Massimo Scaligero racconta il suo incontro con Julius - TopicsExpress



          

Massimo Scaligero racconta il suo incontro con Julius Evola. Conobbi Evola in un momento in cui tutti - o quasi - prudentemente si allontanavano da lui: si era rivelato, mediante La Torre, il più audace contestatore dellideale di cultura del Regime. Nonostante che intorno a lui, per tale motivo, si creasse una sorta di vuoto, egli continuava imperterrito ad attaccare. Ciò attrasse la mia attenzione, anche se ancora non capivo dove egli realmente intendesse andare a parare. In quei giorni - doveva essere la primavera del 1930 - mi recai da lui – malgrado ne venissi sconsigliato da amici benpensanti: non ci voleva altro per decidermi. A quei tempi il telefono nelle abitazioni era raro, perciò l’apparire dimprovviso in casa altrui non era considerato indiscrezione: in caso di assenza di colui a cui si voleva rendere visita, si usava lasciare un biglietto da visita in portineria. Ero curioso di conoscere colui che mostrava tanto coraggio e di cui Adriano Tilgher mi aveva parlato con ammirazione, sia pure con riserve riguardo al contenuto delle dottrine. Ricordo che lo definì “il piu potente dialettico dEuropa”. Ma non era questo che poteva far colpo su me. Dovevo capire poi che Tilgher si riferiva soprattutto alle battaglie dialettiche presso l’”Associazione per il Progresso Morale e Religioso” allora diretta dal professar Giuseppe Puglisi, e con sede a Piazza Nicosia (più tardi, si doveva trasferire a Piazza Campicelli, sotto la direzione del poeta Raniero Nicolai) dove alla fine delle conferenze avveniva un dibattito cui prendevano normalmente parte il professor Giovanni Imperato, il professor Ernesto Quadrelli, il professor Giuseppe Palanga, talora anche Tilgher, e, infine, Evola, che regolarmente batteva tutti, con la dialettica stringente e le frecciate umoristiche. Bussai alla porta del penultimo piano di Corso Vittorio 197 e mi aprì un personaggio giovanile, alto, longilineo, indubbiamente più annoso di me: il suo sguardo era tra buddhico e olimpico, il suo portamento calmissimo. Avendo sùbito intuito il senso della mia visita, ossia nessuno scopo, Evola prontamente mi venne incontro con genuina simpatia: e questa simpatia fu la forza di connessione estradialettica ed estradottrinaria che mi congiunse a lui per anni. Come ho scritto nel mio libro Dallo Yoga alla Rosacroce, ignoravo che Evola seguisse determinatamente una via esoterica e dirigesse un gruppo di aspiranti all’Iniziazione, anche se il suo nome mi era noto dalla rivista Ignis. Io seguivo già dall’adolescenza una mia via assolutamente personale, che stava tra lo Yoga e il pensiero più spregiudicato dOccidente, Nietzsche, Stirner, Bauer, ma non amavo parlarne con alcuno. Ricordo che in un primo momento Evola fu sorpreso del senso della mia visita, né politico, né esoterico: come dicevo, in quel periodo egli era di continuo oggetto di aggressioni e intimidazioni. Immediatamente, ricordo, ci unì il tema della montagna e delle impressioni interiori dellascesa, del silenzio e della solitudine delle vette. In un capitolo dedicato a Evola, del libro citato, delineo quale senso ebbe il mio rapporto con lui: lincontro con un mondo che mi dava la percezione del pensiero come di una forza primordiale. Amavo Goethe e Nietzsche per questo: non il Nietzsche della fase dell’esaltazione, bensì quello della Nascita della tragedia e del Cosi parlò Zarathustra. A quell’epoca, io sentivo drammaticamente lo stato di morte del pensiero di tutta la cultura, di ogni espressione della cultura, quale che fosse il suo oggetto, o il suo colorito politico: avevo l’impressione di muovermi in un vasto cimitero: ne uscivo ogni volta, grazie alla energica meditazione, ma fu importante per me incontrare in atto in Evola un tipo di pensiero che io coltivavo segretamente in me: un pensiero ancora capace di vita e di libertà. Dopo diversi anni, inoltre, dovevo constatare che non era tanto il contenuto degli scritti di Evola che appagava la mia interiorità, quanto il sentire tale contenuto come una costruzione assolutamente personale: come un’opera darte: un’opera darte organica, sfolgorante, anche quando risente - tanto per intenderci - del Tantrismo della “Mano sinistra”. La sintonia con Evola in sostanza fu questa: il contatto con un mondo di forze. Ma ciò era possibile perché io stesso recavo in me tale mondo di forze: il riconoscere lorigine di queste, però, determinò via via lorientamento che doveva portarmi fuori del sentiero di lui. Ma ciò è pacifico: la realtà è una, le verità sono molte. Il dialogo con Evola rafforzò in me lesigenza di una