I SINDACATI: NON SEMPRE UNA TUTELA PER IL LAVORO Bisogna dare - TopicsExpress



          

I SINDACATI: NON SEMPRE UNA TUTELA PER IL LAVORO Bisogna dare più centralità al lavoro, non cè tempo per le lotte di classe: limpresa deve produrre, nel rispetto del lavoratore, ma senza lostruzionismo dei sindacati. Il movimento sindacalista ha avuto dei grandi meriti, sia verso i lavoratori dipendenti e sia verso l’economia in genere. Ad un certo periodo del diciannovesimo secolo nelle nazioni più evolute, e principalmente in Gran Bretagna, si creò un rilevante accumulo di ricchezza mediante lo sfruttamento dei lavoratori di ogni genere. Queste risorse permisero successivamente la creazione di industrie, di commerci e di attività finanziarie dando inizio all’era industriale. Il movimento sindacale condusse aspre lotte, ma alla fine riuscì ad ottenere visibilità e influenza. Le condizioni dei lavoratori migliorarono notevolmente e attivarono il mercato con una maggiore capacità di spesa. Nel frattempo, la crescente forza contrattuale dei sindacati ha spesso imposto alle imprese dei miglioramenti retributivi e operativi assai costosi, ma fin quando questi aumenti potevano essere assorbiti da aumenti di prezzi di vendita, la cosa non disturbava più di tanto. Ma quando le frontiere si sono aperte la situazione è drasticamente cambiata e sono arrivati prodotti delle concorrenza a prezzi infinitamente più bassi. Ciò è stato possibile perché paesi in via di sviluppo hanno offerto lavoro a costo notevolmente inferiore, senza oneri previdenziali e soprattutto senza problemi sindacali. Pertanto, tante imprese si sono trasferite, o delocalizzate, in questi paesi chiudendo le fabbriche in patria e licenziando praticamente tutto il personale. I sindacati italiani non hanno capito, o non vogliono capire, che le imprese italiane, hanno poche possibilità di competere in un mercato aperto contro paesi dove si lavora più di dieci ore al giorno, dove si pagano poco o niente oneri previdenziali, e soprattutto dove ci sono pochi problemi sindacali . I sindacati italiani devono capire che non sono più sostenibili certe conquiste e che in qualche modo bisogna ridurre questo differenziale tra costo nostrano e costo estero. Nessuno pensa di ridurre le retribuzioni attuali, ma possiamo e dobbiamo lavorare di più, con maggior impegno, con un basso tasso di assenteismo. Può sembrare duro lavorare un’ora in più al giorno, ma è molto più defaticante non lavorare affatto. In ogni situazione c’è sempre un aspetto economico ed uno umano. Indubbiamente, addolora molto il dramma di chi viene licenziato ma ciò non può e non deve condizionare l’aspetto economico. Addolora molto vedere anche il dramma di quegli imprenditori che perdono tutto e, a volte, anche la vita. Pertanto, non si comprende tutto il rumore che si fa sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Dovrebbe essere semplicemente abolito perché l’imprenditore ha sempre una giusta causa quando licenzia. Nessun imprenditore nella sua sanità mentale licenzia un dipendente che gli produce un valore aggiunto, che magari sarà costato anni di formazione. Ciò nonostante, crediamo che in un periodo di crisi così profonda si debbano trovare soluzioni diverse dal licenziamento per motivi economici che, di fatto, trasferiscono l’onere dall’azienda alla collettività. Noi proponiamo una forma di rotazione del personale in esubero, in modo da tenerlo legato all’azienda in attesa di tempi migliori, magari per uno o due anni. Per esempio, un’azienda con 90 dipendenti, con un esubero di 30 unità, invece di licenziare, fa 3 gruppi di 30 ed ogni gruppo, a turno, sta a casa per un dato numero di mesi, ricevendo un contributo da determinare, di cui un terzo a carico dello stato, un terzo a carico dell’azienda e un terzo a carico dei lavoratori in servizio. In questo modo non si spezza il legame con l’azienda e non si trasferisce l’onere dall’azienda alla collettività. Il sindacato deve anche capire che se vuole proteggere il lavoratore dipendente deve assolutamente mirare al bene dell’impresa in cui opera. Impresa florida, occupazione tranquilla, e per i