[RECENSIONE MUSE LIVE STADIO OLIMPICO, ROMA] I palazzetti dello - TopicsExpress



          

[RECENSIONE MUSE LIVE STADIO OLIMPICO, ROMA] I palazzetti dello sport ormai non riescono più a contenere i giganti Muse, che hanno optato questa estate per la scelta degli stadi come location dei loro concerti! Fortunatamente per noi, abbiamo centrato la data che rimarrà nella storia, poiché la band originaria del Devon, farà uscire un dvd con le riprese dell’evento capitolino! Ma partiamo dall’inizio. In oltre 12 ore di attesa, perlopiù di sole cocente, ne abbiamo viste di tutti i colori, anche una violentissima pioggia che ha a dir poco inondato la platea che si accalcava nel parterre, mettendo anche a serio rischio l’intero evento. Poi però dopo una ventina di minuti è uscito il sole e sono regolarmente saliti sul palco i buoni “We Are The Ocean” e seguiti dai ben più interessanti “Arcane Roots”. Alle 21 in punto, l’artista cardine dell’intera manifestazione da il via all’esibizione, e tutto il palco, composto da una struttura imponente di schermi a cristalli liquidi, ha iniziato ad accendersi. Mentre suonava la sinfonia introduttiva di The 2nd Law: Unsustainable, delle ciminiere sopra al palco hanno cominciato a sputare lingue di fuoco, anche dei neuroni giganti sistemati a fianco del palco sugli spalti iniziavano a pulsare luci colorate: signori e signore ecco finalmente apparire sul palco i Muse! In un boato degli oltre 60.000 dell’olimpico ecco che Matthew Bellamy e soci iniziano a suonare “Panic Station”, e subito dopo la ben più interessante “Plug in Baby”; nessuno, e dico nessuno è riuscito a star fermo, la festa targata Muse ha avuto inizio! Fra una frase in italiano e l’altra del leader “musiano”, il tempo vola e lo stadio sembrava venir giù davanti alla potentissima Knights of Cydonia, aperta dall’intro di Chris con l’armonica. Tutto questo passando per Map of Problematique, Resistance e Animals, quest’ultima con tanto di leader ucciso dall’ avidità per i soldi, sotto una pioggia di innumerevoli banconote coniate dalla zecca Muse. Dopo la breve intro “drum & bass” Dracula Mountain, è partita l’introspettiva Explorers, suonata da Matt con un pianoforte a coda collocato quasi al centro dello Stadio Olimpico alla fine della passerella, sul cosiddetto b-stage. Subito dopo il gioco si è fatto nuovamente duro: dopo l’Interlude è partita la aggressiva e prepotente Hysteria, e anche in questa occasione è sembrato che l’Olimpico venisse giù. Subito dopo, un altro pezzo strumentale chiamato Monty Jam, successivamente Matt ritorna sul palco principale, e sempre col piano inizia a suonare Feeling Good, cover di Bricusse e Newley. Inutile dire che ormai in questa versione ha raggiunto anche maggiore popolarità degli autori originali, tant’è che molti neanche la considerano una cover. Poi Bellamy continua a parlare in italiano, dedicando a suo figlio il brano Follow Me, e l’esecuzione, impeccabile, viene seguita dalle 60.000 voci presenti. Successivamente è stata la volta di Liquid State, uno dei due brani cantati dal bassista Chris Wolstenholme non proprio al massimo della condizione canora. La parola passa di nuovo al Bellamy, che dopo aver indossato gli occhialini a led, canta Madness, dedicandola alla sua compagna Kate Hudson. Altra scarica di adrenalina, Time is Running Out aperta dall’arpeggio di House of the Rising Sun, e altra grandissima “bella botta” con Stockholme Syndrome: le prime file (e in particolar modo noi XD) erano in un delirio estatico! La chiusura di questo brano è stata affidata all’eccelsa cover del riff dei Rage Against the Machine di Freedom, in versione “urlata” di Matt, che gridava appunto la parola “Freedom” al microfono agitando la sua Manson e facendola carambolare con forza, alla fine di esso, all’interno del pianoforte: è stato il culmine della parte rock serata. Poi si passa sul b-stage, e questo frangente rimarrà la parte più malinconica e romantica dell’intero appuntamento. Si sono susseguite Unintended (con telefonini e accendini accesi da parte della platea), Guiding Light e Blackout con tanto di pallone aerostatico a forma di lampadina e ballerina che volteggiava proprio sotto di esso lasciando cadere coriandoli. Successivamente è stato il turno di Undisclosed Desire con Matt alla sola voce (e dobbiamo dire che fa ancora strano vederlo senza chitarra). Ad un certo punto il frontman è sceso dalla passerella, ha stretto mani, poi ha afferrato una bandiera italiana, l’ha messa intorno al collo ed ha gridato “Viva l’Italia” fra la folla. Tutto si spegne, siamo al primo encore. Si riapre con Unsustainable, poi Supermassive Black Hole, e la olimpionica Survival. Il secondo, ed ultimo encore si interrompe con le note di Isolated System, traccia strumentale controllata dal “quarto uomo”, Morgan Nicholls, rimasto solo sul palco; poi il resto della band torna sullo stage, con abiti diversi e con Dom Howard vestito da spider man: è la volta della carichissima Uprising. Purtroppo siamo giunti alla fine di questo show, la traccia finale è Starlight, sempre di effetto, anche se secondo me è poco adatta a chiudere un concerto dei Muse. Le impressioni che abbiamo avuto sono state positive se parliamo della maestosità e l’imponenza dello show, è davvero mozzafiato; sicuramente molto meno favorevoli siamo stati riguardo la scaletta, in quanto è imperdonabile la scelta di estromettere pezzi del calibro di New Born (invocata con forza dal pubblico alla fine del concerto), Sunburn, Bliss e io ci metterei anche Dead Star (visto che ultimamente è in scaletta), a favore di pezzi come Explorers, Panic Station e Undisclosed Desire, etc... E’ una band che sicuramente merita molto dal vivo, ma continuo a pensare che la grandiosità degli scenari abbia tolto qualcosa alla parte musicale, che tutto sommato è la parte più importante in uno show basato sulla musica. Nonostante tutto, questo spettacolo rimarrà sempre nei nostri ricordi e non solo, siamo impazienti di attendere che esca il dvd ufficiale. Poi potremo finalmente dire, noi c’eravamo! R.
Posted on: Sun, 07 Jul 2013 16:12:41 +0000

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