distinzione dei valori e delle tradizioni: ciò fu decisivo per me riguardo a temi come il karma e la reincarnazione, il carattere essenzialmente cristiano dellalchimia occidentale, il carattere mistericamente cristiano del Graal, la fondamentalità del Logos quale Principio-Cristo. Comprendevo il paganesimo di Evola, ma lo sentivo positivo solo come un impulso di ricerca di ciò che era veramente il Logos di là da tutte le espressioni mondane e di là da quello che Esso era divenuto nel formalismo teologico o etico-politico. In realtà Evola è una medicina forte, il rimedio d’urto, l’istanza della forza senza mediazione: come tale, agisce in chi già disponga del potere della mediazione e abbia solo il còmpito di renderlo operante. Ma se questi realizza veramente ciò, ha già il principio della Forza. Grazie ad Evola, ho incontrato un momento decisivo della mia esperienza interiore: quello del sentimento della liberazione, che dà la imagine piuttosto che la conoscenza della liberazione: l’imagine eroica, mitica, non cognitiva. Dovevo poi scoprire che a me occorreva la via cognitiva: quella di Evola aveva la facies cognitiva, ma in sostanza faceva leva sul sentimento della forza, non sulla sua realtà penetrabile e afferrabile mediante potere didea. Rinunciare a tale potere d’idea, significa accettare misticamente, o per fede, la sopranatura. In altre parole, non si entra nel magico mediante il sentimento del magico o mediante la dialettica del magico, ma solo in virtù del suo iniziale potere nellanima, che è potere ideativo o imaginativo. Evola, invero, non riesce a nascondere un certo disprezzo per il pensiero, o per una “via del pensiero”, ritenendo il pensiero espressione di una determinata natura senziente e non della sopranatura. Lideale di individuo assoluto era per lui un’espressione della volontà a sé sufficiente: il pensiero invero non c’entra, ed è giusto, ma non si può non muovere da esso: né si può non sperimentare volitivamente il pensiero, che cessa di essere dialettico, in funzione volitiva. Nello yoga da lui indicato, in sostanza la forza del volere risvegliata e ritrovata nel suo magico movimento, diviene la corrente di Kundalini. In questa immediatezza del volere posseduta, cè tutto il potere della “persuasione” evoliana. Egli rifiuta come premessa il pensiero, l’atto cognitivo, la mediazione dellidea: Evola parla sempre di un atto assoluto, di un moto da cui si prendono le mosse, in quanto dovrebbe essere già in sé magico. È in effetto la materia prima dellOpera, che occorre già possedere: Evola l’attribuisce a una determinata costituzione interiore, all’appartenenza a una determinata stirpe dello Spirito. Per me è stato sempre chiaro che si tratta dell’incontro dell’Io libero con il proprio karma: questo è la condizione dellelemento psicofisiologico di cui un Io si riveste. Tuttavia era una conferma alla mia personale esperienza quella persuasione, da Evola così decisamente espressa, della centralità e della invincibilità dellIo: che, portata a fondo, non può non incontrare il Logos, la Sua scaturigine: ciò che Evola non riusciva a riconoscere. Io sapevo che la impostazione della centralità e dell’ascesi dell’Io era giusta: apprezzavo Evola, perché a quel tempo ero persuaso che non si era mai giunti a parlarne cosi esplicitamente, metodologicamente. I tentativi di Stirner e Nietzsche erano stati in definitiva hegeliano-romantici: ardite propaggini della sinistra hegeliana, ma prigioniere della dialettica. La via che io avevo seguito personalmente sino a quel momento, era una mia sintesi, a cui non credevo potesse rispondere una dottrina. Il termine “Scienza dellIo” mi risonò gradevolmente familiare: rispondeva in effetto allideale di ascesi a cui tendevo e al metodo correlativo. Fu questo l’aiuto vero che ebbi da Evola: percepire dottrinariamente giustificabile, indipendentemente dalla Tradizione, l’ascesi dell’Io. La realtà di questa risultava tradizionale, proprio in quanto non rispondeva a nessuna forma contemplabile nella Tradizipne. In simile direzione, però, era possibile giungere a scorgere l’origine di tale ascesi. Per un certo periodo ebbi la sensazione di aver trovato in Evola il maestro che cercavo, ed egli ne aveva invero più di un titolo. Credo di aver risentito più io che Evola, il disappunto del fatto che, a un determinato momento, proprio in quanto seguivo la “via dellIo”, non potevo più seguire il suo sentiero. Potevo riconoscere in lui soltanto un indicatore tipicamente forte, una individualità dallautonomia talmente a sé sufficiente, da non necessitare di metànoia, o di conversione, della propria dialettica, per suscitare in