più bravi, il posto fisso. L’impresa deve mirare alla produzione, attraverso la riqualificazione delle competenze professionali dei singoli, non può e non deve tollerare comportamenti negativi e tanto meno il lavativismo che spesso in passato veniva tollerato se non protetto dai sindacati e spesso anche dalla magistratura. Ci sono miliardi di persone nel mondo che si offrono a condizioni che i nostri lavoratori non accetterebbero mai, aspiranti lavoratori che rappresentano un pericolo per tutti i lavoratori dei paesi evoluti. Questa non è propaganda elettorale, ma una minaccia concreta da parte di miliardi di persone in cerca di lavoro. Per fortuna, anche le forze sociali (i sindacati) stanno capendo che in un momento di forte recessione economica, come quello che stiamo vivendo, non si può, e non si deve, portare avanti una sterile lotta di classe tra imprenditori e lavoratori, tra padroni e dipendenti. La storia di questo Paese è piena di documenti firmati insieme da sindacati e Confindistria. E assolutamente fisiologico che il confronto tra due parti sociali contrapposte nella vita economica quotidiana produca punti di caduta, compromessi, mediazioni che richiedono a loro volta interventi da parte del governo, iniziative di legge, norme da correggere, ecc. Nel testo del documento firmato a Genova da Squinzi, Camusso, Angeletti e Bonanni, il lavoro ha ripreso la sua centralità e con esso limpresa. Quello che viene unitariamente chiesto al Governo è un complesso di iniziative legislative, politiche fiscali e persino riforme costituzionali (del Titolo V, per ricentralizzare allo Stato una serie di prerogative in materia di grandi opere infrastrutturali) che favoriscano in tutto e per tutto limprenditore. Al lavoro potrà arrivare qualcosa soltanto se limpresa guadagna bene e se lo Stato diminuisce laliquota fiscale sulle buste paga. Vediamo il documento UNA LEGGE DI STABILITÀ PER L’OCCUPAZIONE E LA CRESCITA Documento Confindustria, Cgil, Cisl e Uil Genova, 2 settembre 2013 In questi giorni sono in fase di definizione i provvedimenti conseguenza degli accordi politici che hanno dato vita allattuale Governo. Oggi la governabilità è un valore da difendere, perché vuol dire stabilità, condizione determinante per riavviare un ciclo positivo della nostra società. Essa però assume un significato concreto solo se genera adesso soluzioni ai problemi reali del Paese, delle imprese e del lavoro. Le iniziative promosse in questi giorni per assicurarla hanno però sottratto per la loro realizzazione risorse che sarebbero state meglio impiegate per misure più efficaci per il rilancio delle imprese e il sostegno dei lavoratori. Il Governo ha più volte dichiarato lintenzione di uscire dalla crisi puntando sul ruolo dell’industria e sul lavoro. È questo l’obiettivo su cui far convergere l’azione di Governo e delle parti sociali per la crescita in coerenza con gli insegnamenti derivati dalla crisi finanziaria e con gli indirizzi e gli orientamenti elaborati anche in sede di Unione Europea. Da adesso, quindi, ci aspettiamo iniziative governative sostanziali, coerenti con le intenzioni più volte dichiarate e utili a rimettere al centro la scommessa della crescita. La centralità dell’industria e del lavoro quale snodo attorno al quale costruire il rilancio deve passare per una nuova e più efficace articolazione delle politiche fiscali e industriali, con lobiettivo della crescita e in unottica di redistribuzione del reddito, e per una riflessione sullassetto istituzionale in chiave di maggiore efficienza della PA e di effettiva razionalizzazione della spesa pubblica. Sono queste le priorità su cui chiediamo un impegno preciso al Governo nei prossimi mesi, a partire dalla legge di stabilità, che andranno declinate attraverso un confronto permanente con le forze sociali, con al centro delle politiche economiche il tema della crescita e dello sviluppo industriale per rilanciare l’occupazione e ridare fiducia al paese in un quadro di accordo sulle scelte strategiche di medio-lungo periodo. Politiche fiscali Per tornare a creare lavoro e benessere e per restituire una prospettiva alle