maggioranza, gli basta che ci siano. A Pera ha risposto che gli va bene . Ma essa durerà uno zero dinanzi all’aggressione dell’Islam e del nichilismo senza chi ci crede davvero in Gesù Cristo. A ciascuno tocca una risposta: chi è per te, Lui che è unico? Erano le sette meno qualcosa, il tempo si era fermato, anche se le nuvole arrivavano veloci dal mare e ci bagnavamo felici ascoltando Benedetto XVI. [...] Il destino degli uomini lo prende al petto, gli interessa che siano un po’ felici, conoscano. Conviene tematizzare il tema della rifondazione cristiana, secondo Ratzinger. Egli visse il Concilio, era lì come esperto, giovanissimo teologo. In un primo momento aderì a posizioni progressiste. Poi con Hans Urs von Balthasar, il grande teologo svizzero, recuperò l’idea di “tradizione vivente”. Non una dottrina cristallizzata in forme di legno, ma un’esperienza di comunione e di bellezza che arrivava dai Padri e passava nei figli senza timore. Non bastavano i valori del cristianesimo anonimo come predicavano i progressisti. Ciascun uomo ha proprio bisogno di una risposta personale al suo . Il singolo dinanzi a Cristo. Altro che i valori e la giustizia sociale. Chiamato a Roma da Wojtyla (era arcivescovo di Monaco di Baviera) fu messo alla testa della Dottrina della fede. Nel 1985 diventò la bestia nera dei cosiddetti “novatori”. Scrisse con Vittorio Messori “Rapporto sulla fede”. Fu una denuncia degli abusi e dei cedimenti, ma mise il dito sulla piaga. Il problema della Chiesa non è l’adeguamento al mondo, ma è la fede. E il problema del mondo è a sua volta di poterla incontrare. Non per ricevere (funerali di Giussani) ma per gustare. Da allora si è occupato di bioetica, di teologia della liberazione, di questione femminile (negando il sacerdozio per le donne). Di ecumenismo. Lì ha riproposto la verità centrale. In fondo solo di questo si è occupato. Per questo Wojtyla lo voleva vicino. Senza la sua garanzia dottrinale non si sarebbe potuto slanciare sul mondo. Wojtyla aveva Giussani (Cristo come risposta alla domanda dell’uomo contemporaneo), Madre Teresa (la certezza della carità che è più forte dell’ingiustizia e della morte), Ratzinger (la verità difesa contro ogni scetticismo e tradimento anche dei preti). Ma Ratzinger chi ha? I suoi tre amici vecchi sono morti. Gli resta davanti quella folla misteriosa, che il catechismo dice essere il Corpo mistico di Cristo, popolo di Dio, infallibile come lui, che adesso è Papa. È solo, in queste notti, ma ci sono gli angeli. LIBERO (20 aprile 2005)
Posted on: Sun, 28 Jul 2013 09:25:50 +0000

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