altri mediante dialettica il sentimento della sua forza: naturalmente senza possibilità di risoluzione dei limiti individuali: in definitiva un titano positivo: la cui forza aveva bensì in sé fondamento, ma non poteva non divenire la debolezza del seguace poco autonomo, incapace di trovare in sé il fondamento, ossia la sua via interiore. Strada facendo, potei capire ancor meglio il mio rapporto con Evola. Normalmente avveniva - e avviene - che uno legga le opere di lui e poi decida di seguirlo. A me in sostanza era avvenuto qualcosa di diverso: ero andato da lui senza aver letto di lui neppure una riga: per lungo tempo le nostre conversazioni ebbero come tema la montagna, lanticonformismo, il coraggio di opporsi alla pseudo-cultura. Gli facevo compagnia con un gruppo di amici maneschi trasteverini, da me mobilitati, quando egli rischiava di essere di nuovo aggredito, in occasione delle diverse cause che aveva in tribunale per querele e strascichi di querele. Ricordo che, al secondo nostro incontro, egli mi prestò il Golem di Meyrink, probabilmente per darmi l’occasione di una connessione esoterica con lui: ma io, sfogliando appena quelle pagine, non fui troppo persuaso del loro contenuto: in verità non lessi affatto il libro e dopo una quindicina di giorni lo restituii a Evola, evitando di dirgli che non m’interessava. Notai però in Evola una minima espressione di delusione. Più tardi, però, avrei letto attentamente Evola e Meyrink. Il senso vero di ciò che mi aveva interiormente spinto verso di lui, doveva chiarirmisi con l’andare del tempo: fu lincontro con qualificati discepoli di Steiner, collaboratori di Ur (con Giulio Parise e Arturo Reghini invece ero già connesso per via della rivista Ignis), tra i quali notevole e decisivo per me doveva essere Colazza, e lincontro interiore con colui che dovevo riconoscere come il Maestro dei nuovi tempi, R. Steiner: infatti, ledizione originale di Ur conteneva obiettivi apprezzamenti sulla figura dello Steiner. In realtà, non fu tanto la conoscenza delle opere di Evola che mi unì a lui, per alcuni anni, quanto la sua personalità viva, eccezionalmente individuale. Certo, queste opere poi le avrei sviscerate riga per riga, prima di prendere la decisione di un altro sentiero. Gli incontri che avevo con Evola erano pregni di clima ermetico, da cui regolarmente scaturiva la sensazione delle forze magiche, ma come qualcosa a cui in realtà io avevo l’abitudine dalla personale meditazione: oppure erano incontri bacchico-gastronomici, a base di briosa filosofia e di spaghetti allamatriciana, ma con aggiunta straordinaria di peperoncino. Mi colpiva il fatto che Evola, che era un potente sopportatore dellalcool, curasse di bere vini molto dolci, come il passito, o il mantònico: me lo spiegò dicendomi, non so quanto umoristicamente, che, avendo appreso da Colazza che l’alcool attutiva lIo, mentre lo zucchero era l’alimento fisico dell’Io, egli, per non correre rischi, provava a conciliarli. Peraltro, mi congiungeva a lui un istinto, che ha sempre orientato la mia azione, di sostenere colui contro cui tutti, la koinonía tôn kakôn, riescono a sentirsi solidali: la cosiddetta “opinione pubblica”, di cui ho sempre sentito lipocrisia, o il fariseismo. In quel periodo Evola non aveva che avversari, anche se, per la verità, egli faceva di tutto per provocarli. L’idea che la verità fosse dalla parte contro cui si schieravano solidalmente tutti, in un certo senso per me rispondeva a una determinata legge sovrasensibile. Oggi invece Evola è tradotto nelle principali lingue del mondo, ha un séguito persino in Asia. Tuttavia Evola non assumeva mai la funzione del “maestro”: orientatore, suscitatore, sì, non maestro. Quando qualche volta ebbi problemi riguardo al metodo e mi rivolsi a lui, egli si schermì consigliandomi Colazza o Bonabitacola, ossia il discepolo di Steiner o il discepolo di Kremmerz. Evola trovava Bonabitacola interessante soprattutto perché riceveva tutti a male parole, come un maestro Zen; mentre Colazza era il personaggio per il quale professava la massima deferenza, in quanto lo riconosceva eccezionale sperimentatore dell’“occulto”. Colazza dal suo canto aveva stima per Evola, in quanto salda personalità: gli rimproverava solo il suo yoga e il fatto che scrivesse libri. “Uno di noi”, mi disse un giorno, “non deve scrivere libri: i libri vincolano occultamente lautore, lo legano al proprio pensiero presente, impedendogli di aprirsi al nuovo, allignoto, a ciò che ancora egli non è capace di pensare. Del resto, chi vuoi fare il maestro, perde la possibilità di essere discepolo”. Qualcosa di sostanzialmente vero non può