giovani generazioni, a corollario di una nuova strategia di politica industriale, il fisco assume un ruolo chiave. Un fisco esoso, complesso e incerto, che non guarda alle attività lavorative e alla competitività delle imprese, soffoca la crescita. E poca crescita significa disoccupazione, scarsa produttività, povertà. Gli interventi di politica fiscale capaci di promuovere tali obiettivi sono chiari da tempo. Occorre innanzitutto un sistema fiscale efficiente, semplice, trasparente e certo, con poche e stabili scadenze, non ostile all’attività di impresa e alla creazione di lavoro e che non scoraggi le scelte degli investitori. Un fisco stabile, che non complichi la vita ai contribuenti onesti, è il presupposto essenziale per restituire attrattività al Paese ed è un obiettivo improcrastinabile, perché a costo zero per le finanze pubbliche. Per queste ragioni sosteniamo i provvedimenti volti ad ammodernare, dare certezza e stabilità al sistema fiscale - tra i quali la delega fiscale e il DDL di semplificazione fiscale - e ne auspichiamo una approvazione e attuazione in tempi rapidi. Occorre ridurre il carico fiscale su lavoro e imprese, per aumentare il reddito disponibile delle persone e riequilibrare la tassazione sui fattori produttivi. Per questo: • va ridotto il prelievo sui redditi da lavoro - esigenza non più rinviabile, soprattutto per ragioni di equità e di redistribuzione del reddito - attraverso le detrazioni per lavoratori e pensionati, così da aumentare il reddito disponibile e rilanciare i consumi; • va eliminata la componente lavoro dalla base imponibile IRAP, così da favorire e non penalizzare, come accade oggi, le imprese che assumono e investono in capitale umano, e ripensata la tassazione dei beni immobili dellimpresa che siano strumentali allattività produttiva; • vanno rese strutturali le attuali misure sperimentali di detassazione e decontribuzione per lincremento della produttività del lavoro. Bisogna continuare la lotta allevasione fiscale e approvare un provvedimento legislativo che destini alla riduzione delle tasse quanto recuperato ogni anno. Infine, per concorrere efficacemente in mercati globali sempre più esigenti e competitivi, occorre utilizzare la leva fiscale per rilanciare gli investimenti produttivi e il rinnovo tecnologico delle imprese, nonché il loro rafforzamento patrimoniale. Politiche industriali I numerosi tavoli di confronto aperti al Ministero dello Sviluppo Economico sono stati in questi anni lo specchio delle difficoltà che stanno caratterizzando il nostro sistema industriale. Per affrontare in modo organico e coordinato le diverse situazioni di crisi occorre istituire una cabina di regia nazionale sulla crisi d’impresa che preveda la partecipazione del Governo, di tutte le forze sociali e degli altri soggetti coinvolti (principalmente il sistema delle banche e l’amministrazione fiscale) con il compito di individuare strumenti e soluzioni adeguate alla drammaticità della situazione. Sul piano più diretto delle politiche industriali dovranno essere poste al centro dell’azione del Governo e della parti sociali quattro questioni strategiche per il futuro dell’industria italiana: 1. il rafforzamento degli investimenti nell’innovazione a 360 gradi, per affrontare e vincere la competizione globale, attraverso: • lintroduzione di una misura stabile ed automatica di agevolazione fiscale (anche nella forma del credito d’imposta) per gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo; • una strategia moderna e coerente con Horizon 2020 di ricerca e sviluppo per le imprese; • la definizione di un meccanismo di garanzia pubblica per favorire la partecipazione del sistema finanziario al finanziamento di grandi progetti di innovazione industriale realizzati da filiere o reti di imprese; • la rapida attuazione dell’Agenda digitale italiana. 