Lavoro che c’è, lavoro che non c’è, lavoro che non si vede. - TopicsExpress



          

Lavoro che c’è, lavoro che non c’è, lavoro che non si vede. Job on call o contratto intermittente a chiamata. Come spie luminose, interruttori. Ci accendono e ci spengono quando vogliono, quando gli serviamo. Lavoro precario, saltuario, ballerino. Micro dosi lavorative che i padroni ci iniettano ogni tanto, come fanno i medici di guardia notturna con i pazienti psichiatrici che non riescono a dormire. È pronta la terapia al bisogno. Lavoro Part time, weekend, extra, jolly, ci.ci.ci, co.co.co e trottolino amoroso dududadada. Sticazzi. Ripenso a Hegel, alla dialettica signore-servo. Un lampo di genio nel buio. Allora. Il signore usa il servo per affermare la sua indipendenza, trovare le cose pronte e tutto il resto. Quindi, grazie allo sbattimento del suo dipendente riesce a emanciparsi. Il servo però svolge un ruolo chiave, di importanza assoluta, perché con il suo lavoro permette al padrone di vivere. Ecco la grande intuizione del filosofo: il padrone non riesce più a fare a meno del sevo e la subordinazione si rovescia. Il padrone diventa servo, perché è indissolubilmente legato al lavoro del servo e il servo, con la sua attività produttiva, diventa padrone del padrone. Che casino Cristo!!! Hegel è un grande, forse però lo spiegano meglio i Nomadi, con il finale di un loro bellissimo pezzo. “Mercanti e servi, la stessa vita. Sogni o denari, sabbia fra le dita”. E Schopenhauer? Ha partorito un aforisma fantastico, anche se troppo facile per uno come lui. Talento incredibile, uno dei massimi pensatori del XIX secolo per l’amor di Dio, ma pancia strapiena e problemi di grana zero. Mica aveva le pezze al culo, era figlio di una delle più ricche e benviste famiglie di commercianti di Danzica. Comunque eccovi la sua idea geniale: “A parte poche eccezioni al mondo tutti, uomini e animali, lavorano con tutte le forze, con ogni sforzo, dal mattino alla sera solo per continuare ad esistere: e non vale assolutamente la pena di continuare ad esistere; inoltre dopo un certo tempo tutti finiscono. È un affare che non copre le spese”. Schizzo ancora come un pazzo. Filosofia-musica-poesia è un tridente d’attacco pauroso tipo Messi-Ibra-Cristiano Ronaldo. E allora Jacques Prevert? Sul lavoro aveva proprio ragione lui, quando nella poesia “Tempo perso” s’immagina la bella giornata che tira per la giacchetta l’operaio rinchiuso nella sua officina e il sole gli fa l’occhiolino. L’operaio a un certo punto chiede alla stella: “Dimmi dunque compagno Sole, davvero non ti sembra che sia da coglione regalare una giornata come questa a un padrone?”. Eppure in tempi come questi, con la crisi (inventata a tavolino dai poteri forti per schiavizzarci) che ci azzanna il culo cosa cazzo possiamo fare? Calare le braghe e farci fottere. La legge della jungla è così. Siamo in un acquitrino maleodorante e tocca stare a galla, nuotare con l’acqua putrida al mento e la puzza di merda che ti arriva sotto il naso. Però c’è modo e modo. Ne vedo e ne sento di ogni. Il liberismo ha fallito signori e il consumismo si sta autodistruggendo. Chi ha un contratto indeterminato giustamente se lo tiene stretto, chi è a casa farebbe di tutto pur di lavorare, chi lavora in nero è sfruttato, sottopagato e tenuto per le palle. Ma sopporta, anzi subisce ogni tipo di umiliazione per incassare quei maledetti soldi necessari per la pagnotta quotidiana...Morale della favola? Niente. Mica deve esserci sempre e comunque. Andiamo avanti ragazzi. Siamo nella merda. Però tutti eleganti, profumati, ben vestiti, col tablet, i braccialettini, le snikers, i kazziemazzi e tutto quanto. C’è ancora troppa ricchezza travestita da povertà e viceversa. Tempo, serve ancora un po’ di tempo. Le pensioni dei nonni finiranno, i genitori diventeranno vecchi e stanchi. Il pentolone è quasi vuoto, tra poco si comincerà a raschiare il fondo. Le croste, i grumi, la poltiglia...una delizia per il vostro palato.
Posted on: Sat, 15 Jun 2013 12:37:01 +0000

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