non riconoscersi in questo pensiero di Colazza. Tuttavia non si può fare a meno di considerare nel caso di Evola la missione del sacrificio mediante la parola: ossia la compromissione della propria via, sul piano dialettico, per la via degli altri. Il richiamo che egli lancia non sarebbe necessario, se la via iniziatica non fosse in relazione a una scelta libera, a un’autodeterminazione, ossia a una determinazione che non è fatale che avvenga, altrimenti non sarebbe libera. Questo può a sufficienza spiegare la sua dominante e audace conciliazione di Buddha con Nietzsche: che per noi è valida, anche se soltanto introduttiva al vero sadhana. Quando lEsoterismo si attua, cessa di essere posizione mentale. Rimane lenigma della personalità interiore di Evola e del suo rapporto con la Tradizione. In verità, la forma tradizionale non riesce a dissimulare la potente spinta antitradizionale del suo sistema di pensiero: se si osserva, Evola si serve dellelemento tradizionale per costruire il proprio cosmo spirituale: assolutamente personale. Egli usa il valore della Tradizione quale aristocratica pietra di paragone, ossia come contrapposizione al mondo moderno: sembra proporre un ritorno alla Tradizione, ma in realtà, egli vuole qualcosa che non è la Tradizione, anzi è positivamente contro. E questo è ciò che può riconoscersi importante in Evola. Guénon è nella Tradizione, Evola ne esce di continuo, pur appellandosi ad essa: ma è un contrapposto, un tema dialettico, un habitus cogitandi. Dall’“Idealismo magico” novalisiano al Tantrismo, dalla formulazione nietzschiana del Grande Veicolo alla interpretazione “pagana” dellAlchimia e del Graal, alle simpatie che comprendono Michelstaedter e Meyrink, Nietzsche e Kremmerz e Crowley, è evidente l’imperiosa autorità di un pensiero che fa obbedire tutto a un’intima personale visione, a un’individuale, determinata “volontà di potenza”: in definitiva, ad un impulso di libertà che subordina tutto all’affermazione di sé. Evola riesce a rendere vero il proprio mondo mediante potere di pensiero: questo è l’aspetto che potrebbe dare reale aiuto a chi volesse seguire il sentiero di lui, non come seguace abbagliato dalla sua luce, ma come conquistatore della Luce. Non importa che il pensiero sia giusto o no, esso diventa giusto quando è potente. È innegabilmente vero: l’errore, l’immoralità, è il pensiero debole, o meramente dialettico, o riflesso. La potenza del pensiero è la verità: la verità che coincide con la realtà. Ma solo un uomo libero può scorgerla e farla sua. Chi invece crede in quel pensiero come in un contenuto che lo conforti, lo esalti o lo ipnotizzi, non è libero, non è nella corrente della realtà: crede di essere nella Tradizione, ma è contro di essa nella forma peggiore, quella del dogmatismo e della soggezione mistica. Perciò dicevamo, cominciando queste righe, che Evola è una medicina forte, un rimedio d’urto: una disciplina che occorre possedere. Se non si possiede, in realtà si tradisce, perché si agisce rispetto ad essa come dei soggiogati. L’elemento vivo dell’opera di Evola è l’idea di liberazione, che esige però da colui che la incontri, il riconoscimento puro, la determinazione dell’autocoscienza. Questa è l’istanza e la virtù del suo sistema, ma anche la spinta vera della sua personalità, che si può vedere come una sintesi di ciò che egli è individualmente con ciò che in lui, malgrado lui, inseriscono le Guide reali dell’umanità. Determinate ispirazioni nell’asceta divengono operativamente individuali, proprio in quanto attingono al Sopra-individuale. Julius Evola addita una direzione che, per divenire creativa in senso esoterico, esige essere separata dalla sua fenomenologia, ossia dalla sua maya, dall’ethos che ne risulta in senso sociale, politico: soprattutto da questo. Certe mescolanze tradiscono l’assunto spirituale: i peggiori disastri vengono sempre dalla collusione del Sacro con il profano. Una simile separazione, proprio come l’assunto di una discriminazione del subtile a spisso, riguarda la stessa direzione karmica di Evola. Il futuro cosmico-spirituale di lui si può metafisicamente scorgere: esso sarà determinato da quanta indipendenza egli abbia realizzato dalle opere scritte: sarà decisiva la possibilità che egli non si sia identificato con la propria espressione dottrinaria, ossia con ciò che è il mitico e mistico mondo dei suoi seguaci. Massimo Scaligero Fonte e data sono incerte. Julius Evola
Posted on: Sun, 24 Nov 2013 21:50:18 +0000

Trending Topics



" style="margin-left:0px; min-height:30px;"> Bien.hu | Vízöntő jún. 14, péntek: Türelme, higgadtsága nem

Recently Viewed Topics




© 2015