2. lo sviluppo della green economy, per garantire un rapporto equilibrato tra attività produttive / tutela della salute e dell’ambiente e crescita di nuove attività economiche, attraverso: • la definizione di un piano strutturale di sostegno all’efficienza energetica e allo sviluppo delle rinnovabili in grado di valorizzare le potenzialità industriali e le competenze del sistema produttivo italiano; • la definizione di un piano nazionale di intervento sulle bonifiche dei siti di interesse nazionale nella logica di favorire il riuso del territorio a fini industriali e produttivi; • interventi per il consolidamento e lo sviluppo delle filiere produttive collegate al recupero e al riciclo di materie prime da rifiuti. 3. la creazione di una nuova finanza per lo sviluppo, per favorire una maggiore capitalizzazione delle imprese e il rilancio degli investimenti produttivi, attraverso: • il rafforzamento dei meccanismi di detassazione degli utili reinvestiti a partire dall’ACE; • il rafforzamento dei meccanismi di sostegno all’accesso al credito da parte delle imprese; • listituzione di un nuovo fondo per la ristrutturazione industriale con la partecipazione della CDP e di altre istituzioni finanziarie per la realizzazione di interventi temporanei nel capitale di rischio di imprese in difficoltà, ma con potenzialità di sviluppo. 4. la riduzione del costo dell’energia, per il miglioramento della competitività delle imprese nel contesto europeo e globale, attraverso: • lo sviluppo delle infrastrutture energetiche con la razionalizzazione degli assetti decisionali per l’autorizzazione di infrastrutture energetiche in unottica nazionale e di integrazione con gli altri mercati europei e globali; • la riduzione delle componenti parafiscali della bolletta attraverso una rimodulazione temporale degli incentivi pagati dagli utenti; • la resa strutturale della convergenza dei prezzi del gas italiani e internazionali attraverso lo sbottigliamento delle principali infrastrutture di interconnessione; • la revisione delle modalità di funzionamento del mercato elettrico coordinando in modo efficiente la produzione di energia da fonti rinnovabili e da fonti termiche convenzionali che manterranno un ruolo essenziale per lo sviluppo manifatturiero. Revisione degli assetti istituzionali ed efficienza della spesa pubblica Le complicazioni normative, i ritardi procedurali, le inefficienze delle amministrazioni pubbliche costituiscono un peso insostenibile per cittadini e imprese ed incidono negativamente sulla spesa pubblica, determinando sprechi di risorse, che potrebbero essere più utilmente impiegate in iniziative a favore della crescita. Per questo è urgente intervenire, in via prioritaria, attraverso: - la revisione del Titolo V della Costituzione, per restituire allo Stato la possibilità di intervenire unitariamente su alcune materie di interesse generale, come la semplificazione, le infrastrutture, l’energia, le comunicazioni, il commercio estero. Conseguentemente vanno rivisti i livelli istituzionali creando enti dimensionati ai nuovi compiti e in grado di gestire con efficienza le funzioni attribuite. Questo significa abolire le Province, aumentare la soglia dimensionale dei piccoli Comuni, istituire le Città metropolitane e, coerentemente, ridurre drasticamente il numero dei componenti degli Organi elettivi a tutti i livelli di Governo; - una seria politica di revisione della spesa pubblica per garantire servizi di qualità a cittadini e imprese. Una spending review diversa rispetto a quella finora attuata, non più basata su una logica di tagli lineari, che hanno colpito indistintamente tutti gli enti, quelli virtuosi e quelli inefficienti, rischiando così non solo di non eliminare le inefficienze, ma di ridurre l’efficienza di quelle parti della PA virtuosa, e scaricando i tagli su aumenti di tariffe e imposte locali. Occorre ora svolgere un’analisi selettiva della spesa pubblica a tutti i livelli di governo, coinvolgendo la revisione delle funzioni svolte dalle amministrazioni centrali e da quelle decentrate, riducendo i costi impropri della politica e definendo i “costi standard”, che vanno attuati rapidamente come metodo di finanziamento delle amministrazioni pubbliche. Tutto ciò va realizzato in un quadro di riforma della P.A. e dellerogazione dei servizi pubblici.
Posted on: Mon, 11 Nov 2013 22:18:46 +0000

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